ATLANTIS  l' IMPERO PERDUTO

Il mito di Atlantide torna periodicamente sul grande schermo, declinato in ogni sua possibile variazione. E’ tanto radicato nella nostra cultura da solleticare l’interesse di produttori e registi, certi di ricavarne una buona storia, o almeno di evitare flop colossali. Forse per questa ragione l’argomento e’ stato affrontato anche dalla Disney, che nel 2001 realizzò un ambizioso lungometraggio, Atlantis l’impero perduto.

La casa di produzione doveva dare una svolta decisiva al proprio modo di lavorare: i grandi classici avevano incantato intere generazioni, tuttavia dopo la morte di Disney era iniziato il declino scandito da cartoon sempre meno accurati nella realizzazione, e di live actions a volte riusciti come la saga del maggiolino Herbie, più spesso davvero modesti. Canzoni orecchiabili e simpatici animali antropomorfi dovevano inoltre confrontarsi con la produzione giapponese, caratterizzate da vicende articolate ricche di momenti drammatici e avventurosi, nate per intrattenere spettatori più maturi. In Giappone l’animazione era un mezzo per narrare qualsiasi storia, magari evitando effetti speciali troppo costosi e inadeguati. La Disney cercò di stare al passo introducendo elementi adulti all’interno di intrecci lineari. Il Re Leone porta sullo schermo la morte violenta di un genitore, non più lasciata immaginare fuori scena come per la madre di Bambi; Pocahontas si chiude con un malinconico addio. Il Gobbo di Notre Dame, con tutti i limiti di una rivisitazione edulcorata del romanzo anticlericale di Hugo, presenta atmosfere cupe, la plebe si rivela crudele e il Vescovo, pur trasformato in un laico Ministro di Giustizia, è succube della propria lussuria. Con Atlantis si va oltre: scompaiono molti dei tratti che avevano contraddistinto i grandi classici, e la narrazione ammicca senza incertezze ai capolavori della letteratura avventurosa di fine Ottocento, a Jules Verne, a Rider Haggard.

Atlantis l’impero perduto (Atlantis: The Lost Empire) segue l’avventura del cartografo e linguista Milo Thatch, un giovane orfano cresciuto dal nonno esploratore e ossessionato dal sogno di ritrovare la città di Atlantide. Milo nella vita di tutti i giorni è un umile addetto alla riparazione e alla manutenzione all’Istituto di ricerca Smithsonian. Viene costantemente deriso dal mondo accademico e dopo un ennesimo fallimentare tentativo di farsi ascoltare dai più illustri scienziati, viene contattato dalla fascinosa Helga Sinclair. La femme fatale ispirata a Marlene Dietrich e al personaggio dell’archeologa nazista Elsa di Indiana Jones e l’ultima crociata, presenta Milo ad un eccentrico mecenate, che lo ingaggia per un’ardita missione: raggiungere Atlantide. Il giovane si trova a dover viaggiare con una compagine di mercenari dal passato non proprio limpido a bordo di un avveniristico sottomarino, l’Ulysses. Dopo molte peripezie raggiunge il regno perduto sotto gli oceani. Atlantide esiste, e’ una città in declino tenuta in vita dall’energia di misteriose pietre. Da quando avvenne il cataclisma, la lingua usata anticamente è stata dimenticata, almeno nella forma scritta. I pochi abitanti sopravvissuti sono analfabeti non riescono a utilizzare le conoscenze del glorioso passato. Il vecchio re e la principessa Kida sono ugualmente ignoranti. Purtroppo lo scopo del viaggio non è l’esplorazione o il piacere della scoperta: c’è chi vorrebbe impadronirsi dei segreti della tecnologia degli Atlantidei per ottenerne profitto. Tocca al nostro improbabile eroe affiancare la principessa Kida per scongiurare il genocidio…

Stavolta l’intreccio è degno di un qualsiasi film interpretato da attori in carne ed ossa, e la sceneggiatura mantiene ritmi sostenuti senza concedere momenti da musical. Le sequenze sono frutto di un complesso lavoro di animazione, e riproducono le stesse strutture narrative tipiche del cinema di genere, con inquadrature meno consuete di quelle viste nei cartoon più’ noti e un montaggio rapido che non lascia il tempo di annoiarsi. Il soggetto omaggia i classici film di avventura e in parte sembra ispirato alla serie nipponica Nadia – Il mistero della pietra azzurra (1990), rivisitato però in chiave più cupa e adulta.
I rari momenti umoristici sono affidati ai compagni di disavventura di Milo: Molière è un Francese dalle abitudini igieniche assai carenti, il guastatore Vincenzo Santorini è un Italiano bombarolo, il dottor Dolce è nato da una Nativa Americana e da un Afroamericano, Audrey Ramirez è una spigliata meccanica portoricana appassionata di boxe, Cookie è un cuoco sopravvissuto all’epopea del vecchio West, la signora Packard è un’anziana telegrafista incline alle battute con doppi sensi. Sono personaggi solo in apparenza secondari; rispondono all’esigenza di dare spazio a diverse etnie, hanno un compito decisivo nello svolgimento degli eventi, prima obbediscono e poi si oppongono a Rourke, il truce comandante della spedizione e alla bella Helga. Senza niente togliere al simpatico protagonista o all’esotica Kida, sono proprio questi personaggi in apparenza minori a reggere il peso della pellicola, regalando battute indimenticabili e decisamente scorrette, ben distribuite in un intreccio privo di melensaggini. In questo senso risulta indimenticabile il guastatore di origine siciliana Vincenzo Santorini: è un avanzo di galera e rivela con disincanto il retroscena dolceamaro di ogni storia di avventura. Con l’eccezione del candido idealista Milo, per lo sguardo disilluso dell’italo americano nessuno è un cavaliere senza macchia e tutti hanno commesso crimini grandi o piccoli. Anche se poi si sono schierati al fianco degli Atlantidei contro le brame colonialiste, pure hanno contribuito a portare nella città morte e distruzione. Lo spettatore ha parteggiato per loro in quanto l’autore ha reso i personaggi presenze familiari scatenando l’empatia necessaria, al contrario delle tante vittime che restano sconosciute, e se ne vanno tra una dissolvenza e l’altra.
In Atlantis l’impero perduto c’è un desiderio di verosimiglianza raramente espresso dai cartoni animati occidentali, e molte scelte narrative sono finalizzate al raccontare una storia certamente fantastica, tuttavia credibile. E’ una questione di equilibrio: un buon fantasy può permettersi di violare alcune delle leggi che governano la nostra realtà, e se le trasgressioni sono troppo numerose, o peggio contraddittorie, lo spettatore adulto si sente preso in giro.
Lo stesso tratto dell’animazione, così spigoloso e lontano dall’estetica di Cenerentola o Bambi con le loro linee morbide e i colori vivaci, enfatizza i toni adulti e trasforma i personaggi in caricature dei loro corrispettivi in carne ed ossa.
La lingua degli Atlantidei è stata creata appositamente da Marc Okrand, già noto per aver inventato l’idioma Klingon usato nella saga di Star Trek.

 

A bordo dell’Ulysses ci sono decine di marinai e della ciurma si ha notizia soltanto quando finiscono annegati in seguito all’affondamento del sottomarino. Ebbene, la morte fa il suo ingresso a testa alta in un film Disney, e stavolta non si tratta di un momento strappalacrime funzionale al dipanarsi degli eventi, o della fine epica di un personaggio importante, come poteva avvenire nel Re leone o in Pocahontas. Per condurre l’esplorazione di Atlantide era necessaria la presenza dei marinai a bordo, sarebbe stato impossibile far credere ad un sottomarino guidato dai soli personaggi principali. Quando i poveretti finiscono inghiottiti dalle acque ovviamente non ci sono rappresentazioni esplicite, tuttavia la loro fine viene commemorata dai superstiti. In un vecchio film d’animazione americano sarebbero comparse delle improbabili scialuppe di salvataggio, pur di rassicurare i piccoli spettatori.
La fine del sovrano è stato poi un bello shock per gli spettatori abituati a salvataggi in extremis per tutti i personaggi positivi, oppure a dipartite epiche, magari sottolineate da una bella musica roboante e malinconica. Di certo non immaginavano che fatti verosimili potessero accadere in un cartone animato firmato dalla Disney.

Decessi a parte le concessioni al gusto dei vecchi film per famiglie sono davvero minime, l’intreccio è complesso ed è impreziosito da flashback e da citazioni. I protagonisti sono sopra le righe e ribaltano i ruoli tradizionalmente assegnati alla primadonna ed al suo cavaliere. Milo ricorda gli stereotipi dei nerd, fisicamente è fragile e viene fatto oggetto di scherzi pesanti in quanto manca della minima esperienza necessaria per sopravvivere in un ambiente tanto ostile. Viene accettato solamente quando dà prova delle sue abilità di meccanico e di linguista. Quanto a Kida, appare assai distante dalle ennesime principesse che attendono di essere aiutate dal bel principe. Lei sa combattere, nuotare, arrampicarsi, e nonostante l’aspetto delicato, è il personaggio d’azione e riesce là dove la sua controparte maschile fallisce. Si trova in pericolo e viene salvata proprio come accade anche a Milo, che combina guai per la sua inesperienza, rimane ferito, e per tutta la pellicola conserva un’aria impacciata e tenera. Nonostante il consueto colpo di fulmine che le fa perdere la testa per l’avventuriero mingherlino e malconcio, Kida risulta sempre troppo indipendente e moderna, per piacere agli irriducibili fan delle vecchie produzioni disneyane.
Atlantis il continente perduto viene poco incontro ai tradizionalisti, che non trovano neppure canzoni o numeri da musical, animaletti parlanti oppure oggetti animati.

 

La lezione del cinema nipponico è stata recepita, ed è fin troppo facile accusare gli autori di aver attinto a piene mani dal repertorio giapponese, con tanto di cristalli azzurri dotati di poteri mistici. Le citazioni sono innumerevoli, dal Mistero della Pietra Azzurra (ci furono in proposito delle polemiche tra gli appassionati sul fatto che il lungometraggio Disney ricalchi troppo l’anime giapponese) al design del sottomarino che ricorda il Nautilus, alla battaglia aerea finale, con pesci volanti simili alle astronavi di Guerre Stellari. Le scelte narrative e figurative sono molto radicali, e finalmente la Disney narra una vicenda che può venire apprezzata anche dagli adulti, a patto di amare l’avventura, non avere pregiudizi riguardo al cinema di animazione, e apprezzare le ambientazioni steampunk.
Semmai ci si potrebbe domandare se fosse davvero necessario realizzare a cartoni animati un soggetto che si poteva direttamente filmare con attori in carne e ossa ed un massiccio uso di effetti speciali. Di certo l’uso dell’animazione non era imperativo, però non era neppure vietato, e in casa Disney poteva rivelarsi una scelta utile per svecchiare le linee produttive ormai poco gradite, rendendole adatte ad una platea più eterogenea per età e cultura.
Se Atlantis il continente perduto ha soddisfatto poco dal punto di vista del rientro economico iniziale, è proprio per la sua carica di innovazione, per il suo mescolare generi e rivoluzionare i ruoli, per i messaggi ideologici appena dissimulati nella trama della più classica delle avventure. Pur senza indulgere in rappresentazioni cruente, il viaggio di Milo è contraddistinto da una certa violenza, paragonabile a quella vista in Indiana Jones, e mai troppo edulcorata.
La maggiore verosimiglianza è necessaria per esporre le idee anti colonialiste della pellicola; se le angherie fossero state addolcite, i pericoli dell’imperialismo sarebbero stati sminuiti e i conquistatori sarebbero apparsi come i salvatori di Atlantide. Il team di avventurieri è multietnico, a ricordarci come qualsiasi popolo possa cedere alla tentazione di sfruttare i più deboli; comunque agisce per conto degli Americani. L’intreccio fantastico getta un’ombra sulla politica degli Stati Uniti, nemmeno troppo velata. Gli U.S.A. conquistano il mondo a spese dei popoli originari, guardano verso le altre culture con un senso di superiorità che va ben oltre il sano patriottismo. Alla fine il gruppo, o gran parte di esso, capisce di essere stato usato da gente che preferisce mandare al macello i suoi sottoposti promettendo loro una ricchezza che mai potranno godere, destinati come sono a morire soli e dimenticati da tutti, in un mondo lontano.
Il messaggio suona piuttosto esplicito, e ovviamente sfiora le coscienze non troppo immacolate dei guerrafondai, così come scuote gli animi di quanti vengono tenuti nell’ignoranza e sfruttati per i compiti meno nobili.
Atlantis così ha inizialmente faticato a trovare il suo spettatore ideale: di certo non è un film adatto ad un giovanissimo, perché la trama risulta troppo complessa e non è semplice seguire i molti fatti, oppure calarsi nella spiritualità di un popolo che venera nelle pietre lo spirito degli antenati ancora presente e vivo. La vicenda richiede una maturità rara da trovare in un preadolescente e va dritta al cuore di quanti amano la letteratura di esplorazione fantastica. Senza conoscere le opere dei Grandi del genere, il gioco di citazioni funziona poco. Le tecniche di animazione invece hanno scoraggiato a suo tempo molti adulti, convinti che i cartoni animati fossero rivolti soprattutto ai bambini. Le innovazioni sono state accolte tiepidamente dagli appassionati più irriducibili delle vecchie pellicole Disney, a loro è sembrato un tradimento.
Solo nel corso degli anni il film è stato rivalutato, con la diffusione della cultura steampunk e se non si è trasformato in un classico, almeno è divenuto un cult, da vedere per rimpiangere una strada che la Disney ha imboccato e poi non ha percorso fino in fondo.

 

Cuccu'Ssette vi ringrazia della lettura. Recensione edita su Fantasticinema https://www.fantasticinema.com/atlantis-limpero-perduto/

 

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