INTERVISTA COL VAMPIRO

DUECENT’ANNI DI SOLITUDINE

Intervistereste un vampiro, sapendo che non è un ciarlatano? Molti giornalisti proverebbero disagio o piuttosto sorriderebbero, pensando a certi rotocalchi di infima qualità, che divulgano segreti di sapore esoterico o new age a un pubblico assai ingenuo.

Diversamente la pensa Daniel Malloy, personaggio uscito dalla penna di ANNE RICE, autrice di The Vampires Chronicles. Daniel è un cronista che, sperando in un eccezionale scoop, incontra Luis in una buia stanza di uno scalcinato albergo di New Orleans. L’ospite rivela di essere un vampiro, e confessa davanti al registratore la sua straordinaria esperienza di vita, o meglio di non morte.

Si tratta di un lungo flashback che percorre gli ultimi due secoli, rivisitati attraverso gli occhi del misterioso personaggio.

Nel lontano 1791 Luis De Point Du Lac è un ventiquattrenne ricco proprietario terriero originario della Louisiana. Vive in una sontuosa dimora con annessa piantagione a sud di New Orleans,

tra agi e schiavi, circondato dall’affetto dei suoi cari, fino al giorno in cui la moglie muore di parto. Sei mesi dopo il tragico evento, lo ritroviamo nei locali più malfamati del porto fluviale, mentre lascia che la sua esistenza scivoli via, e cerca in piaceri effimeri la liberazione dal dolore di vivere. Eppure non è pronto a darsi la morte.

Viene invece assalito dall’ambiguo Lestat, che, dopo averlo osservato, sentendosene attratto, gli concede il dono oscuro. Ovvero lo trasforma in un vampiro, dopo avergli fatto ammirare l’ultima alba, e avergli concesso la possibilità di scegliere tra il morire e l’unirsi a lui nelle tenebre.

Lestat non si sofferma a spiegare alla vittima quali saranno i cambiamenti che subirà la sua vita, e quale diverrà il nutrimento necessario a prolungarla. Gli promette invece una scelta che lui non ha avuto, e ricorre ad argomenti molto persuasivi: eterna giovinezza, potere, immortalità…

Luis, reso apatico dal dolore, ancora sconvolto dall’aggressione subita e debilitato da un imprevisto bagno notturno nel Mississippi, si preoccupa poco del suo futuro, e accetta, per istinto di conservazione ed incredula curiosità.

Vive l’esperienza della propria morte e rinascita con distacco, con la stessa distruttiva curiosità che lo portava a dilapidare i suoi averi tra poker e prostitute. Così, proprio davanti alla cappella del cimitero di famiglia, Luis nasce alla nuova non-vita. Presto si rende conto di non essere più un umano: è veloce, è forte, sempre giovane… ma non può vedere l’alba, e sente una sete diversa. Deve bere sangue. Gli scrupoli morali lo portano in un primo tempo a sfamarsi di animali;

poi prende coscienza della diversa condizione fisica. Influenzato dall’esempio del compagno,

si trasforma in un predatore, a mano a mano che sbiadisce la memoria della vita terrena. L’oblio è però solo parziale: a differenza del suo simile, Luis continua a porsi domande sul senso della vita, ricorda con struggimento gli affetti, uccide solo per nutrirsi, senza indulgere a torturare o seviziare le sue vittime. Cerca d’inserirsi in una sorta di catena alimentare, di cui rappresenta suo malgrado l’anello più alto. La sua indole riflessiva e malinconica contrasta con quella del mentore, l’eccessivo Lestat. Questi è smaliziato, e convinto della propria superiorità sui mortali, li considera niente altro che un gregge di cui sostentarsi, e li uccide dopo aver giocato con loro come fa il gatto col topo.

La convivenza tra i due protagonisti fa poco a poco emergere le enormi differenze di carattere; ed i dissidi si acuiscono dopo che Lestat vampirizza la piccola Claudia – un’angelica orfanella, forse già contagiata dalla peste che le ha ucciso i genitori – per avere una figlia insieme a Luis e cementare la coppia che si sta sfaldando.

La bambina viene condannata a trascorrere l’eternità in un corpo infantile a causa dell’egoismo di Lestat, e, mentre la sua mente cresce e matura nell’esperienza dei decenni, l’aspetto rimane immutato.

Trattata come una bambola di biscuit, sfoggia il fascino di una gothic lolita e rivela sentimenti sempre più adulti, insostenibili in un ménage a trois. Assomiglia per spregiudicatezza a Lestat, ma può riflettere sulla sua condizione di eterna bambina, e detestarsi, con tutta quella sensibilità che è propria di Luis, nel quale suscita peraltro emozioni contrastanti. Sarà proprio lei a dividere la coppia in modo definitivo. Giunge addirittura a uccidere Lestat con l’inganno; o almeno ci prova, poiché questi ricompare dopo qualche mese, alla vigilia della partenza per l’Europa, e viene arso da Luis.

Claudia è ossessionata dal desiderio di scoprire l’esistenza di altri vampiri, e gira il Vecchio Mondo insieme a Luis. Questi fa di tutto per renderla felice e accontentarla in quella che parrebbe una ricerca impossibile.

A Parigi, nascosta all’ombra di un teatro che mette in scena commedie stile Grand Guignol, una comunità di vampiri finge di appartenere al genere umano, e interpreta sé stessa nello spazio delle quinte, davanti al pubblico ignaro. Nel capo dei teatranti, Armand, Luis crede di trovare una guida per meglio conoscere se stesso; invece l’alleato si rivela una creatura ancora più astuta e crudele di Lestat.

Appena Armand scopre che Luis ha vampirizzato Madeleine, una donna a cui era morta una bambina e che era pronta a fare da madre a Claudia lasciando libero Luis da obblighi nei confronti della “piccina”, permette che i suoi simili giustizino le due vampire.

La legge dei vampiri, infatti, condanna alla definitiva morte quanti diano origine a nuove creature senza permesso, tanto più se sono individui incapaci per giovane età o condizione fisica di provvedere a loro stessi.

Dopo la drammatica dissoluzione delle donne, Luis incendia il teatro e i suoi sottostanti abitatori, e sconfigge Armand. Non è la solita vendetta sterile, o trionfale: dal confronto con l’avversario ottiene una lezione esistenziale, da cui esce vincitore. Infatti riesce a rifiutare la compagnia del potente vampiro, e lo abbandona tra i resti del teatro, per proseguire la sua esistenza di reietto senza accettare compromessi.

Troppo umano per far parte del consorzio dei vampiri, ma troppo diverso dai mortali, incapace di porre fine alla propria vita attendendo l’ultima alba, torna nella nativa città di New Orleans.

Scopre che Lestat vive ancora, ma è ormai ridotto l’ombra di sé stesso, incapace di adattarsi alla nuova era, tanto da venir terrorizzato dai fari di un elicottero che scambia per l’alba.

Luis saluta un’ultima volta il compagno del suo passato e prosegue la sua esistenza in solitudine, tra ricordi e rimpianti, senza riuscire a comunicare il senso della sua esperienza al giornalista.

Alla fine del racconto, anche Daniel è attratto dal potere del vampiro, vorrebbe il dono oscuro a sua volta, senza aver compreso il dolore proprio di quella condizione. Luis scompare prima di commettere qualcosa di cui potrebbe pentirsi, il giornalista fugge… Lestat forse lo accontenterà…

DRACULA RELOADED

Dal 1922 (anno in cui uscì il mitico Nosferatu di FRIEDRICH MURNAU) fino ad oggi, i film dedicati alla figura del vampiro sono stati oltre ottanta. In questo approssimato totale non sono però incluse le apparizioni in telefilm, cartoni animati e in videogame, né la semisconosciuta cinematografia del sud-est asiatico: altrimenti la cifra salirebbe molto. Segno inequivocabile di quanto la figura del Non-Morto sia e resti radicata nell’immaginario delle platee mondiali, anche giovanissime, se si pensa ai cartoon del Conte Dackula o alle incursioni nei castelli di Scooby Doo. Un mostro famosissimo, quindi, che ha tuttavia attraversato una vita artistica costellata di alti e bassi. Le prime pellicole hanno presentato il personaggio con l’intento di spaventare lo spettatore, altre hanno tentato la difficile strada del fascino e della seduzione, mentre le performance più recenti si sono spesso divise tra i facili toni della commedia trash, e quelli dell’inutile videoclip traboccante di effetti speciali. Quasi sempre, si tratta di mediocri quanto onesti B movie, che ripropongono stereotipi collaudati, e condannano il povero Non-Morto a ripetere sé stesso all’infinito, dopo aver espresso tutte le sue caratteristiche migliori nei capolavori del passato.

Ci sono per fortuna alcune rare eccezioni, che sorprendono piacevolmente. Si tratta di film che si distaccano dai luoghi comuni e rendono nuova “vita” al personaggio, reinterpretandolo. Intervista col Vampiro è una di queste fortunate pellicole.

È basata sull’omonimo testo di ANNE RICE; la stessa scrittrice ha curato la trasposizione della sua opera garantendo adattamenti ragionati nella sceneggiatura. Consapevole di non poter tradurre ogni pagina in immagine, ha eliminato tutti gli avvenimenti secondari non indispensabili per la comprensione, rendendoci un’immagine di Lestat e di Louis semplificata ma abbastanza fedele.

Geniale l’idea di base, analoga per certi versi a quella voluta dalla J.K. ROWLING per Harry Potter ed il suo mondo magico. La scrittrice scozzese ha immaginato un mondo parallelo al nostro in cui la stregoneria è parte integrante della vita di chiunque nasca dotato di poteri sovrannaturali; dà vita ad un “altro-dove” che convive con il nostro oggi, senza essere l’utopica società ideale e riflettendo con ironia britannica le pecche della nostra realtà. Qualcosa di analogo avviene con ANNE RICE. La scrittrice americana estende il fenomeno del vampirismo all’intera umanità, presuppone che queste creature esistano da millenni, proprio come affermano le leggende di tutto il mondo. Non a caso, i suoi figli delle tenebre rispecchiano diverse tradizioni. L’Autrice ne descrive la società, e la peculiare cultura, i riti e le paranoie. Mette in luce gerarchie e regole, parallele alle nostre e nel contempo, diverse.

L’icona tradizionale del vampiro, ormai troppo sfruttata, va a frantumarsi e viene ricomposta in modo originale. Le debolezze narrate dalle leggende sono sostituite da altre, più verosimili e non meno dolorose. Sono costretti a bere il sangue da vittime morte da poco, non possono girare di giorno, devono mantenere un certo riserbo. L’immortalità porta con sé il male di vivere; la sete spesso domina le nottate, sostituendo la frenesia di caccia e la soddisfazione di un bisogno materiale a qualsiasi altra emozione. Il mondo cambia rapido attorno al vampiro, che resta spaesato ed incapace di adattarsi al mutare delle ere, proprio come avviene ai vampiri-attori parigini. La stanchezza dell’esistere, la solitudine, sono i principali nemici. Nessun mortale pare poter avere il sopravvento sui vampiri, che d’altra parte affidano la propria sopravvivenza a complesse gerarchie, al basso numero e, soprattutto, alla segretezza.

Niente più crocifissi, ostie consacrate, o ennesimi revival di Dracula tra cimiteri e donne poco vestite. L’unico modo per far uscire il personaggio dal circolo vizioso della banalità è affidato alla ricostruzione del suo mondo, esteriore ed interiore. Per questa ragione il film insiste molto sull’introspezione dei personaggi, caso abbastanza isolato nella cinematografia horror.

La pellicola si adegua al bisogno di narrare i sentimenti e le motivazioni dei protagonisti; riesce a mantenere una certa verosimiglianza, a prezzo di una narrazione che alterna sequenze assai liriche a momenti più prosaici e anche un po’ lenti. Molto bella la parte iniziale, la sorda disperazione di Luis e il suo accettare la proposta di Lestat. Indimenticabile la figura di Claudia, dolorosa l’esecuzione e realistico il fatto che Luis non arrivi in tempo a salvarla dal sorgere del sole. Struggente è l’omaggio alla Settima Arte e al suo potere di mimesi del reale: il protagonista può vedere di nuovo l’alba… ma solo al cinema, sullo schermo, l’unico mezzo capace di rendergli l’illusione del sorgere del sole, che sia il bianco argenteo del finale del Nosferatu di MURNAU, gli arancio e i porpora di Via col Vento, lo spazio attorno alla Terra attraversato da Superman.

Le atmosfere gotiche, neanche a dirlo, pervadono ogni fotogramma, la paura è affidata alla diversità e al rapporto tra creature apparentemente simili a noi, in realtà diversissime. I dialoghi sono abbastanza convincenti, a patto di voler assumere il punto di vista delle creature, senza esigere antropocentrismi quanto mai fuori luogo.

La fotografia ha il tono scolorito del passato, e gli effetti speciali appaiono sobri, usati quando effettivamente occorre, valorizzati dal montaggio azzeccato, senza fastidiosi saggi di bravura. Le musiche variano dall’orchestrale al gothic industrial, ai GUNS N’ ROSES, e accompagnano le immagini senza sopraffarle, come avverrà del mediocre sequel La regina dei Dannati (film sempre derivato dalle opere di Anne Rice, ma di qualità ben diversa, una specie di mix tra sfilata di moda, videoclip e softcore movie).

INTELLIGENTI TRASGRESSIONI

Inutile nasconderlo: il film ha avuto un lancio pubblicitario ispirato allo scandalo, un po’ come le campagne promozionali della Hammer Production, con tanto di cartelli che sconsigliavano la pellicola alle donne incinte, e divieti ai minori di diciotto anni. In alcune sale, ci sono stati malori, probabilmente inscenati da claque prezzolata, anche se fatti passar per autentici.

In altre occasioni il rating destinato ai maggiorenni è stato un comodo espediente per richiamare l’attenzione su pellicole altrimenti banali, in questo caso è più che giustificato, per il modo di affrontare l’argomento, per il forte coinvolgimento emotivo, per i dilemmi morali che lascia aperti o piuttosto risolve, in modo però troppo ambiguo per un giovanissimo.

Le scene scabrose e ributtanti ci sono, e colpiscono non tanto per quello che rappresentano – prostitute, cadaveri, omicidi, corpi nudi, violenza – quanto piuttosto per l’atmosfera di claustrofobia e dannazione (ultra)terrena.

Nel momento in cui lo spettatore decide di prestar fede alla testimonianza di Luis, accetta di assumere il punto di vista dei vampiri. E così è giusto che sia, altrimenti l’intera vicenda scivola nell’involontaria farsa, tra lolite, coppie gay e siparietti sado-maso. Non ci sono personaggi mortali in cui riconoscersi e identificarsi, né come eroi né come antagonisti. Schiavi, passanti, avventori di saloon, prostitute e nobiltà, tutti sono accessori di scena, al pari di mobili e abiti, al massimo pronunciano una decina di battute peraltro poco significative.

La creatura più umana è Luis, che mantiene passioni, sentimenti e una certa moralità, seppure aberrante. Pur assomigliando esteriormente alle sue vittime, si trova a doverle considerare più o meno come il grosso dell’umanità tratta gli animali allevati per la carne. Rispetto ai suoi simili Luis è diverso: conserva la curiosità e l’apertura mentale necessarie a adattarsi al trascorrere degli anni. Il desiderio di conoscenza è forse la forza che gli impedisce d’immolarsi alla luce del sole. E, per quanto concessogli dalle peripezie che affronta, cerca di non abusare dei propri poteri sovrannaturali. Ha una coscienza, e quindi si rende conto di aver avuto la possibilità di scegliere, e di averla sprecata, garantendosi un’eternità di solitudine e dolore. D’altronde il trasgressivo Lestat gli aveva messo davanti solo gli aspetti favorevoli del dono oscuro, per egoismo o, forse, perché era tanto a suo agio nella natura di figlio delle tenebre da non provare rimorso o rimpianto.

Nessuno ci racconta se, dopo la separazione da Lestat, da Claudia e da Armand, Luis torni a cacciare topi o animali, se assalga le sue vittime senza portarle alla morte, o se invece uccida. La vaghezza sull’argomento è un pregio, che lascia libero lo spettatore di riempire il vuoto con le proprie spiegazioni, senza proporne di preconfezionate e magari discutibili. In fondo, importa sapere che Luis è arrivato ad accettare il proprio essere, si fa scrupoli, ha sentimenti analoghi a quelli dei mortali di cui si ciba, e, unico nella sua specie, prova amore, per Claudia e per la conoscenza di sé stesso, del mondo. Un vampiro con l’anima di un uomo.

Nonostante la sua complessa psicologia, rimane un assassino, e il meccanismo di proiezione che lo spettatore – anche inconsapevolmente – mette in atto nei suoi confronti può non essere immediato.

La morale si relativizza, i delitti passano in secondo piano, viene valorizzato il percorso di maturazione e autocoscienza della creatura – vampiro o mortale sia. Lo spettatore maturo ben separa la verità dalla finzione cinematografica e romanzesca, e astrae un messaggio di desiderio di poter essere sé stessi, di libertà o, piuttosto, di un laico libero arbitrio. Non a caso, nessuna divinità ha effetto sui vampiri, nessun crocifisso o scudo di Davide può esorcizzare le creature. Il divino può esistere o meno, in ogni caso non compare nella vita dei vampiri come non interviene mostrandosi esplicitamente nella vita dei mortali. Niente angeli, o demoni, o Satana, non c’è premio né punizione se non quelli che la coscienza assegna a se stessa. Il vero nemico è, per Luis, se stesso; per gli altri, è la rigidità mentale. In ogni caso l’inferno è tutto terreno!

Inoltre c’è il problema complesso dei rapporti tra non-morti: difficile valutarli senza ricordare che non hanno un corrispettivo nella realtà. Luis e Lestat non sono una coppia gay, Claudia non è una musa per pedofili, Armand non è necessariamente l’amante di Luis… eppure possono apparire in

questo modo all’occhio di uno spettatore superficiale, o che ignora i romanzi della ANNE RICE e le sue elaborate speculazioni filosofiche. Forse proprio per evitare equivoci volgari e rozzi, la scrittrice ha espressamente vietato l’utilizzo dei suoi personaggi per le fan fiction, ovvero i racconti pubblicati in rete da dilettanti appassionati, che rivivono o inventano capitoli di saghe con eroi resi celebri da altri. Che poi le fan fiction violino il diritto d’autore, è cosa discutibilissima e non troverà molti Grandi d’accordo con la Signora del Gotico del terzo millennio.

Tristi superuomini, i vampiri si rivelano creature potenti e disperate, dotate di una propria sensualità fatta di ricordi della vita trascorsa. Queste creature sono spinte al contatto fisico dalla sola brama di soddisfare la sete. Ne è riprova il fatto che, in un film dalle molte situazioni ambigue, vietato ai minori, il rapporto più osé mostrato sono i baci rivolti alle vittime prima del morso fatale! Inoltre, le poche battute affidate a una domestica, lasciano capire che Luis, oltre a non mangiare, non va più a tenerle compagnia. La sessualità rimane come elemento di richiamo per gli sfortunati esseri umani, che cadono nel tranello di una facile conquista e finiscono i loro giorni dissanguati. Oppure è un ambiguo inganno: chi assiste al film applica criteri di giudizio caratteristici della nostra società a un tipo di relazione sconosciuta alla condizione dell’essere umano. Chi guarda finisce per scambiare affinità elettive con amicizie gay, o pedofile. I vampiri possono scegliersi dei compagni con cui dividere l’eternità di solitudine a cui sarebbero altrimenti condannati; e questi compagni devono essere mortali privi di menomazioni, adulti e di bell’aspetto, poiché è crudeltà costringere una creatura che odia il suo corpo a doverci convivere a tempo indefinito; devono essere inoltre maturi per scegliere consapevolmente le tenebre, e sani, per non dipendere da un mentore. La scelta di trasmettere il dono dell’immortalità non è un privilegio per tutti, e chi decide di concedere un simile dono deve essere conscio di creare un legame con la sua progenie. Nasce appunto un’affinità elettiva, sconosciuta alla maggior pare delle persone. Come se ciascuno scegliesse il partner discriminando unicamente il carattere, la cultura e i gusti, il modo di vivere e di provare emozioni…

Né i narratori si impegnano a lungo per chiarire l’equivoco, dato che la trasgressione è un valido elemento, ben commerciabile. E, nel caso di questa pellicola, è una trasgressione autentica e intelligente.


Cuccussétte vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE   https://www.terrediconfine.eu/intervista-col-vampiro/

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