IT - La miniserie

Uno dei romanzi più apprezzati di Stephen King è It , una favola cupa ambientata in un’immaginaria cittadina del Maine, Derry. Ogni ventisette anni circa la quiete del paese è turbata da una disgrazia o dalla scomparsa e morte di bambini e preadolescenti. C’è un orribile mostro nascosto nelle fogne che si sveglia dal letargo, assume le fattezze del clown Pennywise e adesca i piccoli offrendo loro palloncini e promettendo dolcetti e regali. Il protagonista William "Bill" Denbrough ha perso così il fratellino, ma può contare sui suoi amici, la Banda dei Perdenti: Benjamin "Ben" Hanscom, Beverly "Bev" Marsh, Edward "Eddie" Kaspbrak, Richard "Richie" Tozier, Michael "Mike" Hanlon e Stanley "Stan" Uris. Hanno undici o dodici anni, frequentano la stessa scuola e si ritrovano ogni giorno, uniti da una grande amicizia, pronti a difendersi contro i bulli e contro la crudeltà degli adulti. Saranno loro ad opporsi a Pennywise, ben due volte: negli anni Cinquanta da ragazzini, e da quarantenni. Nel 1990, lontani da Derry e ormai dimentichi di quella magica e terribile estate in cui sfidarono il mostro, i sei ricevono la convocazione di Mike, l’unico del gruppo ad essere restato in paese per custodire la memoria degli eventi; It è tornato.
Portare sullo schermo le opere di Stephen King richiede di compiere scelte autoriali precise e coerenti. Gli sceneggiatori si scoraggiano davanti alla mole di pagine di molti romanzi, ai tanti personaggi, alle sottotrame apparentemente superflue però quasi indispensabili per motivare i comportamenti e creare la giusta atmosfera. Possono solo scegliere cosa sfrondare, oppure trasformare radicalmente l’impostazione generale della narrazione. Nel primo caso il rischio è di rendere poco comprensibili gli eventi e far sembrare arbitrarie le scelte dei personaggi, nel secondo c’è un’alta probabilità di tradire lo spirito del testo, e attirarsi le proteste dei fan che sono sempre pronti a scatenare polemiche sui social.
Quando nel 1990 It venne trasposto in una miniserie televisiva di due puntate diretta da Tommy Lee Wallace, internet collegava soltanto le Università e pochissimi appassionati, e aveva contenuti molto diversi da quelli di oggi, limitati a scambi di risultati tra scienziati o informatici, a banche dati di tesi, partite di scacchi e poco altro.
Se avessero avuto i social di oggi, probabilmente sarebbero stati ragionevolmente soddisfatti, o addirittura entusiasti. Nonostante si tratti di un programma televisivo realizzato dalla ABC, questa miniserie ha avuto alle spalle mezzi più consistenti rispetto a quanto di solito accade, ed il risultato è superiore alle aspettative di un horror per la tv.
La sceneggiatura firmata da Lawrence D. Cohen e dallo stesso Tommy Lee Wallace ovviamente ha dovuto sfrondare i tanti contenuti, e li ha selezionati con cura, andando all’essenziale.
Il libro segue la crescita dei sette amici e ci racconta la loro vita da adulti, con dovizia di particolari. La sceneggiatura ha selezionato i fatti importanti da mostrare, mantenendo quanto è necessario per capire ciascun bambino, con le sue debolezze, con le sue propensioni, i suoi sogni, e la sua vita da grande. Scompaiono le derive sovrannaturali con riti mistici, Il rito di Chüd, i Pozzi Neri, la Tartaruga, simbolismi e dettagli tanto suggestivi sulla carta quanto  mal traducibili in immagini. Vengono tagliate anche le vicende dei personaggi secondari e della gente del posto che vive le periodiche disgrazie tra oblio e omertosa rassegnazione. Rimangono solo quelle parti indispensabili per creare un contesto verosimile, capace di evocare William Saroyan e la sua Commedia Umana, ed anche il Popolo dell’Autunno di Ray Bradbury. Le vicende che avvengono tra la prima sconfitta di It e la riunione a Derry sono molto semplificate, tagliate per eliminare elementi legati al sesso e per andare verso l’epilogo nel modo più efficace. Finale che, per vari aspetti, è diverso da quello ideato da King, pur mantenendone il tono dolceamaro.
It è una storia horror con momenti paurosi, finalizzata però a celebrare l’amicizia, quella vera che forse solo i bambini sanno creare, capace di unire persone tanto diverse e di poter sconfiggere i mostri più orrendi, siano mostri venuti dai recessi della galassia o genitori inadeguati.  
La parte più riuscita è proprio quella ambientata nel passato, con i bambini e con un senso di elegiaca nostalgia per una provincia americana che forse è esistita solo nei ricordi degli anziani di oggi.
Troppo spesso i ruoli per bambini sono irritanti per gli adulti, in quanto sono rappresentazioni condizionate da tabù d’ogni tipo, giustificabili in un’ottica che vuole i piccoli creature del tutto innocenti, quasi fossero incapaci in intendere e di volere. King smonta i preconcetti e il film asseconda questo tipo di narrazione, facendoci conoscere bambini molto autonomi e svegli, dotati di un’autonomia sconosciuta ai dodicenni di oggi, invece che angioletti idealizzati o insopportabili prescelti per diritto di nascita. I ragazzini di  Derry sono profondamente umani,  sono vittime di Pennywise e dei loro problemi familiari. Possono morire, possono ingannare ed essere ingannati, possono amare e odiare. Sono ritratti come persone vere e il bullismo è ben presente nelle loro vite. Mike è discriminato perché nero, o ‘negro’ come dicevano un tempo, almeno prima delle battaglie di Luther King. Bill è balbuziente e suo fratello George è stato ucciso, Ben è obeso, Bev non ha la mamma e ha  un padre violento e abusivo, Eddie è ipocondriaco e ha una madre soffocante e opprimente, Ritchie è sboccato e miope, e Stan il boyscout sembra tanto razionale ed invece è fragilissimo. Nonostante tutte le differenze sociali, l’amicizia vissuta in quella estate, l’ultima passata assieme, li matura. I personaggi sono molto credibili, gli attori bambini hanno la giusta naturalezza e ciascuno di noi può rispecchiarsi in loro per molti aspetti, proprio perché sono personaggi verosimili nonostante il contesto fantasy e horror delle vicende che vivono.
I personaggi adulti funzionano con minore entusiasmo, e in genere tutta la seconda parte è un po’ sottotono. Gli interpreti se la cavano senza infamia e senza lode, sono volti noti della televisione americana e conoscono il mestiere. Lo sviluppo dei personaggi però mi è apparso più affrettato, e i copioni sembrano, con l’eccezione di alcuni delicati momenti intimisti, più prosaici.
Se la prima puntata appare meglio riuscita della pur valida seconda, è anche per il senso del mistero che circonda Pennywise, il Clown Danzante. E’ stato interpretato dall’esuberante ed iconico Tim Curry, noto per avere dato il volto al dr. Frank-N-Furter in The Rocky Horror Picture Show, al Signore delle Tenebre di Legend, a Gomez Addams in La famiglia Addams si riunisce, e a tanti altri personaggi. Istrionico, con un costume da clown che ricorda quello di una nota catena di fast food, è lui il vero pezzo forte della vicenda. Ha un trucco limitato ad una protesi per aumentare la grandezza della testa, la parrucca rossa, una dentiera da squalo e il classico cerone bianco, in modo da lasciare scoperto viso e poter gestire la mimica. La performance di Curry da sola varrebbe la visione dei centonovantadue minuti di film.
Gli effetti speciali ovviamente oggi appaiono molto datati, sono artigianali, frutto di un montaggio accurato o di modellini. Sebbene possano risultare ingenui come qualità, sono usati con oculatezza, quando proprio nessun’altra soluzione visiva era disponibile in alternativa. Il montaggio fa l’impossibile per minimizzare l’artificio e valorizzare i momenti paurosi, che vivono di sequenze claustrofobiche ambientate nelle fogne cittadine, di inseguimenti nei parchi cittadini tra alberi secolari, di panoramiche sul lago coperto da piante di loto. La scena della barchetta e del clown nella fogna si è impressa nell’immaginario collettivo.
La miniserie It ha avuto fin dalla prima trasmissione un meritato share altissimo; forse è il maggior successo dell’emittente ABC. Viene ricordato come un esempio riuscito di trasposizione di un romanzo di King, e come capolavoro della produzione televisiva. Assolutamente consigliato, per poter fare paragoni con la trasposizione cinematografica e sperare che si possano vedere prodotti così validi anche nella TV di oggi.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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