INCONRI STELLARI

Nel 1977 il grande successo di Incontri ravvicinati del terzo tipo riportò l’attenzione sul tema del contatto con gli alieni. L’argomento era molto attuale anche perché parecchie persone riferivano d’aver visto luci in cielo diverse da quelle dei soliti aerei. Ci voleva poca fantasia per collegare quei fenomeni a presunte visite extraterrestri e d’altra parte l’aeronautica militare teneva la bocca ben chiusa sugli esperimenti di nuove armi e velivoli. Alcuni testimoni tacevano per paura di venir considerati mitomani, i più smaliziati testimoni ipotizzavano che fossero nuove invenzioni in fase di collaudo e tacevano solo perché si era ancora nel periodo della Guerra Fredda. Il pericolo di una Terza Guerra Mondiale spaventava più delle omissioni dei militari o di eventuali visitatori extraterrestri. Il cinema prese atto dell’interesse della potenziale platea e produsse molti titoli sull’argomento.
Non tutti i registi avevano la mano felice di Spielberg e la sua forza comunicativa, e neppure avevano i suoi mezzi a disposizione. Tra i tanti b-movie a tema c’è Incontri stellari, o meglio The return, distribuito nei Paesi anglofoni anche come Earthright e come The Alien’s Return. La traduzione italiana rende meno del titolo originale, poiché la pellicola parla di ritorni, quello di osservatori alieni e quello della protagonista. Il fatto che sia stato ridistribuito con titoli differenti non una, ma più volte la dovrebbe dire lunga sulla qualità artistica del film. La visione in parte conferma i timori.
Da bambina Jennifer (Cybil Shepherd) ha assistito al volo di luci colorate sopra ad un villaggio del New Mexico, insieme ad un anziano e ad un altro bambino. Era di passaggio in quella sperduta località, e non venne creduta quando provò a raccontare i fatti. Venticinque anni dopo è diventata una scienziata ricalcando le orme del padre con il quale lavora. Quando si ha notizia che in un villaggio del New Mexico accadono fatti strani, ci si precipita, attirata dall’idea di poter fare qualche scoperta sensazionale. Da qualche tempo gli animali vengono trovati uccisi e smembrati, la polizia vuol tenere calme le acque, e i rilevamenti con attrezzature apposite effettuati dalla giovane scienziata sono osteggiati dagli stessi vaccari. La comunità vorrebbe sfuggire ai clamori e proseguire la propria vita semplice e rozza, però le morti si moltiplicano e iniziano a essere colpiti anche esseri umani. I massacri continuano, aumentando di giorno in giorno, fino al momento della verità…
La pellicola diretta e prodotta da Greydon Clark inizia decorosamente, descrivendo il villaggio e il carattere dei suoi abitanti, gente rude che si oppone ai cambiamenti e nemmeno ha i mezzi culturali per scegliere se abbracciarli o rifiutarli. La presenza di una straniera, donna attraente e scienziata, è motivo di disturbo perché sono impreparati all’emancipazione femminile, e perché nascondono segreti grandi o piccoli. Il poliziotto Wayne (Jan-Michael Vincent) è l’unico a restare al fianco di Jennifer, ed ha i suoi buoni motivi per interessarsi agli alieni e agli avvistamenti.
Il clima di complotto e di cospirazione viene costruito in modo interessante, con una bella caratterizzazione di quella provincia rurale di solito lasciata fuori dalle pellicole americane: un far west che è insidiato dalla modernità, la accetta in modo superficiale mantenendo atteggiamenti retrogradi. Quando però la vicenda deve avanzare avvicinando i protagonisti alla scoperta della verità, c’è il crollo, perché deve svelare poco a poco cosa c’è dietro agli eventi. Il colpevole si scopre a due terzi della storia, e a quel punto la storia funziona molto meno. Eppure potevano esserci spunti per depistare le indagini, dalle rivalità tra vaccari per i pascoli o per faccende sentimentali, a speculazioni sui terreni, a animali pericolosi, a gente che vuole ostacolare il lavoro della polizia, un maniaco nascosto tra i bravi cittadini… e invece l’occasione viene accuratamente evitata.
Nemmeno ci sono effetti speciali sorprendenti ad animare lo squallido panorama, questa è una pellicola a basso costo e la povertà balza all’occhio anche degli spettatori più inesperti. Alcuni errori sono dovuti alla mancanza di mezzi: potersi permettere solo qualche lampada colorata tipo semaforo invece dell’armamentario di cui disponeva Spielberg, richiede di accettare che il risultato sarà ben diverso, senza che nessuno del comparto tecnico ne abbia colpa. Altri invece sono conseguenza di una sceneggiatura che perde i colpi.
Mancano le sequenze girate con un linguaggio da thriller: certo, si vedono alcune uccisioni e c’è un po’ di sangue e di smembramenti, ma tutto finisce con l’esposizione diretta alla macchina da presa di qualche corpo bovino o umano macellato realizzato grossolanamente. Il montaggio è quello di un telefilm da replica mattutina, un errore irrimediabile poiché del tutto gratuito ed evitabile. I costi sarebbero restati gli stessi e anzi, avrebbe mimetizzato in modo più efficace i trucchi rozzi, o almeno ci avrebbe regalato qualche salto sulla sedia.
A partire dalla metà del film la sceneggiatura di Curtis Burch, Jim Wheat e Ken Wheat sembra sfuggire loro di mano, abbassando il livello della narrazione che si trasforma in un maldestro guardie e ladri in salsa fantascientifica.
La storia d’amore è prevedibilissima, e fino alla spiegazione finale che le rende un senso, sembra un modo per allungare il brodo e rendere più tollerabile il film a quelle persone che proprio di fantascienza ci capiscono poco e devono comunque andare al cinema senza volersi sforzare di capire la bellezza di questo tipo di storie.
L’epilogo è poi un happy ending forzato e costruito a misura di terrestre poco propenso all’avventura. Sarebbe stato meglio tagliare le sequenze del ritorno, evitando spiegazioni confuse.
Qualche spunto buono c’è nel corso della narrazione, e l’idea che muove le disavventure di Jennifer e di Wayne potrebbe essere affascinante, se si pensa ad una civiltà distante dai valori tipici dei terrestri ma dotata di grande organizzazione. Interessante anche il fatto di avere introdotto una presenza aliena dissimulata per anni tra i rozzi abitanti della cittadina.
E’ troppo poco per creare un film se non bello almeno particolare e memorabile. Tutti i personaggi restano solo bei corpi sulla scena, a partire da Wayne, interpretato da Jan-Michael Vincent che era stato tra i protagonisti di Un Mercoledì da leoni. E’ penalizzato da una scrittura scialba che solo alla fine fa capire a pieno il personaggio. Va un po’ meglio a Jennifer che pure si difende un po’ meglio e combatte contro il pericolo alieno e i pregiudizi, e cattura lo sguardo della platea con la sua bellezza. Forse sarebbero stati comunque attori modesti, però i loro copioni hanno battute scialbe. Nessun momento di riflessione rende davvero vivi i protagonisti, che si aggirano in locations scialbe e a buon mercato creando poca empatia con gli spettatori, a parte l’ovvio appeal di due bei visi freschi e piacenti.
Meraviglia come, per una pellicola così modesta, ci siano anche nomi importanti nel cast: il futuro Capitano John Koening di Spazio 1999 e premio Oscar Martin Landau e Raymond Burr, famoso per Perry Mason, oltre a svariati caratteristi. Più che risollevare le sorti della pellicola, sono nomi di richiamo,   
Se non si hanno grandi pretese Incontri Stellari diverte, se fanno tenerezza i film di serie B ai playoff per la serie C.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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