IL DESERTO DI FUOCO
Gli sceneggiati in Italia hanno avuto la loro età dell’oro durante gli anni Settanta, con titoli capaci di incollare milioni di telespettatori davanti alle televisioni, e di lasciare ricordi indelebili nella platea. Poco a poco i soggetti si emancipavano dall’impianto teatrale tipico delle produzioni del decennio precedente e si avvicinavano al linguaggio espressivo del cinema. Non c’era auditel a misurare il numero di spettatori, non c’era la concorrenza delle tv commerciali, e regnava la sperimentazione, la creatività più estrema. Fino ad una buona parte degli anni Ottanta lo sceneggiato era il piatto forte delle serate televisive, con una buona varietà di proposte. A fine anni Novanta la situazione era assai diversa, i gusti del pubblico erano cambiati e c’era l’auditel a misurare il successo delle trasmissioni, condizionando la scelta dei soggetti. Le varie televisioni dovevano realizzare prodotti che costassero poco, e che almeno in teoria potessero attrarre gli spettatori più eterogenei per età e cultura.
Il deserto di fuoco è una miniserie sfornata dalla Mediaset nel 1997, in tre puntate affidate a Enzo G. Castellari. Il regista e montatore è famoso per i suoi spaghetti-western, per i poliziotteschi, per i mockbusters de Lo squalo, e per i molti titoli di fantascienza postatomica. E’ un vero professionista, capace di far miracoli con mezzi limitatissimi, e dotato di un suo stile che riesce a emergere nonostante le tante limitazioni, o forse proprio grazie ad esse, in quanto è bravissimo nel trovare le soluzioni più efficaci anche lavorando in economia. Nel caso del Deserto di fuoco, si è trovato a dirigere quattro ore e mezza di spettacolo in cui ha dovuto amalgamare avventura e momenti action, commedia, sentimento e esotismo.
Le tre puntate narrano la storia di René, bambino figlio di industriali che sopravvive a un incidente d’elicottero in pieno deserto e viene adottato da Tafud, Emiro di un regno tribale nel deserto del Sahara. Il sovrano non è riuscito ad avere un figlio maschio ed è ben felice di crescere il bimbo, ribattezzato Ben. I problemi si affacciano venticinque anni dopo, quando Ben si è innamorato della sorella Amina, promessa invece al nobile Dubai. A quel punto l’Emiro rivela al giovane la verità: il sentimento non è incestuoso in quanto il ragazzo è figlio di europei, ma per il popolo sono fratello e sorella e quindi la giovane dovrà andare incontro al matrimonio combinato. Il ragazzo fugge per andare in cerca delle sue origini, e quanto scopre è davvero sconvolgente…
L’intreccio è degno di un feuilleton d’altri tempi, tra intrighi familiari, segreti, delitti e colpi di scena, il tutto condito da momenti comici o ironici che donano uno sguardo disincantato a una vicenda che è ambientata a fine millennio ma poteva accadere, con pochi adattamenti, cento anni prima. L’Emirato è un reame da operetta o da vecchio peplum, non si capisce di cosa vivano i ricchissimi nobili, si vede solo la sfarzosa corte e i predoni, pochissimi sudditi, nessuna oasi con coltivazioni o mercato lungo la via carovaniera che unisce il mediterraneo all’Africa subsahariana. L’Emiro ha potere di vita e di morte, i matrimoni sono combinati, nessuno possiede televisione, radio o automobili, il commercio avviene per baratto visto che non hanno denaro. Benvenuti in un Medioevo islamico che forse nemmeno è mai esistito e che ha caratteristiche da fiaba delle Mille e una notte.
Alcune trovate narrative sono buone, altre sono evidenti forzature, in quanto si capisce fin dalle premesse che ci dovrà essere un lieto fine a coronare l’amore di Ben e Amina. La sceneggiatura di Luigi Montefiori (George Eastman!) è altalenante proprio per l’esigenza di conciliare le aspettative di una platea eterogenea, casalinghe che sognano l’amore con la A maiuscola, mariti che apprezzano un po’ d’azione, ragazzi che sono cresciuti con l’umorismo di Bud Spencer e Terence Hill, single che guardano la tv con occhio distratto... Ci sono momenti creativi capaci di coinvolgere davvero tutti, accanto a momenti in cui la vicenda pare rivolgersi a una sola delle categorie di spettatori, deludendo gli altri e annoiandoli. Addirittura in Italia il titolo il Deserto di fuoco richiama alla memoria i vecchi film d’avventura a base di dune, legionari e beduini, mentre in Germania è Prinzessin Amina - Das Geheimnis einer Liebe , alludendo a una storia d’amore ! Molti sono i passaggi obbligati che devono ricondurre il flusso degli eventi verso l’epilogo rassicurante e sdolcinato. Ci sono occasioni sprecate per dare un tocco meno ingenuo alla storia, si intuisce fin dall’inizio chi è buono e sopravviverà venendo premiato, e chi invece è malvagio e pagherà con la sua vita. Qualche caduto dalla parte degli alleati del protagonista, qualche doppiogioco anche tra quanti sembrerebbero personaggi positivi avrebbe aggiunto verosimiglianza, invece niente da fare, c’è un unico cambio di bandiera ed è telegrafato dopo poco tempo da quando il personaggio si è fatto conoscere.
L’impianto della vicenda sarebbe anche potenzialmente interessante, purtroppo il regista deve diluire i fatti in un tempo troppo esteso, quando bastavano due puntate per narrare i fatti con maggiore grinta.
La sceneggiatura è costretta a rispettare i ritmi delle trasmissioni televisive, con dialoghi di immediata comprensione e pause per gli spot pubblicitari. Si evidenzia una disarmonia tra le parti d’azione e quelle sentimentali e drammatiche. Le prime hanno un buon ritmo, sono vivaci e avvincenti e potevano figurare anche al cinema. Le parti drammatiche invece sembrano realizzate senza passione o ritmo, o sono indispensabili per fare avanzare la storia, o sembrano buttate lì per dover riempire il minutaggio necessario a confezionare tre puntate. La bravura di regista e montatore si vede piuttosto negli inseguimenti, nelle fughe rocambolesche, nell’humor fisico ereditato dallo spaghetti-western.
La caratterizzazione dei personaggi appare monocorde e estremamente stereotipizzata, nonostante il cast sia davvero eccezionale, per una produzione televisiva: Anthony Delon, Giuliano Gemma, Virna Lisi, Claudia Cardinale, Fabio Testi, Stéphane Freiss, addirittura Vittorio Gassman. Un simile cast è stato reso possibile dal fatto che la miniserie è stata realizzata in co-produzione fra Italia, Francia e Germania. Probabilmente i cachet hanno assorbito il grosso delle risorse, peccato che poi i ruoli siano stati sviluppati in modo superficiale. Il protagonista, Deloin jr, manca del carisma e del fascino sensuale del padre. Si aggira sul set inespressivo nelle scene dialogate e impacciato nelle parti action. Ben compie un viaggio avventuroso, però cambia poco rispetto a come è partito, è e resta un uomo del deserto, indipendentemente dalle sue origini. Riesce a disfarsi degli avversari, si confronta con il mondo materialista occidentale, e diventa ancora più consapevole di non essere tagliato per quella vita, e radicalizzato nel disprezzo per quella civiltà in cui non ha un vero posto. Christine Duvivier, madre di Ben\René è interpretato dalla matura e ancora bellissima Virna Lisi, è un personaggio che poteva venir sfruttato meglio: crede da subito alle parole di Ben, vorrebbe metterlo a capo dell’industria senza rendersi conto della sua inadeguatezza, non dà retta alle parole del compagno, che è un uomo spregevole per molti versi, ma in questo caso saggio. Gli altri interpreti si difendono bene, nei limiti della qualità stessa dei dialoghi. Gassman sta in scena pochi minuti per ciascun episodio, ha battute interessanti e emerge grazie ad esse; il ladro Jaquor interpretato da Stéphane Freiss diverte, gli altri non sono così fortunati proprio a causa dei copioni degni di un cartone animato per ragazzini per i ‘cattivi’ e troppo melensi per i ‘buoni’.
Un dettaglio sul casting oggi sarebbe davvero poco accettabile. Troviamo personaggi Arabi interpretati da Europei truccati e abbigliati nel modo più riconoscibile, invece di avere bravi attori del Nord Africa. Il risultato estetico è quello di una mascherata a tema, e data irrimediabilmente lo sceneggiato, riportandoci indietro a tempi in cui il turismo era per pochi, difficilmente si avevano amici e conoscenti Nordafricani e bastava poco per fare sognare mondi esotici.
C’è una buona dose di violenza nel Deserto di fuoco, edulcorata il tanto da essere accettabile in un programma da tv generalista, un filo di erotismo, e ci sono tanti stereotipi sul mondo islamico. Alcune usanze ci sono state un tempo e oggi non ci sono più, altre sono proprie solo di alcune tribù che hanno avuto pochi contatti con il resto del mondo, anche con il resto dei Paesi Islamici. In questo senso la miniserie si svolge negli anni Ottanta o Novanta ma forse, soldi a disposizione permettendo, sarebbe stata più convincente se ambientata nel secondo dopoguerra. Di certo è stata realizzata da Europei per un pubblico di Europei, tuttavia c’è un misto di progressismo e di stereotipi sgradevoli nel ritratto di quel mondo esotico, e lo spettatore rimane nel dubbio, non sa quale parere possa essere autentico. Ben è inadatto a vivere nel mondo occidentale, lo capisce e rimpiange il deserto; la convivenza dei due modi di vivere è visibilmente dolorosa, e anche se mancassero gli intrighi e i pericoli a scoraggiare la permanenza, ci sarebbe la consapevolezza di un differente atteggiamento nei confronti della vita. Né gli Occidentali sfuggono a questa categorizzazione, o sono dei sognatori o sono dei colonialisti infami, pronti a massacrare gli indigeni e a manovrare sovrani e nobili come burattini pur di raccogliere un prezioso minerale, però anche le tribù arabe hanno pregiudizi e vizi analoghi. Dove c’è un Emiro che obbliga la figlia a sposare un uomo che odia, c’è la madre del protagonista che resta vedova e si riaccompagna con lo spregiudicato socio del marito pur di salvare l’industria.
La miniserie sembra più innocua, kitsch, arrivata in ritardo sulla moda di quanto non sia davvero, ma per scoprirlo lo spettatore deve fare lo sforzo di accettare le tantissime ingenuità. Lo sforzo non è piccolo, per gli altri resta uno spettacolo da vedere, senza troppe aspettative.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
La recensione è stata edita su questo sito nel 2023. Contatta Florian Capaldi su Facebook per adozioni e gemellaggi !

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