IL MISTERO DELLA MUMMIA
Gli scrittori vittoriani subirono la suggestione della moda delle antichità egizie, una moda che contagiò le classi agiate, pronte a finanziare spedizioni e collezionare reperti veri o ben falsificati. Dei tanti romanzi gotici sul tema, come il Lotto 249 e L'anello di Thoth di Conan Doyle, Il gioiello delle sette stelle di Bram Stoker, nessuno è stato fedelmente trasposto sul grande schermo, tuttavia il cinema ha sfruttato a piene mani storie di sacerdoti e faraoni pronti a svegliarsi dal sonno millenario per punire i profanatori.
Il mistero della mummia (The Curse of the Mummy's Tomb) è un piccolo classico prodotto dalla Hammer e diretto da Michael Carreras nel 1864, e non è un remake nel senso classico del termine, in quanto la vicenda è diversa dal film del 1932 di Karl Freund e da quello del 1959 diretto da Terence Fisher. Il mistero della mummia è narrato con toni da commedia brillante e da spy story, con un colpo di scena finale.
Un team di archeologi ritrova la tomba di Ra-Antef, un faraone assassinato dal proprio fratello. Uno degli studiosi viene ucciso subito da fanatici locali che vogliono impedire gli scavi ritenendoli blasfemi. Le ricerche vengono interrotte e agli studiosi superstiti è imposto di non compiere ulteriori ricerche. Pur essendo uomini di scienza, tutti desiderano diventare famosi e assicurarsi lauti guadagni esponendo il sarcofago e il ricco corredo in un tour mondiale. Organizzano un ciclo di esposizioni con presentazioni sensazionalistiche, dovrebbero addirittura aprire il sarcofago durante l’inaugurazione del primo evento e si imbarcano per il Nuovo Continente. Quando però viene aperta la cassa, la si scopre vuota...
Una buona metà della pellicola, gli eventi narrati sono quelli che ci si potrebbe attendere da un thriller archeologico tutto terreno, con interessanti e ancora attuali riflessioni sul commercio di reperti e sulla moda di avere musei itineranti e mostre temporanee. La corsa all’appropriazione di tesori sepolti sotto le sabbie dell’Egitto è un fatto fin troppo concerto ancora oggi, con aste regolari che danno la possibilità ai più ricchi di possedere reperti di minor valore, e con trafficanti all’opera, pronti a spacciare reperti autentici o fatti passare per tali. Figurarsi come poteva essere la situazione sessanta anni fa, quando non c’erano normative precise o catalogazioni depositate alle Sovrintendenze, o accordi internazionali per fermare il commercio non autorizzato di beni storici.
Anche la moda di organizzare mostre itineranti è trattata con disincanto: i visitatori sono persone ignoranti che sperano di farsi una cultura partecipando a eventi con tematiche dotte, ma in fondo sono persone semplici, consumatori con il complesso della poca istruzione, e vivono le esperienze museali con l’ingenuità di un frequentatore di baracconi di un luna park.
La salma del faraone è trattata come se fosse King Kong, senza il rispetto che si deve ai defunti, e che oggi è richiesto ai visitatori dei musei per quelle sale dove sono conservati corpi umani. Gli archeologi invece si trasformano in imbonitori e il bel sarcofago dorato è un mezzo per guadagnare facilmente soldi e fama; tanto peggio, viene da pensare, se a organizzare la tournée sono docenti universitari o studiosi di professione.
Le critiche all’ambiente accademico, al saccheggio di beni che dovrebbero restare nel Paese dove sono stati trovati, alla leggerezza nell’approcciarsi a esperienze museali, sono ben diluite all’interno di un contesto brillante.
Agli elementi tipici dei film di spionaggio si alternano sequenze da commedia che concede molto spazio alle relazioni sentimentali. Sembra purtroppo che il regista si trovi più a suo agio nelle scene brillanti e nella spy story che nell’horror vero e proprio. Il mistero della mummia funziona meglio nelle parti rosa o gialle, che in quelle paurose. Anche la fotografia ha toni caldi e colorati, con costumi eleganti e ambientazioni da commedia brillante o da giallo stile Agatha Christie.
Gli attori non sono particolarmente famosi ma piacenti e professionali (Ronald Howard, Fred Clark, Jeanne Roland…). C’è un’atmosfera tutta British che ha il suo fascino garbato e lascerebbe pensare ad una storia d’amore a lieto fine, a un thriller con l’ambientazione archeologica come sfondo, divertente e disimpegnato. La vicenda in sé però sarebbe piuttosto concisa e la love story sembra allungare il brodo per permettere alla pellicola di raggiungere un minutaggio da sala. Il film tocca a stento i 78 minuti, una durata oggi improponibile ma consueta nei film horror del periodo. I fatti davvero decisivi e irrinunciabili per la narrazione sono pochi e bisogna attendere ben cinquanta minuti per vedere finalmente la mummia in azione...
Fino alla rivelazione lo spettatore dubita se il mostro sia davvero un faraone vendicativo, o se invece sia un attore, magari l’uomo forzuto di un circo, ingaggiato dai fanatici o da impresari di show concorrenti, e truccato a dovere. Si può anche apprezzare la goffaggine della mummia in quanto accresce l’ambiguità sulla ver a identità del mostruoso assassino. Dopo il colpo di scena la storia d’amore e la sottotrama di spionaggio hanno un loro perché che renderà l’epilogo più straziante.
Ci sono alcune sequenze splatter molto forti per l’epoca, non sono esplicite ma sono insolitamente violente e proprio perché si vede poco lo spettatore si immagina più del dovuto. Le immagini giocano con le mani degli attori, inquadrando quel tanto da far capire le efferatezze: le mani della mummia protese verso il collo delle vittime, i pugnali che saettano verso i malcapitati, le braccia che ricadono inerti a delitto compiuto.
Gli effetti speciali sono necessariamente minimali e rozzi: negli anni Sessanta una produzione a basso costo difficilmente poteva avere di meglio, e anche ci fossero stati imponenti sforzi produttivi, i trucchi comunque sarebbero stati artigianali. Senza badare a qualche ‘svarione’ storico come il sommo dio Bubasti, la ricostruzione della tomba e del sarcofago appare invece meno ingenua di quanto non ci si attenda, con gli oggetti ammassati e il sigillo di corda analogo a quello trovato da Carter quando scoprì la tomba di Tutankhamon.
Il mistero della mummia è nato come b-movie, con attori poco famosi, con scenografie generalmente povere, con una dose di violenza ed erotismo che oggi farebbe sorridere un ragazzino ma che all’epoca suscitava scalpore. Tanta semplicità unita a riflessioni non così scontate è parte del fascino vintage di questa pellicola, che mostra tutti i suoi anni ma è invecchiata con garbo.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
Questa recensione è stata edita su questo sito. Se la volete ospitare, contattatemi. Florian Capaldi su Facebook
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