LOST IN SPACE

Nel 2058 l’umanità vive in una Terra sovrappopolato e inquinato, ormai privo di risorse. Per poter colonizzare nuovi mondi, gli scienziati hanno messo a punto l’hypergate, un complesso macchinario capace di rendere possibile il trasporto istantaneo; esso funziona come una sorta di portale, che necessita però di un terminale gemello posto nel luogo di arrivo. La famiglia Robinson è pronta a imbarcarsi sull’astronave Jupiter per dirigersi  verso il remoto Alpha 1, l’unico pianeta abitabile scoperto, proprio col compito di costruirvi un altro hypergate. Il programma prevede che i viaggiatori affrontino in animazione sospesa i molti anni di viaggio, per risvegliarsi in prossimità del pianeta.

A causa di una minaccia terroristica, la missione parte in anticipo, ma a bordo della Jupiter rimane un sabotatore le cui azioni rischiano di provocare la distruzione della nave. Fuori controllo, il vascello si trova sul punto di cadere nel sole e, per evitare la catastrofe, i Robinson sono costretti a usare l’hypergate in dotazione. Privi di riferimenti, il salto nell’iperspazio li porta a perdersi in un punto imprecisato della Galassia…

ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Lost in Space – Perduti nello spazio è un film ispirato all’omonima serie americana molto popolare negli anni Sessanta, caratterizzata da effetti speciali artigianali, desiderio di suscitare meraviglia, trame lineari condite da umorismo, buoni sentimenti e valori tradizionali. Si rivolge alle famiglie e cerca di intrattenerlo con una vicenda semplice e pulita. Ne sono protagonisti appunto i membri di una famiglia, il linguaggio è adatto anche ai più piccoli, le scene violente lasciano i particolari crudi all’immaginazione.

Nel remake cinematografico di Steven Hopkins le intenzioni revival vengono in buona parte soddisfatte. Gli effetti speciali colpiscono lo spettatore, che si trova immerso in un mondo futuribile rappresentato secondo l’estetica a lui più familiare. Lo schermo si popola di stazioni orbitanti, sparatorie tra astronavi, grandi megalopoli, interni dal design minimale, ologrammi, videotelefoni, alieni bizzarri o teneri… Dal punto di vista visivo, la pellicola è un ottimo lavoro d’equipe realizzato con abbondanza di mezzi e un cast di attori affermati. Le prodezze della grafica digitale sono esibite con lo stesso ingenuo entusiasmo che animò a suo tempo le riprese del telefilm.

Le motivazioni che spingono i Robinson a partire sono invece di drammatica attualità: lo spirito del pioniere è mosso dal disastro ambientale che incombe sulla Terra. Il messaggio ecologista è esplicito: lo strato di ozono è sempre più sottile, le megalopoli occupano uno sconfinato deserto, i combustibili sono quasi esauriti e gli impianti di riciclaggio sono stati messi a punto troppo tardi per rimediare ai danni. La visione apocalittica del futuro non appartiene al modo di pensare dell’America degli anni Sessanta, è un monito tipico dei nostri giorni.

I personaggi seguono gli stereotipi più consueti del cinema di genere: come i vecchi eroi Disney, sono di aspetto piacevole, sono o buoni o perfidi, e molto prevedibili. È scontato che i Robinson se la cavino in ogni situazione e a testa alta, perché far morire un giovane o un genitore è un tabù inviolabile in un film che vuole accattivarsi le simpatie degli spettatori più giovani e dei genitori che li accompagnano in sala. La famigliola è costruita appositamente per questo, anche se i meccanismi di identificazione stentano a decollare proprio a causa delle poche sfumature psicologiche e della prevedibilità delle avventure.

Come nel vecchio telefilm, ritroviamo un padre coraggioso e intrepido, una madre protettiva, una figlia grande destinata a fare la bella in pericolo, una sorella teenager ribelle e vanitosa, un fratellino enfant prodige, un pilota giovane, rozzo e impulsivo, un villain d’eccezione. In un mondo minacciato dalla sovrappopolazione, dall’inquinamento e forse anche dalla povertà, tutti i protagonisti sono privilegiati, esperti in diversi campi della scienza, insomma degli eletti, animati da spirito pionieristico o da motivazioni poco credibili. Queste ultime riguardano il dello scienziato sabotatore, le ragioni del cui tradimento sono piuttosto oscure: se il pianeta Terra è in reale pericolo, il sabotare per denaro la missione che potrebbe salvarlo è una mossa un po’ autolesionistica. Poteva essere invece un meraviglioso anti eroe, un ecologista radicale analogo per molti versi allo Ian Malcom della saga di Jurassic Park, se solo il regista avesse speso qualche sequenza e un paio di battute per renderlo più verosimile.

Anche i Robinson sono piuttosto banalizzati. Le riflessioni sul ruolo dei genitori, sui modelli educativi, sullo scontro tra generazioni potrebbero essere interessanti se ogni spettatore fosse lasciato libero di trarre le proprie personali conclusioni. Lost in space invece accenna con superficialità a questi temi e fornisce risposte preconfezionate, ispirate all’etica puritana. I dialoghi trasudano retorica, ripropongono luoghi comuni e purtroppo rallentano l’azione, finendo per frenare le movimentate avventure. Già nel 1965 la serie appariva poco innovativa, e gli sceneggiatori dovettero passare dai toni drammatici della prima stagione all’umorismo disimpegnato, da parodia castigata, degli episodi successivi. Certo non si può pretendere che un telefilm di fantascienza si trasformi in uno studio su vizi e virtù di un popolo, ma le riflessioni d’attualità che trapelano sono ciò che può rendere una serie memorabile. Basta pensare al bacio interrazziale del Capitano Kirk e della bellissima Uhura, o alla personalità e alle inclinazioni di Jack Harness, il protagonista di Torchwood. Uno dei grandi pregi della fantascienza è proprio la capacità di farci riflettere su temi di attualità sfuggendo a stereotipi e consuetudini! Pochi anni dividono le disavventure dei primi Robinson da quelle del variopinto equipaggio dell’Enterprise, anni che sembrano decenni tanto è diverso l’approccio ai problemi sociali.

Il remake impone di non trasformare troppo gli eroi, ma i modelli a cui essi si ispirano funzionavano bene nel 1965, sul piccolo schermo, amati da un pubblico ingenuo; riproposti oggi appaiono irrimediabilmente datati, e non basta il dispiego di grafica digitale a renderli più moderni: nessun uomo vorrebbe essere protettivo, onesto e ottuso come il signor Robinson, né spaccone e burino come il pilota della Jupiter; e non tutte le donne aspirano a essere materne, concrete e di scarso rilievo come mamma Robinson. Forse è fisiologico che tutti i film per famiglie stentino a trovare il tono giusto per intrattenere generazioni diverse, e la pellicola di Steven Hopkins non fa eccezione.

Per il resto la vicenda scorre lieve proprio come se si trattasse di più episodi di telefilm trasmessi di seguito, legati da un’esile sottotrama. Si giunge all’obbligato happy end tra paradossi temporali, virtuosismi digitali, dialoghi che in diverse occasioni sfiorano il ridicolo o lo stucchevoli, e una morale ribadita in continuazione, tanto esplicita da risultare irritante.

C’era l’intenzione di realizzare un remake televisivo, se la pellicola avesse avuto successo, ma il pubblico ha decretato a ragione che la versione per il grande schermo bastava e avanzava.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE  https://www.terrediconfine.eu/lost-in-space-perduti-nello-spazio/

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