ARCANA

Il regista Giulio Questi, uomo dal passato di partigiano e autore del remake de Il Segno del Comando, realizzò quello che ha fama di essere un ‘film maledetto’: Arcana.
Si tratta di una pellicola anomala, che mescola erotismo e toni grotteschi, fantasia e poetiche pasoliniane. La signora Tarantino è vedova di un operaio che lavorava alla costruzione del metrò. Vive nella periferia di Milano in un grosso condominio insieme a suo figlio. I due vivono della pensione del padre, e si dedicano alla cartomanzia e alla magia. Davanti alla porta di casa c’è sempre una fila di clienti. La madre apparentemente sfrutta la credulità di questa gente con trucchi psicologici che tendono a far credere alle persone di poter risolvere i loro problemi. Il figlio non è convinto che quelli siano tutti espedienti e aggredisce la donna facendosi rivelare tutto quello che sa. Il ragazzo però è un vero sensitivo, e usa sconsideratamente i nuovi poteri. Semina il panico nel quartiere e violenta Marisa, una ragazza che andava a farsi leggere le carte e che era prossima a sposarsi. Quando Marisa scopre di essere incinta va dalla maga per abortire; la donna acconsente ma Marisa muore. Per tutti è la rovina…
La prima parte della pellicola è sfruttata per mostrare con verosimiglianza quanto avviene a cose normali in uno studio di cartomanzia, e per ritrarre l’ambiente sociale e urbano.
E’ quasi un’indagine antropologica condotta con occhio di scienziato. C’è tutto lo squallore di quei quartieri popolati da famiglie immigrate dal Sud, stipate in appartamenti inadeguati a ospitare tante persone. Il paesaggio è inondato da condomini simili ad alveari, sciatti e vecchi anche se sono stati costruiti da poco tempo. Questa fetta di città confina con una campagna aperta, abbandonata a sé stessa per l’urbanesimo, dove ancora si accampano i Roma. I clienti della maga sono però composti da un’umanità più complessa di quanto non si possa credere di trovare in una periferia degradata. Ci sono i poveri disperati, ma più spesso è gente anche benestante che però è insicura e ha bisogno di un sostegno morale per sentirsi capace di prendere le proprie decisioni. Tutti vengono rappresentati con un registro grottesco, perché sono mossi da ignoranza e dalla disperazione. La maga usa trucchi di suggestione psicologica mascherati con tutto l’apparato ritualistico proprio della cultura dell’Appennino centro meridionale. Ovvero studia i consultanti, valuta le loro finanze, fa in modo da farli scoprire nelle proprie debolezze e, usate le carte, la chiromanzia, la lettura dei fondi di caffè, può dare loro predizioni che molto probabilmente si riveleranno esatte o consigliarli in modo che riprendano fiducia in sé stessi e continuino a tornare da lei.
Il figliolo è invece un sensitivo ‘vero’, capace di premonizioni autentiche e male spiegabili ricorrendo alla scienza. Le sue capacità sono però sminuite dalla madre, che vede nella stregoneria un modo per garantirsi la crescita economica e lo usa come assistente senza mai concedergli di imparare da lei. Vediamo il giovane sempre chiuso in casa, a indagare sulle foto dei clienti o a fabbricare strumenti per la sua divinazione fatta tramite un pendolo costruito con un dente d’asino.
La ribellione del ragazzo giunge nella seconda parte della pellicola, che passa all’erotismo e ai toni onirici. Nella versione integrale del film ci sono scene di incesto, poi tagliate. Quanto è sopravvissuto alla censura è la violenza sulla madre padrona, e su Marisa. Attraverso la sottomissione della maga il giovane si fa svelare il potere, che nelle sue mani diventa devastante. Grazie alla magia riesce a possedere la cliente, una ragazza modesta che dovrebbe convolare a nozze, e la mette incinta. Il potere che si sprigiona dal ragazzo viene narrato ricorrendo ad immagini oniriche, con un Rom che suona il violino in mezzo a sterminati campi arati, asini che vengono issati in aria con carrucole, e il ragazzo che si inoltra sui tetti… e che violenta l’ingenua Marisa. Sono scene potenti, scandite da un montaggi magistrale e accompagnate da una colonna sonora che intreccia sonorità vecchie e nuove.
Se la prima parte della narrazione ricordava Pasolini e le sue borgate, la seconda è più simile al Pasolini di Che cosa sono le nuvole? o a certo sperimentalismo russo degli anni della Guerra Fredda. Anche l’epilogo, pur nella sua drammaticità, oscilla tra il freddo realismo dell’aborto finito male e l’onirismo.
Di sicuro le sequenze di sesso soft core morboso in teoria dovevano attrarre gli spettatori, se solo questo film fosse stato distribuito a dovere. Probabilmente però non avrebbero accontentato una platea avida di sensazioni forti, perché sono inserite in un contesto onirico: nel momento in cui il ragazzo apprende il segreto della madre iniziano a volare piatti per tutta la cucina. Inoltre non c’è un contesto boccaccesco volgare e ridanciano, ma è uno squarcio di vita di una periferia, un ambiente cupo e claustrofobico, con due caratteri ben definiti che si fronteggiano e una forte analisi sociale. Il film è del 1972, e iniziavano i dibattiti sull’aborto che culmineranno sei anni dopo con l’approvazione della legge 194. Mostrare una ragazza che deve recarsi a abortire clandestinamente in quegli anni era un gesto coraggioso, d quelli che forse solo un film apparentemente di terza classe poteva permettersi di esprimere.
L’impegno civile emerge anche dalla rappresentazione realistica della maga che ‘aiuta’ i suoi clienti, e dalla rappresentazione dell’umanità disperata che la frequenta.
La stessa fusione di stili e temi è molto anomala e non basta una locandina con una sensualissima Lucia Bosé e qualche scena dal sapore sadomaso a rendere la pellicola accetta al grande pubblico.
Arcana ha la fama di essere un film maledetto non solo per gli argomenti trattati  e per la censura che tagliò ben venticinque dei centoundici minuti di proiezione, ovviamente riservata ad un pubblico adulto. Al momento della distribuzione nelle sale, la casa di produzione fallì, e il film raggiunse pochissime sale. Per tanti anni è stato considerato un film perduto, ed è stato recuperato da una pizza riapparsa durante la retrospettiva veneziana "Questi fantasmi" nel 2008.
Non è un horror, non è solo un film erotico, o grottesco o di analisi sociale… è Arcana, vedere per non credere.

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita su questo sito. Se la volete ospitare, contattatemi. Florian Capaldi  su Facebook

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