CONAN IL BARBARO
Tolkien con Il Signore degli Anelli e le altre opere ambientate nel mondo di Arda rappresenta la faccia più colta della letteratura fantasy, ispirata da vaste conoscenze delle saghe antiche e soffusa dalla malinconia per un mondo smarrito nel nostro passato. L’opera del grande scrittore inglese ha rivoluzionato il genere, fino ad allora prevalentemente confinato nelle riviste pulp come Weird tales e Amazing Stories. Tranne rare eccezioni, gli eroi del fantasy erano quasi supereroi e le loro vite erano scandite da avventure senza fine. I racconti che narravano le loro imprese appartenevano alla narrativa popolare, stampata su carta da poco prezzo e snobbata dalla critica. Padre di questo genere, Robert Ervin Howard, creatore di Conan il Cimmero, un barbaro astuto e forte armato di una spada portentosa. L’eroe apparve per la prima volta nel racconto La fenice sulla lama del 1932 sulla rivista Weird Tales, per poi divenire negli anni settanta anche un fumetto disegnato da Barry Windsor-Smith e John Buscema .
Il muscoloso eroe viene portato sul grande schermo all’inizio degli anni ‘80 da John Milius. Il regista interpreta l’eroe attingendo a piene mani dai molti racconti esistenti, scelti sia tra quelli scritti da Howard, sia tra quelli creati dai seguaci dello scrittore americano, Sprague de Camp e Lin Carter su tutti. La sceneggiatura si destreggia tra i libri e i fumetti ricreando la particolare ambientazione dell’Era Hyboriana: un’epoca immaginaria, collocata tra “la caduta di Atlantide e l’ascesa dei figli di Ario”, popolata da civiltà diverse da quelle che conosciamo oggi e pervasa dalla magia oscura. E’ un immaginario medioevo barbarico con regni esotici, maghi potenti, creature leggendarie spesso letali adorate da sciamani e sacerdoti.
Il film ci mostra la giovinezza di Conan il Cimmero (Arnold Schwarznegger), sopravvissuto al massacro della sua gente, fatto schiavo ed usato come gladiatore nelle arene. La conquista della libertà, i suoi primi vagabondaggi, il ritrovamento della spada, il rapporto conflittuale con la magia, sono riassunti con rara efficacia. Le avventure successive rispettano in pieno la poetica dell’autore. Il nostro eroe è forte, ingenuo, lotta contro i maghi o meglio, i sacerdoti. I poteri sovrannaturali esistono e sono spaventosi: vengono donati da divinità oscure, raramente sono finalizzati al bene o anche solo al mantenimento dell’equilibrio. I culti organizzati sono pericolosi in quanto nel migliore dei casi illudono i fedeli con false promesse ed intanto spillano denaro agli ingenui credenti. Parecchi maghi sono preti dediti alla magia nera, con tanto di sacrifici umani ed evocazioni di entità più antiche dell’uomo. Il mondo di Conan è potentemente laico e incorpora - o piuttosto non disdice - la cosmogonia creata da H.P. Lovecraft con i suoi miti di Cthuhlu. L’uomo non è il solo essere intelligente sulla faccia della Terra, altre razze umanoidi abitano il pianeta da tempi immemori; gli dei sono malvagi o più spesso indifferenti, concedono poteri sovrannaturali agli adepti più fedeli in cambio di sacrifici o della fedeltà più assoluta. Per il giovane Conan il nemico è Tulsa Doom (James Earl Jones), l’uomo che uccise la sua famiglia quando ancora era un bambino, e che una ventina d’anni più tardi è divenuto il sommo sacerdote del Dio Serpente, un culto che si è diffuso in molti regni.
La pellicola narra una storia di vendetta, di disillusione, con l’eroe che si contrappone all’entropia che minaccia il mondo ma agisce più per il proprio tornaconto che per un’ideale di giustizia innata o inculcata dalla cosiddetta ‘civiltà’. Il tono della narrazione è decisamente adulto, non soltanto per le scene di sesso e violenza: il cammino del Cimmero e dei suoi alleati è lontano dalle rassicuranti fiabe con personaggi buoni o cattivi ben riconoscibili anche da parte degli spettatori più giovani. Più che un contrasto tra bene e male c’è lo scontro tra l’ingenua e onesta mentalità del ‘selvaggio’ e la ‘civiltà’ con la sua ipocrisia e la corruzione.
Nell’intera pellicola si parla poco, le rare battute sfuggono a una certa piattezza che troppo spesso affligge i personaggi delle saghe epiche, laddove l’attenzione dello spettatore è catturata dall’ azione e dal senso di meraviglia delle scenografie e si bada poco all’introspezione. Grazie anche ai contributi nella sceneggiatura di Oliver Stone, quanto viene detto è essenziale, epico, talvolta buffo e sempre significativo e funzionale al dipanarsi degli eventi. Nessuno agisce seguendo la morale e i valori diffusi nella nostra società attuale, tutti invece si comportano in modo coerente con l’ambientazione, senza voler empatizzare con gli spettatori di oggi o cedere a lezioni morali degne dei cartoni animati della serie Masters of the Universe.
Le ingenuità ci sono, e sono quelle proprie del genere Sword and Sorcery: un intreccio lineare a abbastanza prevedibile, una recitazione basata sulla stessa fisicità degli attori, l’esagerazione di alcune sequenze di lotta e le scenografie un po’ teatrali e kitsch. Sono difetti perdonabili, contestualizzando il periodo in cui il film è stato realizzato, il tipo di effetti speciali allora disponibili, l’esigenza di spiegare cosa fosse un fantasy di quel tipo a una platea ignara.
Schwarznegger è perfetto per il ruolo: ha un fisico statuario che più volte gli è valso il titolo di campione mondiale di body building, un viso piacevole ma duro quanto basta a farlo credere un guerriero abituato ai disagi, alla violenza, ai pericoli di una vita trascorsa ora nel lusso, ora in miseria. Dopo aver visto questa pellicola, sarà praticamente impossibile dare un volto diverso ai nostri eroi, anche se Howard ha dato a Conan occhi grigi e capelli neri su un corpo muscoloso e abbronzato solcato da cicatrici e svariati illustratori lo hanno immaginato in modo diverso. Valeria ( Sandahl Bergman) è lo stesso assai credibile: si muove come chi ha praticato molti anni di arti marziali, è bella ma non di una bellezza perfetta, leziosa o appariscente, da pin up. La scelta accontenta l’occhio e il pubblico smaliziato, perché emerge un personaggio vero e proprio, lontano anni luce dalle donzelle da salvare o dalle principesse che costituiscono il premio partita, come c’erano nei videogiochi arcade del periodo. Le accuse di sessismo sembrano quindi abbastanza superficiali e fuori luogo, perché nell’Era Hyboriana ci sono tante donnette e poi c’è Valeria che è tutto tranne che leziosa, civettuola o specchietto per allodole. La morte dell’avventuriera matura Conan e lo condanna alla solitudine, in quanto donne come Valeria sono eccezioni. Anche divenuto sire, il barbaro non troverà mai una compagna capace di corrisponderlo da pari a pari. In questo modo viene data una spiegazione al fatto che nei racconti di Howard, dopo la sfortunata unione con la piratessa Belit Conan diverrà re e infine sposerà Zenobia, avendone figli più per dovere di sovrano che per vero amore. Del resto la natura stessa del personaggio e il tipo di vicende narrate pongono la sfida con l’ignoto in primo piano mentre certi episodi sentimentali, lontani dall’ accrescere la fisionomia del barbaro, disturberebbero la trama stessa. Nel film poi la scelta è coraggiosa, e anche più radicale di quanto non sia detto nei racconti. Dimentichiamo pure le bellezze in bikini come nelle illustrazioni di Frank Frazetta, pronte a mostrare le curve davanti a mostri e a essere difese dal barbaro a spadone levato al cielo. E’ vero che i costumi sono ridotti al minimo però esaltano i corpi colti nella loro plasticità di guerrieri, mentre l’erotismo è riservato ai personaggi secondari di scarso valore. Milius limita il facile richiamo della carne a poche sequenze molto esplicite, finalizzate a definire il carattere ingenuo del barbaro o a mostrare la perversione di Tulsa Doom.
Conan è un uomo destinato a non avere radici, o legami fissi, potente quanto incapace di rapportarsi col mondo oltre alle sue avventure. E’ pirata, ladro, avventuriero e soprattutto è se’ stesso solo quando impugna la spada e combatte, non conosce altro modo di rapportarsi con la realtà e nemmeno lo apprezzerebbe. Il senso della vita di questo eroe è proprio la sfida continua che non potrà mai venire soddisfatta del tutto, pena la perdita della sua stessa identità. Il barbaro rifiuta una vita da re col suo regno come ce ne sono tanti altri, con responsabilità quotidiane, legami ed affetti, in nome di un legame con la donna ideale che, proprio perché morta, diviene sempre più idealizzata nella memoria. C’ è una struggente malinconia di fondo che riscatta l’eroe, rende le sue conquiste velate dalla perdita. Conan è vittorioso quanto incapace di vivere in una società organizzata, e sappiamo di lui dai racconti di uno sconosciuto biografo: sia l’eroe che il narratore sono polvere da millenni quando il lettore verrà a conoscenza delle gesta. L’abbondanza di campi lunghi, le sequenze della corsa dell’eroe finalmente libero nella pianura sconfinata sono memorabili e significative, in quanto mostrano la compiutezza dell’eroe, solo e in perenne movimento.
Diritti d’autore a parte, la natura stessa di Conan motiva il fatto che il cinema mitologico lo abbia sempre lasciato fuori dallo schermo. «"La barbarie è lo stato naturale dell'umanità", disse l'uomo della frontiera guardando ancora seriamente il cimmero. "La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la barbarie, alla fine, deve sempre trionfare."» scrisse Howard. Il pessimismo aleggia sulle avventure, Conan è un antieroe non immorale ma amorale, la civiltà è una patina di formalismi che alla prima occasione va in pezzi, gli dei o non esistono o sono poco benevoli, la vita degli avventurieri è precaria…e anche quando riportano la pace, nessuno garantisce che il popolo preferisca il nuovo sovrano o ch questi sia una persona retta e illuminata. Tanta cupezza è estranea alle gesta di Ursus, Maciste e simili. I muscolosi eroi del peplum lottano per ristabilire la giustizia e vincono sempre, acclamati dal popolo che alla fine vede sul trono un suo rappresentante. Se qualcuno tra i gli alleati del protagonista cade, ha avuto così poco rilievo nella vicenda da non turbare troppo lo spettatore e la sua uscita di scena non turba a gioia del trionfo. La differenza qualitativa tra Conan il Barbaro e i vecchi film mitologici è sancita in primo luogo dalla diversa concezione della vita che fa da substrato alle avventure. Ovviamente ci sono altre differenze dovute al fatto che il film di Milius ha altri mezzi alle spalle, impensabili nella Cinecittà degli anni Sessanta. Conan il Barbaro vive di una sceneggiatura scritta da Oliver Stone e rivisitata da Milius, è sostenuto da una colonna sonora di Basil Poleduris tanto memorabile da essersi meritata esecuzioni in forma di concerto, la fotografia è impeccabile ed esalta la plasticità di corpi e scene, le scenografie che ci trasportano in altri tempi. Alcuni ambienti sono stati ricostruiti in studio come avveniva nei peplum, altri sono siti archeologici poco conosciuti, o che lo erano ancora all’inizio degli anni Ottanta. L’impatto visivo è senza pari considerando i mezzi disponibili, e il riuscito mix tra effetti speciali artigianali e location ben selezionate permette alla pellicola di poter rivaleggiare con tante produzioni attuali.
I risultati sono quindi lontanissimi da quelli ottenuti dai nostri eroi caserecci. Rispetto al passato, c’ è meno umorismo, semmai emerge una certa dose di ironia, che prende forma di riflessioni filosofiche sul senso della vita, di dispute teologiche sulle divinità più potenti, di atteggiamenti ridicoli di eroi che se la spassano e si ubriacano, e che spesso non sono esempio di virtù. Sono scelte stilistiche ben precise, coraggiose e capaci di trasformare un film di avventura in costume in un cult scorretto, ateo, epico e disilluso. Non è un caso se il remake del 2011 diretto da Marcus Nispel, che modera gli argomenti più discutibili, si è rivelato un flop al botteghino e ha fatto inorridire i critici.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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