LA GUERRA DEI MONDI

Il romanzo La Guerra dei mondi di H.G. Wells è un grande classico e periodicamente viene adattato in trasposizioni cinematografiche e televisive. Fino ad oggi nessuna di queste produzioni ha rispettato il testo originario, ovvero il resoconto dell’invasione aliena redatto da un ignoto cittadino britannico che dopo avere messo al sicuro la moglie cerca di salvare la pelle. Dopo il geniale e briccone adattamento radiofonico di Orson Wells del 1938, c’è stato il film del 1953 ambientato in America negli anni Cinquanta, e nel 2005: La guerra dei mondi di Steven Spielberg, ambientato con l’invasione ai giorni nostri. Anche gli emuli, mockbuster più modesti, hanno solo preso spunto dal romanzo. Vedendo le immagini patinate della recente versione della BBC, con carrozze e abiti d’epoca, ascoltando l’introduzione che ricorda l’incipit «Alla fine del XIX secolo nessuno avrebbe creduto che le cose della Terra fossero acutamente e attentamente osservate da intelligenze superiori a quelle degli uomini...» verrebbe da sperare di vedere davvero sullo schermo quanto l’Autore ci ha scritto.
Speranze vane: le tre puntate dirette da Craig Viveiros si distanziano dalle precedenti versioni audiovisive e le differenze con il testo restano molte, forse troppe per i puristi innamorati del mondo vittoriano. Alcuni adattamenti forse sono inevitabili indipendentemente dall’epoca, altri sono frutto di calcoli di un ipotetico gradimento oppure figli di ideologie. Il narratore anonimo del romanzo funziona sempre male sullo schermo, poiché gli spettatori vogliono personaggi in cui potersi ritrovare, quindi persone dotate di un nome e un’identità precisa. In questo caso è George, un giornalista piuttosto sfortunato con un matrimonio fallito alle spalle un e fratello, Fredrick, che invece ha fatto carriera in politica. Fredrick è ultraconservatore e disprezza George in quanto convive con Amy, una donna colta e laureata dal carattere forte. L’invasione ha luogo non più in età Vittoriana ma nella posteriore Età Edoardiana, e il protagonista e narratore è proprio Amy, donna libera che si interessa alle scienze, che è nata in India e sfida le convenzioni sociali con il suo amore libero da vincoli legali e religiosi.
Che sia la donna ad essere in primo piano è ovvio, il suo personaggio è quello vincente mentre George è un uomo fragile sotto tutti i punti di vista. Professionalmente è sfruttato, viene emarginato oppure umiliato dal fratello, imprigionato dalla moglie che non gli concede il divorzio; è fisicamente più debole e impacciato della nuova compagna da cui è dipendente e si rivela pavido, capace di azioni vigliacche pur di salvare la pelle. Tutta la storia è rivisitata secondo idee ‘woke’ esasperate anche rispetto alle idee non proprio moderate del socialista e femminista Wells. Se certe produzioni attuali, indipendentemente dalla mediocre o buona qualità complessiva, sono orientate al messaggio sociale porto in molto esplicito tanto da sconfinare in ingenui tentativi di catechesi, non si può dire lo stesso di questa serie. I momenti di apologia o di contrattacco alle idee progressiste ci sono, e sono limitati a lunghe battute simili a monologhi. Si tratta di momenti utili anche per far mostra delle abilità degli interpreti, dalla brava Eleanor Tomlinson allo splendido Robert Carlyle. Nonostante le ideologizzazioni vige ancora un po’ di buonsenso storico: le donne indipendenti erano rare e venivano emarginate proprio come Amy. Non ci sono personaggi appartenenti a minoranze inseriti forzatamente in ruoli storicamente impossibili o in situazioni improbabili. Disabili non se ne vedono, comprensibilmente sarebbero le prime prede dei Marziani affamati. C’è una bambina di colore perché nella Londra di inizio secolo c’era gente da tutto il mondo, magari svolgeva lavori umili; non è di certo una piccola damina come quelle della serie Bridgeton. Lo scienziato Ogilvy si definisce ‘paria’: potrebbe essere gay o asessuato ma non ci sono occasioni in cui può manifestare le sue tendenze, è solo molto dandy e tanto ateo, permette a Amy di lavorare con lui e ha un accento scozzese. In quel periodo storico si faceva presto a essere considerati paria: bastava essere agnostici o atei, o non apprezzare la monarchia, o sostenere le suffragette o essere Scozzesi, Irlandesi, socialisti o anticolonialisti o avere una famiglia senza il matrimonio e sì, anche essere gay. Grazie ai copioni ben studiati, gli elementi woke vengono dati in gran parte per scontati benché stridano con i costumi di un'ipotetica persona 'media' di quell'epoca. Non si motiva come e perché Amy sia una scienziata, come mai la moglie di George non conceda il divorzio o se Ogilvy sia gay: ce li fanno conoscere già come eccezioni alla regola, e non ci resta che amarli così come appaiono o detestarli.
La serie inizia con toni da fiction in costume e per oltre metà della prima puntata mantiene i ritmi placidi di quel tipo di narrazione, pur necessari per dare spessore ai quattro personaggi principali facendoceli vedere nelle loro vita quotidiana. Ci vuole pazienza da parte degli spettatori più interessati all’intreccio fantascientifico, solo con l’entrata in scena della sfera il ritmo accelera e le vicenda inizia a movimentarsi, fino a toccare l’apice nella terza puntata.
Gli effetti speciali sono quelli che ci si può attendere da una produzione televisiva, ovvero sono modesti. In alcune situazioni i movimenti dei tripodi appaiono po’ legnosi come i personaggi in certi videogiochi, mentre i raggi e le fiamme rischiano di sembrare appiccicate. Quando invece del computer ci sono trucchi scenografici, il risultato è paragonabile a quello che si è visto in certi vecchi episodi di Doctor Who o in produzioni di cinefili che saprebbero cosa far vedere però non hanno i mezzi per concretizzare le loro fantasie. Nonostante i limiti, i ritocchi in grafica digitale vengono impiegati con intelligenza e così le ricostruzioni, e compaiono quando proprio è indispensabile far vedere gli alieni e gli effetti devastanti del loro passaggio.  Funzionano meglio i momenti di paura affidati alla belle sceneggiatura che crea sequenze ad alta tensione, con terrore è scatenato dal buio o dal ritrovamento improvviso dei cadaveri delle vittime divorate dai Marziani.
Ogni tanto ci sono sequenze virate di rosso in cui Amy affronta gli anni seguiti alla catastrofe insieme al figlio George. Hanno scelto quel colore in quanto gli alieni provenienti da Marte cercano di creare sulla Terra le stesse condizioni del loro pianeta d’origine, che appare rossiccio. Hanno inquinato il cielo oscurandolo e cosparso il suolo di rocce rendendolo arido e sterile. La viratura segnala l’alternarsi dei due piani temporali distinti, quello del presente post catastrofe e quello del passato con i ricordi di Amy, fino al colpo di scena finale. I fatti che avvengono dopo la morte dell’ultimo alieno hanno grande spazio, rispetto a tutte le altre pellicole catastrofiche che lasciavano i superstiti vivi senza specificare come sarebbe diventato il loro domani. Questa parte dà modo di riflettere sul valore della memoria e dell’oblio come mezzo per sopravvivere, sulla presenza o negazione di un principio divino, sul senso della speranza.
La serie è una delle possibili riletture Guerra dei Mondi, apprezzabile però come si può apprezzare una gran bella fanzine d’autore.

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da FENDENTI & POPCORN. Se la volete adottare, ditelo !

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