IL GIRO DEL MONDO IN 80 GIORNI - serie BBC

Il Giro del Mondo in 80 giorni di Jules Verne è un romanzo ricco di azione e di ironia, amato da grandi e piccini. La lunghezza contenuta, gli elementi sentimentali suggeriti e lasciati fuori scena, il ritmo vivace lo hanno reso un classico intramontabile. Dal lontano 1872 continua ad essere apprezzato, almeno in libreria. Sullo schermo le trasposizioni non sono mancate, alcune memorabili, altre meno riuscite. Tutte hanno dovuto fare i conti con la crescente popolarità del testo e con la crescente diffusione di documentari e di viaggi low cost in terre esotiche. Da molti anni la scommessa del gentleman Phileas Fogg e le sue peripezie sono note, troppo note per poter emozionare riproponendo la storia con fedeltà alla pagina. Per suscitare la stessa meraviglia di cui godettero i lettori vittoriani e della Belle Epoque, gli sceneggiatori sono stati costretti a modificare radicalmente l’intreccio, introducendo variazioni sempre più marcate ad ogni reboot. Ne è esempio la serie del 1989 con Pierce Brosnan: la vicenda viene modificata pur di fare incontrare al protagonista Sarah Bernhardt, Louis Pasteur, Jesse James, la Regina Vittoria… La versione cinematografica di Frank Coraci del 2004 va direttamente a cambiare la natura dei protagonisti, con Phileas Fogg inventore steampunk e Passepartout ladro cinese. E’ un film leggero, privo di ambizioni artistiche e forse dimenticabile, però insieme ad altri titoli analoghi è riuscito ad aprire la strada a rivisitazioni sempre più ardite. Al cinema, nel nuovo millennio, le opere di Verne o di qualsiasi altro grande autore del passato vengono omaggiate, la loro genialità viene acclamata, e contemporaneamente vengono tradite. Con la certezza di non infrangere il copyright ormai scaduto, gli intrecci vengono addizionati di episodi apocrifi, e i personaggi subiscono restyling anche molto pesanti, pur di venire incontro alla sensibilità moderna o appoggiare ideologie progressiste.
E’ quanto avviene anche nella televisiva prodotta in collaborazione con la BBC inglese, la ZDF tedesca e France Télévisions. Dopo una lunga lavorazione resa più gravosa dal dover rispettare le norme anti pandemia, nel 2021 la BBC ha finalmente distribuito la propria versione del romanzo.
La miniserie diretta da Steve Barron, Brian Kelly e Charles Beeson recupera parecchie delle invenzioni della serie del 1989 e del  film del 2004. Non si tratta di un arrangiamento in salsa fantasy sulla falsariga della trasposizione di Moby Dick con i draghi in Age of the Dragons, oppure di una rivisitazione  con elementi fantasy esasperati. E’ invece un’operazione di attualizzazione che recupera molto di quanto s’era visto nella vecchia serie,  e lo declina mettendo in primo piano valori di inclusione sociale. In parte è un processo analogo alla rivisitazione kitsch che la fortunata serie Bridgerton fa della Reggenza. II bel nobile di colore che amoreggia con dame europee e gli abiti dalle tinte psichedeliche scaraventano lo spettatore in un clima fiabesco, da parodia dei vecchi film sentimentali in costume. Ne consegue che i personaggi possano ostentare idee e compiere scelte decisamente impossibili in un contesto d’epoca. Siamo avvertiti fin dal trailer: o si gode la storia come se fosse una divertente fiaba, o l’odio è inevitabile!
Anche il Giro del mondo in 80 giorni è una rivisitazione molto libera del romanzo, del mondo vittoriano e delle tematiche degli scritti di Jules Verne. Le trasgressioni alla pagina in minima parte riguardano i costumi o i possibili anacronismi di arredi, scoperte scientifiche e tecnologie. D’altra parte la BBC ha sempre preferito investire in belle interpretazioni degli attori, in sceneggiature solide, più che preoccuparsi d’avere ricostruzioni storicamente ineccepibili. Quindi possono sbucare svarioni nei set ricreati in studio o allestiti in Sudafrica e in Romania, o esserci costumi storicamente inaccurati; in ogni caso, il risultato accontenta l’occhio e le sbavature si fanno perdonare. La fotografia è patinata e i colori non sono quasi mai squillanti. L’estetica è passabilmente d’epoca e, con poche eccezioni giustificate dall’intreccio o dai mezzi disponibili, si mantiene fedele al tardo Ottocento.
Le conquiste del progresso e le invenzioni sono giustamente esaltate da sequenze di forte impatto, con riprese con droni e la giusta dose di grafica digitale.
La colonna sonora firmata da Hans Zimmer dà il giusto rilievo ai momenti epici come a quelli drammatici, che non mancano.
Se dal punto di vista formale la serie è davvero bella, qualche dubbio può emergere nell’impostazione stessa della trasposizione. Certo è che oggi non si può più proporre la storia così come ce la raccontava la versione del 1956 con David Niven. Si arriva quindi al vero tradimento dell’autore, alle pesanti modifiche dell’intreccio originario, alla reinterpretazione di tutti i personaggi.
L’intreccio della miniserie  li farà amare, oppure detestare, a seconda del vissuto dello spettatore, a seconda delle aspettative. Le modifiche sono tante e tali da ricreare un’epoca simile per molti versi a quella storica, ma non uguale. Lo spettatore è consapevole di questo cambio di rotta  solamente dopo i primi minuti, appena vede agire i protagonisti, li sente parlare e si rende conto del loro carattere. Abbiamo personaggi teoricamente nati e cresciuti in pieno Ottocento, in un’epoca caratterizzata da forti differenze tra classi sociali, con le donne raramente in posizioni di prestigio, con la schiavitù ancora in vigore, con teorie razziste comunemente accettate e condivise e pregiudizi xenofobi, con le colonie e tutta un’educazione che faceva percepire la supremazia britannica e bianca come ordine naturale della vita. Può non piacerci, eppure quello è quanto abbiamo alle spalle. In parte a suo tempo Verne mise in dubbio i pregiudizi, facendo di Fogg un inetto ricco da caricatura, e di Passepartout un servitore con più cervello del suo padrone. Allo stesso modo introdusse la principessa indiana, ma specificò che era Farsi, ovvero Persiana di credo Mazdeista, come era Freddie Mercury: esotica, certamente, però caucasica e bianca. C’era del progressismo nel romanzo, ed era dosato valutando quanto la società poteva realmente recepire senza disgustarsi e rifiutare il nuovo nella sua totalità, per reazione. E ovviamente c’erano anche pregiudizi, poiché Verne apparteneva comunque alla sua epoca. Nella serie TV del 2021 qualche dubbio sulla validità delle convenzioni sociali della loro epoca Phileas e compagni se lo pongono. I dubbi e le critiche spuntano soprattutto quando qualche disavventura porta i tre viaggiatori fuori dalla loro comfort zone o quando il sentimento si fa sentire ed è trasgressivo. La risposta che i protagonisti danno è sempre quella che parecchi spettatori darebbero oggigiorno. Ovviamente la scelta di farli pensare e comportare come persone di oggi aumenta l’empatia con uno spettatore ipotetico,  ma li distanzia anni luce da personaggi vissuti nella seconda metà dell’Ottocento. Il punto debole della serie è proprio questo imperfetto fondersi di passato e di presente 2020, il non concedersi completamente all’essere fiaba steampunk  o kitsch,  e il voler educare all’inclusione ad ogni costo nel modo più esplicito possibile, secondo il pensiero woke. Talvolta si ha l’impressione che la storia sia finalizzata a dispensare la morale, con battute ed eventi realizzati ad hoc, invece di avere una vicenda che a seconda del vissuto dello spettatore potrà ispirare riflessioni diverse... Ci si trova quindi in un passato parallelo, analogo al nostro Ottocento e allo stesso tempo profondamente diverso, e quando le due realtà non si integrano armoniosamente, la vicenda stessa perde il giusto ritmo.
Nel Giro del mondo in 80 giorni  ci sono tappe abbastanza obbligate: Mr. Fogg deve fare la scommessa, viaggiare e tornare al Reform Club di Londra in tempo, vincendo. E’ logico che almeno la struttura generale della storia venga mantenuta, altrimenti il soggetto diverrebbe irriconoscibile e troppo distante dalle aspettative della platea. Il testo originale diviene  uno spunto e finisce per essere simile ad un contenitore, da riempirsi con tanti eventi legati ai posti visitati. Potevano essere dieci puntate invece di otto, o venti, e niente sarebbe cambiato, se non il fatto che avremmo avuto avventure in più. Il percorso sulla carta geografica si mantiene uguale a quello delineato nel libro, ma ogni tappa ha un’avventura diversa da quelle immaginate da Verne.  Ci sono la partenza e la Francia, l’Italia, il Medio Oriente, l’India, Hong Kong,  un’Isola, il Far West, gli USA e il ritorno. Ogni episodio è legato al precedente e al successivo dall’evoluzione emotiva e sentimentale dei personaggi. La serie è strutturata in otto episodi di 55 minuti e di conseguenza gode di tempi più ampi rispetto a un film di due ore e mezza. Il maggiore minutaggio viene sfruttato per costruire i personaggi e dare loro una pregevole caratterizzazione, del tutto assente nel romanzo. C’è spazio per l’azione, e anche per l’introspezione, che è insolitamente approfondita considerando che si tratta di una serie dove il ritmo non può mancare. Con buona pace dei puristi, i tre personaggi principali vengono trasformati. La principessa indiana viene rimpiazzata dalla giornalista, e c’è un sicario dietro al trio invece del detective privato Fix. Ciascuno dei personaggi ha un passato, e viene a galla prima o poi, così come vengono esplicitate le motivazioni che li spingono al viaggio.  Phileas Fogg, interpretato da uno strepitoso David Tennant ( già noto per Doctor Who, Broadchurch, Good Omens e tante produzioni teatrali), è un ricco borghese che ha perso il suo vero amore e ha preferito un’esistenza agiata ma triste tra libri e club. E’ impreparato all’avventura, e parte spinto da un messaggio misterioso, dalla scommessa e dal non voler più essere l’uomo inetto che è stato in passato. La controparte è Passepartout ( Ibrahim Koma) un giovane nero con tanto di fratello rivoluzionario: un uomo spavaldo, indomito, rotto ad ogni esperienza eppure molto sensibile. Sembra consapevole della condizione dei neri in America e anche in Europa, vuole rovesciare le convenzioni sociali, o piuttosto ignorarle. Mente, ruba, è pronto a tutto. Ancora più scioccante è la figura di Abigail Fix: al posto del poliziotto che insegue Fogg per fermare il viaggio c’è una giovane giornalista (Leonie Benesch). Abigail parte per fare il colpaccio e scrive lettere che verranno pubblicate sul giornale all’insaputa di Mr. Fogg. La donna vuol far vedere al ricco padre che sa cavarsela ed è intraprendente come un uomo o anche di più. Il suo comportamento è trasgressivo e avrebbe fatto rizzare i capelli a gran parte delle signore di buona famiglia dell’epoca. Nel testo di Verne c’è una principessa indiana che viaggia con Fogg e alla fine lo sposerà, ma è un personaggio poco appetibile poiché influenza poco o nulla le scelte del gentleman. E’ molto  difficile per una donna d’oggi rispecchiarsi nella timida vedova indiana, condannata ad essere bruciata sulla pira del marito. Inoltre l’episodio del salvataggio, se inscenato secondo la descrizione libresca, mostrerebbe un aspetto poco gradevole della società indiana di un tempo!  La serie invece vuole essere inclusiva al massimo, quindi la principessa sparisce, nessun rito religioso viene rappresentato in modo potenzialmente offensivo. Anche gli altri personaggi secondari  sono rivisitati con questo spirito, a volte ben motivato e in qualche caso un po’ troppo esplicitamente educativo.
Siamo davanti ad un pastiche cucinato bene e basato su ottimi ingredienti: un intreccio brioso, ottimi interpreti, una precisa posizione ideologica che emerge dalle scelte dei personaggi . Lo spettatore è libero di pensare che quelle scelte trasgressive potranno in futuro avere conseguenze molto sgradevoli, quando l’avventura sarà un ricordo e i per i tre arriverà il momento di tornare alla vita di tutti i giorni.
Nel momento stesso in cui la sceneggiatura abbandona la trama originale e riscrive i personaggi, sceglie il linguaggio della narrativa popolare. In particolare ammicca alle fanfiction, opere sviluppate dai fan sulla base di ambientazioni e personaggi rese celebri da altri autori, quindi narrativa ‘dal basso’ per eccellenza. Non sono un’invenzione moderna, c’erano già nell’Ottocento emuli di Salgari, di Dumas e di Doyle. Molti autori, spesso sotto pseudonimo, pubblicavano i sequel dei romanzi più amati, a patto che accettassero la linea temporale voluta da quanti li avevano preceduti, e che non uccidessero l’eroe in modo da permettere di continuare il gioco. La diffusione di internet ha solo allargato il fenomeno e lo ha portato alla ribalta, creando e diffondendo tutta una terminologia specifica.  La rilettura moderna del Giro del Mondo in 80 giorni in fondo è solo un’ennesima serie di fanfiction inserite in un contesto ben fissato. E’ naturale quindi che i personaggi televisivi assomiglino alle più modeste creature nate dalla fantasia degli appassionati. Rispetto al Fogg letterario, la versione di David Tennant sembra molto più fragile, e forse è giusto sia così, per almeno due buoni motivi. Il primo è che Phileas è un uomo fondamentalmente triste e ha capito già prima di lasciare il Reform Club di non poter comperare tutto con i soldi, vittoria a amore inclusi. Ci sono molte scene ‘whump’, ovvero con sofferenze fisiche e psicologiche. Essendo uno show rivolto ad un pubblico multigenerazionale non si esagera con descrizioni grafiche, però quanto si vede sembra davvero drammatico, proprio perché l’empatia con i personaggi si è stabilita. Phileas Fogg non è più il gentleman asessuato e compito che davanti ai pericoli beveva la tazza di the; più verosimilmente, è un uomo che ha deciso di ribaltare la sua condizione di perdente, e andarsi a procurare la felicità, a qualsiasi costo. Perciò accetta una sfida più grande di lui e viene deriso, gli sparano, finisce per ustionarsi nelle sabbie del deserto, viene drogato, fustigato, e poi naufraga, riceve il due di picche… e nonostante tutto, sempre si rialza. Sono trovate per donare verosimiglianza e attualizzare un antieroe altrimenti troppo distante dalla sensibilità attuale. L’altro motivo è il voler attirare il pubblico femminile facendo leva sull’indubbio fascino di David Tennant. La sua fortunata performance in Doctor Who è stata amatissima da parte di signore e signorine, e già in quella serie abbondavano le situazioni capaci di solleticare il presunto senso materno di protezione… A quel punto, avere lo stesso attore e riproporre situazioni di tensione e pericolo, poteva essere un modo azzeccato per garantirsi la visione della sere da parte delle fan del Decimo Doctor Who, e alzare lo share. Sia come sia, la serie  alterna dramma e farsa con disinvoltura e appunto riscrive i personaggi, crea nuovi antagonisti e gioca con la letteratura. L’epilogo lascia spazio per nuove avventure, sempre ispirate ai mondi fantastici creati da Jules Verne. C’è da augurarsi che il successo di questa prima stagione riporti  Phileas e compagni in scena, alle prese con il Nautilus o con altri straordinari viaggi.

 

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita su questo sito nel 2023. Contattami su Facebook, sono Florian Capaldi se volete adottare o gemellarvi !

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