THE BARBARIANS AND COMPANY
C’era una volta il fantasy Sword and Sorcery, o Heroic Fantasy, nato negli anni 1930 con le opere di autori pulp come Robert E. Howard o Lin Carter, pubblicato su riviste economiche come erano Amazing Stories o Weird Tales, Uno degli scrittori più noti di questa corrente letteraria, Sprague de Camp, affermava che “La fantasia eroica è il nome di un genere di storie ambientate non nel mondo come è o come sarà, ma come dovrebbe essere per formare un buon racconto (ribaltando qui il cuore della teoria narrativa di Flaubert). Le storie che si riuniscono sotto questo nome comune sono fantasie avventurose che si svolgono in mondi immaginari preistorici o medioevali, in cui tutti gli uomini sono forti, le donne belle, i mostri cattivi e la vita tutta un’avventura.”
Solo negli anni Ottanta il cinema fece suo questo tipo di narrazione. Il grande successo di pubblico e anche di critica ricevuto dalla pellicola Conan il Barbaro di John Milius produsse una nutrita schiera di emuli. Oltre al sequel Conan il Distruttore e allo spin off Yado, conosciuto anche come Red Sonia, ci furono anche Kaan il principe guerriero, La spada a tre lame, Ator l’Invincibile, Kull il Conquistatore e molti altri… Si tratta di pellicole nate come B-movies, ignorate o massacrate senza pietà dalla critica, afflitte da tante pecche dovute all’ingenuità dei soggetti, agli effetti speciali troppo poveri, alla recitazione spesso di livello amatoriale. Nonostante le recensioni poco lusinghiere, questi film sono stati capaci di suggestionare i giovani di allora e di gettare le basi per il successo del fantasy dei nostri giorni.
The Barbarians & Co è uno tra i tanti tentativi di emulare le prodezze di Milius e di Arnold Schwarznegger. La pellicola è stata realizzato da Ruggero Deodato nel 1987. L’Autore è noto per i suoi horror ricchi di sangue, erotismo e violenza, film a suo tempo colpiti dalla censura e oggi rivalutati anche grazie al parere di Quentin Tarantino. A differenza di tanti autori americani che cercavano di ripetere il tono e il respiro epico di Milius senza riuscire minimamente nell’impresa, il regista nostrano aveva coscienza delle tante difficoltà connaturate al suo progetto di portare al cinema un film Sword and Sorcery. Deodato era ben consapevole di dover fare a meno degli effetti speciali di Carlo Rambaldi, dell’appeal di Arnold Schwarznegger, James Earl Jones, Max von Sydow , o della musica epica di Basil Polieduris, componenti che avevano reso Conan il Barbaro un capolavoro del genere e il suo sequel Conan il Distruttore una pellicola ingenua ma godibile. Di conseguenza ha creato qualcosa di molto diverso: i ‘suoi’ muscolosi eroi hanno i pregi e i difetti di gran parte del nostro cinema fantastico d’altri tempi, annaffiati da una dose da cavallo di humor trash.
The Barbarians &Co ci immerge in una vicenda di genere heroic fantasy, narrata in modo fracassone e semiparodistico, tanto da spiazzare lo spettatore. I protagonisti sono due gemelli barbari tutti muscoli e poco cervello, adottati da piccoli da una tribù di artisti nomadi, i Ragnicks, e cresciuti in prigionia dopo che un re stregone ha sterminato il clan e ha rapito la regina Canary per farne una concubina. Mentre il re stregone si diletta di arti occulte, duelli di gladiatori e altre piacevolezze, il tempo passa. I gemellini vengono separati, usati per lavori pesanti e crescono anche troppo. Ormai adulti, finiscono nell’ arena; appena cade l’elmo dalle loro teste, si riconoscono e decidono di scappare alle guardie del capriccioso sovrano. Grazie alla loro forza spropositata riescono a seminare i loro nemici; liberano un’avventuriera ladra e ritrovano i sopravvissuti del clan. Decidono di sfidare il terribile re stregone…
La vicenda in sé è tradizionale e prevedibilissima ma c’ è l’umorismo che sdrammatizza ogni avvenimento, riscrivendo il genere in chiave trash. Le prime sequenze assomigliano a quelle viste in decine di pellicole ‘clone’, ma basta sopportare i primi dieci minuti di scialbo deja vu per cambiare idea. L’ attacco dei soldati del re stregone ha toni tragici, o almeno ci prova; la vena comica emerge solo con l’ingresso in scena dei due barbari interpretati da Peter e David Paul, due veri gemelli entrambi appassionati di body building. Essi sono la caricatura degli eroi ingenui e naif tipici del genere, sono forti come tori e intelligenti come galline. La carovana di girovaghi include figure ridicole, come il capo sciamano, pettinato come una dama mongola (la regina Amidala di “Star Wars – La minaccia Fantasma, se preferite ) e completato da un viso che ricorda Flavio Bucci e Pippo Franco. Irriverente la scelta della nuova matriarca. A regola doveva essere vergine e giovanissima, e portare una pietra magica nell’ ombelico: di queste condizioni, si realizza solo la terza! L’anima di questo film è proprio il tono parodistico che può spiacere eppure è quanto lo rende memorabile e lo trasforma da sciatto film fotocopia a piccolo cult di genere.
La realizzazione risente dei pochissimi mezzi a disposizione, i costumi sono già stati visti in altre pellicole, tanto che l’armatura borchiata indossata dalla regina dei girovaghi è identica a quella vista addosso alla regina cattiva di Jado. Abiti e accessori sono assortiti nel modo più originale, e casuale, quasi che si trattasse di un raduno LARP di vent’anni fa invece di rappresentare un popolo con tradizioni proprie.
Nessuno degli attori protagonisti pare avere la minima dimestichezza con le armi bianche, tutti tendono ad essere impacciati quando hanno tra le mani le spade, le brandiscono in modo goffo e tanta inesperienza viene sfruttata per esasperare le gag umoristiche. Quando gli attori parlano, va anche peggio, non basta la sceneggiatura di James R. Silke (Allan Quatermain e le miniere di re Salomone), o la bravura del montatore Eugenio Alabiso a salvare la situazione. Con l’eccezione di Michael Berryman (Le colline hanno gli occhi), la recitazione è a livello amatoriale, quasi fosse il vecchio cinema neorealista e pasoliniano con i suoi attori presi dalla strada. Solo un discreto doppiaggio regala un pizzico di professionalità a quei modesti mestieranti, volti e corpi attinti dalle palestre, dai concorsi di bellezza o dal grande mare del cinema di serie B, oppure direttamente figuranti assunti all’onore della telecamera con un paio di battute.
La musica di Pino Donaggio è simpatica, accattivante e adatta al soggetto: nessuno pare credere che quello è davvero un film, e per giunta un film fantasy, neppure l’autore della colonna sonora.
Gli effetti speciali sono artigianali, caserecci, e così pure le scenografie, con rocce in vistosa cartapesta che rotolano sui malcapitati e scenografie di compensato decorato come nei vecchi peplum mitologici. La fotografia ed il montaggio cercano di fare il possibile per rimediare e sfruttare al meglio il materiale a disposizione, ma l’impresa è disperata e nessuno la prende, apparentemente, sul serio.
La scelta di buttarla sul parodistico appare quindi azzeccata, tanto più che Barbarians &Co arriva nel 1987, a 5 anni dall’uscita del Conan di Milius. In quella manciata di anni c’erano stati tanti tentativi di imitazione, il genere aveva espresso quanto poteva dare e, come era avvenuto con il peplum, sembrava aver percorso la sua parabola. L’opera di Deodato recupera con intelligenza dissacrante gli stereotipi, i pregi e i difetti di quelle pellicole, e li ripropone con un occhio al passato e un disilluso sguardo sul presente. Non ci sono eroi senza macchia né paura, ci sono barbari stupidi e tribù convinte che la felicità possa essere donata dal possesso di una gemma magica, eppure è quella gente semplice in ogni possibile senso a fare la rivoluzione. Deodato compie un’operazione analoga a quella fatta da Duccio Tessari nel 1962 con Arrivano i Titani, peplum ricco di momenti umoristici. La rivisitazione esagera il trash e l’effetto nostalgia, come se il regista volesse dire allo spettatore che la stagione dei super barbari sta tramontando, e ormai le avventure possono soltanto essere variopinti sogni di cartone dipinto.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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