ALLEGRO MA NON TROPPO

«Signore e signori, state per assistere a uno spettacolo indimenticabile, a un film destinato all'immortalità, immortale come le musiche che verranno ora eseguite e interpretate a disegni animati. (...) Con questo film siamo finalmente riusciti a realizzare questa unione, disegni animati e musica classica, una coppia destinata a rimanere, ne siamo certi, nella storia del cinema. Un film nuovo, originale (...) dove potrete vedere la musica e ascoltare i disegni, in una parola un film pieno di... fantasia.»
Allegro ma non troppo è un film in tecnica mista realizzato da Bruno Bozzetto come risposta ideale al celebre Fantasia di Walt Disney. Come nel più famoso capolavoro ci sono episodi a cartoni animati ispirati da brani musicali assai celebri, inseriti in una cornice con attori in carne ed ossa. Le premesse sono simili, i risultati completamente diversi, e molto interessanti. La pellicola si apre in bianco e nero, in un teatro. C’è un regista che vuole fare un film a disegni animati, senza considerare che Fantasia è uscito già da parecchi anni.  Libera dai sotterranei del teatro un disegnatore che da tempo era ai piombi nella segreta, raduna un’orchestra di indomite vecchiette prese in un ospizio e abbigliate come flapper, le fa dirigere da un direttore goffo e corpulento. Iniziano a susseguirsi i vari cartoni, ma al presentatore appaiono sempre troppo tristi, quindi tra un brano e l’altro si susseguono gag da slapstick comedy degli anni Trenta.
Preludio al pomeriggio di un fauno di Claude Debussy è ambientato in un paesaggio bucolico vagamente ispirato all’Olimpo che faceva da sfondo alla Pastorale di Ludwig van Beethoven, rivisitato in chiave felliniana. Ci sono fauni e ninfe che fanno sesso tutti insieme, alberi con foglie e frutti di forme allusive. In tutto quel ben di Zeus c’è un piccolo vecchio fauno che non riesce più a copulare. Vaga ricordando le prodezze amatorie di gioventù senza rendersi conto che tutto quel paesaggio è in realtà il corpo di una procace donna.
Danza slava Op. 46 n° 7 di Antonín Dvořák racconta il progresso umano, la conquista illusoria del potere e la brama di essere sempre avanti agli altri. Tutto ha inizio quando un uomo primitivo decide di lasciare le caverne e costruirsi una capanna, poi una casa, un palazzo... Gli altri lo imitano sia nelle conquiste tecnologiche, sia nel comportamento: come lui si armano e marciano, ma quando esagera non lo seguono più e lo deridono mostrandogli le chiappe.
Il celebre Bolero di Maurice Ravel rivisita l’episodio della Sagra della Primavera di Igor' Fëdorovič Stravinskij con la nascita del mondo e i dinosauri. Un’astronave riparte dal suolo di un pianeta gettando una bottiglia di Coca Cola. Il liquido ribolle e da esso nasce la vita, che si sviluppa in bizzarre forme di vita, sempre più grandi e potenti. Tra esse c’è una scimmia, che si evolve sempre di più, fino a diventare un uomo colossale… ma è solo una statua e quando si incrina e si rompe, sotto il maestoso involucro è sempre una scimmia.
Il Valse triste di Jean Sibelius è un episodio malinconico e commuovente, una sorta di Piccola Fiammiferaia felina. Un gatto si aggira per una casa in rovina, pensando malinconicamente ad un passato che non c'è più, quando lui abitava quella casa con una famiglia che lo coccolava. Nei suoi ricordi la casa torna a vivere, ma sono brevi istanti destinati a svanire nello spazio di un batter di ciglia. Anche il gatto però non c’è più ed è solo un ricordo, destinato a dissolversi un attimo prima che arrivino le ruspe per la demolizione del rudere.
Il Concerto in do maggiore RV 559 di Antonio Vivaldi ha per protagonista un’ape che vorrebbe fare un picnic su un prato. Arriva una coppia che ha scelto proprio quel luogo per appartarsi e far l’amore. Le acrobazie amatorie rischiano di schiacciare il povero insetto, che si decide a pungere il didietro dell’uomo.
L'uccello di fuoco di Igor' Stravinskij rivisita la Genesi biblica e l’episodio del serpente tentatore. Né Adamo né Eva hanno intenzione di assaggiare il frutto dell’Albero del Bene e del Male. Il serpente mangia la mela e si ritrova in mezzo ai demoni. Essi creano oggetti da convertire in danaro che fluirà verso chiese e regge e corrompono l’uomo con il consumismo sfrenato contemporaneo. Quando finalmente il serpente torna nell’Eden, preferisce vivere come un animale.
Terminati gli episodi, il regista è insoddisfatto, le anziane sono scappate vedendo il serpente e il disegnatore decide di ridisegnare la donna delle pulizie e sé stesso. Divengono Biancaneve e il Principe Azzurro e volano via, mentre il regista non sa più che pesci pigliare. Contatta un certo mostro chiamato Franceschini perché cerchi in archivio un finale, anche brutto, da appioppare a quanto finora ha girato. Le soluzioni sono così inadatte che non resta che pensare a un nuovo film, una storia d’amore tra una donna e sette uomini piccoli…
Rispetto a Fantasia, il risultato appare molto più maturo ed autoriale, nonostante si tratti di un film più breve, realizzato in Italia e distribuito prima negli Stati Uniti che nel nostro Paese perché nessuno credeva in un prodotto con quelle caratteristiche. Fantasia era stata l’apoteosi del bello e della poesia, con disegni più curati che espressivi, con uno stile di rappresentazione più o meno realistico e abbastanza uniforme, e intenti più o meno educativi, tanto che l’episodio con i dinosauri compariva anche in programmi di divulgazione scientifica. C’era forse più forma che sostanza, l’esigenza di piacere a grandi e a piccini, come se fosse una serie di videoclip da contemplare con incanto e meraviglia ingenua. Allegro ma non troppo invece mostra l’abilità e lo stile di svariati autori, Giuseppe Laganà, Walter Cavazzuti, Giovanni Ferrari, Giancarlo Cereda, Giorgio Valentini, Guido Manuli, Paolo Albicocco, Giorgio Forlani, Bruno Bozzetto Stefano Nuzzolese. Tutti inventano delle storie significative e seguono la musica invece di abbellire la melodia con l’animazione. La verosimiglianza dei disegni lascia il posto all’espressività, all’astrazione, e sfrutta svariate tecniche, da quelle più tradizionali al rotoscope (con attori filmati e immagini ridisegnate sui loro movimenti), alla plastilina.
Le vicende narrate sono adulte, in quanto affrontano tanti temi inadatti ai piccoli o non comprensibili. Oltre al sesso, inscenato con una buona dose di astrazione e ironia, c’è un pessimismo amaro che attraversa come un fil rouge tutte le storie. Il fauno che si maschera da giovanotto con dentiera e parrucca anticipa certi leader con parrucchino cotonato e abbronzatura sulla collezione di lifting dei loro volti. Il progresso non dona la felicità, e strumentalizza l’uomo. Nonostante la malinconia della vicenda, l’episodio con il gatto evidenzia l’illusorietà della casa piena di vita e di beni, sogno degli anni Sessanta demolito con la fine del boom economico e l’inizio degli anni di piombo.
L’uomo segue sempre un leader e può liberarsi dei dittatori e dei modelli sbagliati che questi impongono, magari proprio con l’ironia del mostrare il sedere. Quando si ribella, difficilmente riesce ad abbandonare la spinta verso il progresso sfrenato, e rimane inconsapevolmente schiavo di pulsioni riproduttive e di illusioni di potere. Si crede di essere la vetta della creazione, quando è solo una piccola creatura oppressa dall’orgoglio, dagli istinti più bassi, dalla superbia. Il film critica la religione, tanto che i beni prodotti dai demoni divengono soldi e i templi si aprono come salvadanai per accogliere la cascata delle monete. Il consumismo è un mezzo di oppressione, per quanti non possono permettersi di consumare come per chi consuma. Il serpente tentatore, torna nell’Eden vestito e incravattato e compie la vera ribellione, spogliandosi di quanto lo aveva reso civilizzato per tornare ad essere libero e animale.
Anche la parte con attori in carne ed ossa è ricca di riflessioni che vanno oltre i simpatici intermezzi demenziali, dalle nonnine che si abbandonano a uno sfrenato charleston al direttore d’orchestra con le sue gag e il sigaro in bocca, alla comicità tutta fisica e mimica di Nichetti. Si riflette sul ruolo dell’artista e sul mondo che ruota attorno alla diffusione di prodotti culturali, e lo si fa all’insegna di un amaro disincanto. Profetizzando sul futuro del cinema, il regista o produttore (Maurizio Micheli) non ha le idee chiare su cosa far creare, e si arrabatta con i pochi mezzi che riesce a racimolare. Crede di inventare qualcosa di innovativo, qualcosa che incanterà la platea, senza accorgersi che la sua idea è già stata realizzata da altri. Recupera il disegnatore dal sotterraneo dove sta incatenato (Maurizio Nichetti) e lo mette al lavoro. L’artista è prigioniero delle leggi del mercato e del capriccio di persone che hanno più soldi che sensibilità; quando finalmente riesce a dare vita alle varie storie, il regista non le apprezza, anche se non ha idee migliori. Così l’Arte può solo volare via, rifugiarsi in mondi più accoglienti o staccarsi da quelle logiche di mercato tossiche e soffocanti. E allo spettatore restano storie banali, già viste, senza capo né coda.
Sono riflessioni che hanno profetizzato la situazione di molto cinema attuale, compresa la discussa Biancaneve e i mediocri live action, o i remake sbiaditi su cui investono produttori a corto di coraggio e di idee. Se potete recuperate Allegro ma non troppo. Vi farà ridere, vi strapperà una lacrima e vi farà riflettere come raramente riesce a fare il cinema.   

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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