GUILLERMO DEL TORO'S CABINET OF CURIOSITIES

Dal XVI secolo fino a buona metà dell’Ottocento i viaggi di esplorazione davano la possibilità alle persone più ricche di poter collezionare oggetti provenienti da ogni parte del mondo conosciuto. I reperti erano scelti non solo per il pregio o la fattura, quanto per la loro stranezza e la loro varietà. Nelle grandi magioni una o più stanze erano adibite a Gabinetti delle Meraviglie e lì venivano collocate queste raccolte, esibite poi in caso di visite di altri nobiluomini. A questo fenomeno di costume dei tempi andati è ispirata la serie Tv antologica Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities (2022).

In controtendenza con il trend dei serial attuali, caratterizzati da episodi collegati da una o più sottotrame ma di solito comprensibili anche se visionati come stand alone, del Toro sceglie un impianto vintage di vari one-shot. Il grande regista non ha diretto gli otto mediometraggi, ma come in Alfred Hitchcock presenta… ha scelto con cura i soggetti e li ha affidati a registi promettenti: Jennifer Kent (Babadook), David Prior (L’Uomo Vuoto), Guillermo NavarroKeith Thomas (The Vigil), Panos Cosmatos (Mandy), Catherine Hardwicke (Cappuccetto rosso sangue), Vincenzo Natali (Cube – Il cubo), Ana Lily Amirpour (A Girl Walks Home Alone at Night). Tutti questi autori patrocinati mantengono comunque uno standard qualitativo tale da non far sfigurare la sua fama di maestro del brivido. Seguendo l’esempio di Hitchcock, del Toro stesso introduce ogni vicenda. Le puntate sono otto, realizzate con abbondanza di mezzi rispetto agli standard delle produzioni televisive e caratterizzate da una certa fedeltà allo stile di del Toro. La fotografia mantiene i toni polverosi e ambrati oppure cupi ma sempre curatissimi, tratto tipico della produzione del regista e gli effetti speciali sono usati con maestria, inseriti quando davvero occorre.
Come in ogni serie antologica che si rispetti, i soggetti sono i più disparati e gli interpreti sono abili caratteristi, nomi non di primo piano ma dotati di una solida professionalità.

 

L’episodio Lotto 36 è stata ideato dallo stesso del Toro e diretta da Guillermo Navarro: è la storia di un reduce dal Vietnam xenofobo che vive comperando i depositi abbandonati dove la gente ha lasciato i suoi averi, per poi rivendere i vari oggetti agli antiquari, ai restauratori, ai conto vendita. Ricattato dai creditori, è tanto spietato da impedire a una donna messicana di recuperare pochi oggetti dal suo deposito. Un giorno si impadronisce tramite asta di una cella dove c’è un pregiato tavolino per sedute spiritiche contenente tre libri agognati da un ricco occultista… Potrebbe risolvere i suoi problemi finanziari, ma il libro destinato a completare la quadrilogia è custodito da un avversario troppo potente… e la donna messicana sa il fatto suo. Anche se il mostro ha una realizzazione sottotono rispetto a quanto si vede al cinema, il montaggio minimizza le pecche e la tensione si crea anche grazie alla riflessione su temi di impegno sociale. I reduci di guerra vivono con pensioni e sussidi assolutamente inadeguati, spesso hanno delle lievi disabilità tali da impedire loro di esercitare mestieri che richiedano prestanza fisica; in molti casi si sono arruolati sperando in un miglioramento del loro status sociale, hanno poca cultura e quindi gli impieghi di concetto sono loro preclusi. Povertà, indottrinamento patriottico e ignoranza vanno a braccetto, e le vittime preferite sono proprio gli immigrati, i messicani prima di tutto. Del Toro è messicano, e in qualche modo deve aver vissuto il problema sebbene l’aspetto caucasico e la cultura possono avergli risparmiato le umiliazioni riservate a quanti hanno un aspetto indio.

I ratti del cimitero è stato sceneggiato e diretto da Vincenzo Natali, basandosi su un racconto breve di Henry Kuttner. In piena età Vittoriana il becchino Masson è povero e saccheggia i cadaveri per privarli di quanto le famiglie hanno deposto nelle bare. Quando viene a sapere di un aristocratico sepolto con un ricco corredo, va a esumarlo, ma il cadavere è scomparso e ci sono enormi cunicoli che si addentrano nelle profondità della terra, scavati da topi giganteschi…tra suggestioni lovecraftiane e rimandi al Trafugatore di salme di Stevenson, si consuma l’atroce dramma del necroforo. L’atmosfera è dovutamente claustrofobica, i colpi di scena gestiti con maestria e i movimenti di macchina, esemplari.

L’autopsia è la trasposizione di un racconto breve di Michael Sheab diretta da David Prior. Un medico legale affetto da un tumore all’ultimo stadio accetta di fare l’autopsia a un gruppo di minatori morti a causa di un’esplosione. Una delle vittime trasportava un oggetto sconosciuto; improvvisamente resuscita e spiega il miracolo. Un parassita ha colonizzato il corpo, condividendone la mente e usando i sensi dell’ospite. E’ quanto sta per accadere al medico, che si suicida in modo atroce, lasciando la registrazione dell’esame necroscopico e istruzioni per impedire alla creatura di propagarsi… E’ uno degli episodi più efficaci, sia per le sequenze del suicidio, sia per l’interpretazione magistrale di F. Murray Abraham, che rende il protagonista indimenticabile e sostiene un intreccio per alcuni versi esiguo.

L’apparenza, diretto da Ana Lily Amirpour è tratto da un fumetto online di Emily Carroll. Vive di riflessioni sui canoni della bellezza femminile (ma anche maschile visto il boom di interventi chirurgici, la creazione di linee di cosmetici e l’ossessione per le palestre) al giorno d’oggi. La crema miracolosa Alo Glow promette miracoli a una casalinga poco attraente e scialba. Nonostante il marito la accetti così come è, la donna si sente esclusa dalle piacenti colleghe e inizia il trattamento. Inizialmente ha una reazione cutanea tremenda, ma non demorde e prosegue imperterrita. Dal flacone fuoriesce un’entità che l’abbraccia e la bacia prima di sciogliersi nella vasca da bagno. Incompresa dal marito con poche pretese estetiche e di miglioramento sociale, lo uccide e lo impaglia e poi torna al lavoro, finalmente bellissima ( per gli stereotipi del suo ambiente di lavoro) e accettata. In questo episodio è il grottesco a dominare ogni sequenza, e la riflessione su quanto siamo disposti a fare pur di raggiungere obiettivi che possono essere elevati o anche molto futili. Si instillano dubbi anche sull’utopia della chirurgia plastica, che spesso rimedia a inestetismi fornendo lineamenti considerati belli ma disarmonici nell’insieme di un volto o di un corpo.

Il modello di Pickman è ispirato dall’omonimo racconto di H.P. Lovecraft. La rivisitazione realizzata da Keith Thomas si distacca dal testo esasperandone i tratti gore. Richard Pickman è un pittore e i suoi soggetti sono inquietanti, tanto da meritargli il rifiuto dall’esposizione in musei e gallerie. Nonostante i rifiuti Pickman continua a realizzare le sue tele e un giorno un amico compagno d’accademia, curatore di un museo, gli dà una possibilità. Quanti vengono in contatto con i quadri iniziano ad avere incubi; il curatore del museo uccide Pickman, che confessa la verità e viene portato via da uno dei suoi demoni prima che le fiamme distruggano il laboratorio…ma quando l’assassino torna a casa, ha un’atroce sorpresa… Era difficile riproporre il racconto di Lovecraft rispettandone epoca e svolgimento, in quanto sulla carta i personaggi vivono grazie all’atmosfera e ai propri sentimenti modificati dalla visione delle opere. Si va quindi sull’horror più esplicito, e sulla riflessione su cosa sia arte, cosa non lo sia e quali limiti dovrebbe o non dovrebbe porsi chi crea.

Ancora Lovecraft è l’ispiratore de I sogni nella casa stregata, diretto da Catherine Hardwicke. Un uomo vede morire la sorella e ne vede l’anima svanire nella Foresta delle Anime Perdute. Ossessionato dall’idea di poter riportare la bambina nella nostra realtà, si procura una droga e l’assume in una casa abitata un tempo da una strega. Riesce a riportare la ragazzina ma viene seguito da una strega e dal suo famiglio…
Può sembrare l’episodio più debole, sia come recitazione che come tensione che nonostante l’argomento, ha dei cedimenti. C’è incertezza nella scelta di virare verso un horror esplicito o una favola gotica, gli elementi selezionati per rendere entrambi i sottogeneri non si amalgamano perfettamente, e l’interpretazione di Rupert Grint, famoso per aver interpretato Ron nella saga di Harry Potter, è passabile.

La visita è una vicenda originale, scritta da Aaron Stewart-Ahn e Panos Cosmatos, che ne è anche il regista. Il ricchissimo Lionel Lassiter invita un gruppo di persone diverse per origine e professione. Ma tutti geniali, a una sorta di seduta di meditazione che dovrebbe espandere la coscienza. C’è un musicista, una fisica esperta in vita extraterrestre, uno scrittore e un medium Targ Reinhhard. Tutti assumono droghe rassicurati dalla presenza di un medico e poi vengono chiusi in una sala con un meteorite. Mentre tutti cadono in trance la roccia si spezza e ne esce un’entità melmosa: anche chi riesce a scappare non può evitare la catastrofe. La trama è piuttosto semplice, ma è godibile comunque e l’episodio risulta più lovecraftiano dei due tratti direttamente da Lovecraft.

Il brusio è basato su un racconto breve dello stesso Guillermo del Toro, sceneggiato e diretto da Jennifer Kent. Una coppia di ornitologi ha perso da poco una figlia e se ne è andata a studiare gli uccelli in una vecchia casa di campagna. La donna, che non ha accettato la perdita, inizia ad avere visioni. Il marito incolpa lo stress, ma la casa è stato teatro di un infanticidio. Anni prima una madre ha annegato il proprio figlio e poi si è suicidata. Solo il confronto con gli spettri del passato potrà rendere all’ornitologa la capacità di parlare col marito della loro figlia, e ricostruire un rapporto che andava in frantumi. E’ l’episodio più delicato e poetico, che conclude degnamente la stagione e che si basa su una malinconica ghost story ispirata alla letteratura di genere. Alla paura si sostituisce il rimpianto, la fotografia è stupenda e crea l’atmosfera grazie a immagini, dai colori spenti della campagna al nero degli stormi di uccelli che sembrano interpretare la voce dei fantasmi.
Se la qualità di una serie antologica è così alta, c’è solo da sperare che del Toro prosegua il progetto.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da    FANTASTICINEMA

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