DRAGONFLY IL SEGNO DELLA LIBELLULA

Il dottor Joe Darrow è felicemente sposato con la collega Emily. Pur essendo incinta, la dottoressa si reca in missione umanitaria in Venezuela. Giunta sul posto, il pullman su cui viaggia precipita in un dirupo, e lei viene data per morta. Joe non accetta la perdita e sprofonda in una crescente depressione.

Nel frattempo intorno a lui iniziano ad accadere strani avvenimenti: posacenere si muovono da soli, lampade oscillano, libellule sbattono contro i vetri, pazienti del reparto oncologico presso cui lavora sostengono di aver visto Emily mentre si trovano tra la vita e la morte, e disegnano in modo ossessivo una sorta di croce dalle braccia ondulate.

La vita del medico perde gradualmente contatto con la realtà, compromettendo anche la sua lucidità sul posto di lavoro. Costretto dal direttore dell’ospedale a concedersi un anno sabbatico, ne approfitterà per recarsi in Venezuela, dove farà una straordinario scoperta…

CATECHISMO FAI DA TE

Il trailer mostra scene buie, voci lontane, profezie, navate di cattedrali, il tutto preceduto dall’avviso che raccomanda la presenza di un adulto in caso di spettatori minorenni. Sono elementi che ammiccano a Il Sesto Senso, e lasciano immaginare un horror sovrannaturale ricco di suspense, colpi di scena, fantasmi. Di certo, dopo l’inatteso exploit del film di M. Night Shyamalan, Tom Shadyac si era augurato di replicarne il successo col questo suo Il segno della libellula – Dragonfly (Dragonfly, 2002). Le analogie col predecessore sono però solo tematiche: anche la pellicola di Shadyac tratta della vita oltre la morte, della sopravvivenza dell’anima e della possibilità di ricevere messaggi dall’altro mondo, ma lo fa con toni più sentimentali e meno thrilling.

L’argomento in sé è affascinante quanto difficile da affrontare: davanti al mistero esistono diverse risposte confessionali, l’ateismo oppure un cauto possibilismo che mette d’accordo laici e credenti. Ne Il Sesto Senso, Shyamalan presentava il percorso di scoperta, accettazione, maturazione di un bambino dotato di poteri paranormali, mantenendo con intelligenza la storia sul sottile confine tra quanto è dato di fatto e quanto è interpretazione soggettiva. Nel narrare, usa un linguaggio da thriller, ereditato direttamente da Alfred Hitchcock, e crea tensione. Purtroppo Shadyac non raggiunge questi livelli espressivi: Dragonfly pretende di catechizzare, e fornisce interpretazioni inequivocabili piuttosto che giocare sulle incertezze Allo scopo sciorina tutto il repertorio di luoghi comuni sull’argomento: le esperienze pre-morte, il tunnel di luce, il levitare dell’anima che abbandona il corpo, il simbolo della libellula che ricorre, la casa infestata dagli oggetti che si muovono da soli e riappaiono là dove Emily li aveva riposti…

I diversi personaggi che entrano in contatto con il protagonista sono stereotipati ed espongono pareri e posizioni prevedibili; i pazienti bambini raccontano con spontanea ingenuità le proprie esperienze soprannaturali, la psicoterapeuta pretende di poter fare accettare metodologicamente una tragedia, i colleghi raccomandano una vacanza, la suora è esperta di situazioni di pre-morte, gli indios possiedono un loro modo esotico e ‘naturale’ di rapportarsi con l’inspiegabile… L’idea che Joe sia diventato pazzo e interpreti banali coincidenze in modo distorto sfiora appena la narrazione, è suggerita in modo poco convincente e non riesce a farsi prendere in considerazione neppure per un istante.

Il tradimento delle aspettative create diventa indigesto, tanto più che giunge in itinere: per un terzo del film, dominano i toni del thriller paranormale soft, poi si passa al lacrima movie, condito dalla religiosità cristiano new age e da qualche prevedibile momento horror; infine si approda a una storia d’amore che oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo. La sceneggiatura traballa sulle proprie incertezze, indecisa se strappare brividi o lacrime, o se convertire con espedienti degni di un predicatore televisivo.

IL SESTO SENSO E MEZZO

La vicenda scade nell’umorismo involontario per colpa di svariate situazioni paradossali, recitate con l’approssimazione di un mediocre film tv. Il protagonista compie da subito la scelta più irrazionale: appena le squadre di soccorso sospendono le ricerche, accetta questa resa con una rassegnazione francamente improbabile, tornandosene a casa a lavorare. Come medico, poi, è poco credibile almeno quanto lo è come vedovo: si rifiuta di curare pazienti, beve birra nelle pause di lavoro, vaga nelle corsie o peggio in rianimazione senza indossare camici, s’imbarca in discorsi poco professionali con colleghi e ricoverati… E, da appassionato di rafting quale pare essere, stenta a riconoscere nella croce dalle braccia tremule il simbolo standard usato nelle mappe per indicare una cascata.

Quanto al sovrannaturale, il protagonista inizialmente è scettico, ma presto si abbandona alla credulità più ingenua. A quel punto è pronto ad accettare per veri i racconti dei malati, il muoversi del fermacarte, l’oscillare dei lampadari, la voce del pappagallo che sbraita come se vedesse la defunta. Ma, se decide di voler credere, perché non si rivolge a un sensitivo anziché a una suora ‘alternativa’ che sviscera ambigue commistioni tra fantasmi e miracoli?

Il monolitico Kevin Costner che arranca nella foresta pluviale non è il conquistador Aguirre e nemmeno l’utopista Fitzcarraldo. Le scene d’azione risultano goffe, poco convincenti; addirittura, dopo essere quasi annegato, nel giro di qualche scena si ritrova gli abiti stirati, asciutti e puliti.

Con Dragonfly è difficile abbandonarsi all’illusione, perché coinvolge poco e, quando pure riesce a catturare l’attenzione, abusa della credulità. Gli eventi hanno poca coerenza e non presentano il giusto ritmo; la tensione, invece di andare crescendo, si smorza a poco a poco, fino al finale che vorrebbe forse omaggiare Werner Herzog. Colpa di un soggetto spinoso, di una sceneggiatura troppo altalenante, e dello stesso Costner, che piuttosto di offrirsi al ludibrio di critici e spettatori avrebbe fatto bene a restare nella ‘vaale verdeh’, come diceva in una nota pubblicità di calzature.

Sarà anche la fede a portarci lassù, ma il film ci lascia invece molto a terra.

 

CUCCUSSETTE VI RINGRAZIA DELLA LETTURA

LA RECENSIONE è STATA EDITA SU TERRE DI CONFINE https://www.terrediconfine.eu/boris-the-barbarian/

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