IL SIGNORE DEGLI ANELLI - il film di animazione

Qualsiasi tentativo di portare al cinema l’universo fantasy de il signore degli Anelli ha sempre dovuto scontrarsi con lo spinoso problema degli effetti speciali. Tolkien ha speso centinaia di pagine per dare vita a un’ambientazione verosimigliante, capace di suscitare senso di meraviglia mantenendo una coerenza esemplare. Sebbene di incantesimi se ne vedano pochi, il mondo di Arda è popolato da stirpi diverse con tratti somatici peculiari, ciascuna con una propria storia, con usanze e culture. Altrettanto spettacolari sono i paesaggi, le fortezze, le città. E’ impossibile rendere la bellezza esotica e sognante della Terra di Mezzo col trucco prostetico, con qualche buon effetto ottico, magari con un paio di animatronic e con riprese in qualche location scelta tra le più suggestive tra le meno conosciute e costose del nostro pianeta Terra.
Non sorprende come il capolavoro di Peter Jackson sia nato quando la grafica digitale ha iniziato a consentire prodigi iperrealistici. La prima trasposizione del grande classico fantasy invece è stata realizzata a cartoni animati da Ralph Bakshi, nell’ormai lontano 1978. L’animazione era a quei tempi il modo più semplice per avere effetti speciali altrimenti impossibili da realizzare o costosissimi, per dare vita a creature fantastiche e avere le locations più aderenti alle descrizioni di Tolkien. C’erano pregiudizi sul tipo di pubblico ideale per un cartone animato, di solito era un linguaggio destinato ai piccoli e alle famiglie o a qualche appassionato, ma ai produttori sembrò un ostacolo sormontabile…
La sceneggiatura di questo film segue abbastanza fedelmente il romanzo, si limita ad omettere qualche personaggio e breve episodio, o a cambiare l’estetica di alcuni personaggi.
 Bilbo Baggins è un hobbit, un ometto alto quanto un bambino, con grossi piedi pelosi e un passato da avventuriero. Durante uno dei suoi viaggi straordinari ha trovato un anello che rende invisibili. Su consiglio dello stregone Gandalf, lo affida al nipote Frodo. Purtroppo l’oggetto è un pericoloso artefatto capace di corrompere chi lo usa, e di far cadere il mondo sotto la tirannia del malvagio Sauron e dei suoi seguaci. L’unica soluzione è distruggere l’anello gettandolo nello stesso fuoco dove venne forgiato. Frodo parte per il suo viaggio verso il vulcano del monte Fato, aiutato dal fido Sam, dagli amici Merry e Pipino, e da un’alleanza di rappresentanti dei vari popoli minacciati dall’ascesa di Sauron…
La sceneggiatura copre tutti gli eventi narrati nel primo libro, La Compagnia dell’Anello, e parte di quanto accade nel seguito Le due torri, fermandosi con la battaglia del Fosso di Helm. I fatti sono davvero parecchi, spesso riassunti in modo rapido, con l’unica eccezione della battaglia finale che invece ha ampio respiro. Nelle intenzioni degli autori la trilogia doveva essere suddivisa in due film, però lo scarso successo di questo primo capitolo ha fermato gli eventi al ritorno di Gandalf che risolve la crisi al Fosso di Helm.
L’insuccesso è comprensibile, e ha diverse cause che si sono sommate facendo naufragare il progetto. Nel 1978 gli appassionati di cultura fantasy erano una minoranza, priva o quasi di mezzi per potersi organizzare in associazioni e far conoscere le opere di genere. Anche negli U.S.A., i fan al massimo potavano contare su qualche fanzine scritta alla meno peggio e ciclostilata in qualche garage, e sui rapporti epistolari. Il film non sta a fare lunghe spiegazioni, si rivolge a lettori che dovrebbero sapere chi è un hobbit, conoscere almeno a grandi linee il mondo costruito da Tolkien, e di certo non sentirsi in fase di regressione infantile a esaltarsi davanti a epiche battaglie. Il grosso della platea però era composta dal tradizionale spettatore dei cartoni animati: famiglie con bambini, ragazzini piccoli, gente che andava al cinema in occasione delle festività. Per quanti ignoravano le basi, era proprio difficile far capire cosa stesse accadendo. Oggi informarsi è facile, basta avere buona volontà e una connessione internet, quaranta anni fa era impossibile, si guardava il film e si capiva una minima parte delle vicende. Se i buchi di trama erano troppi, ci si annoiava. Un bambino forse si accontentava delle avventure di Frodo credendolo un suo coetaneo, un adulto no, e il film era chiaramene rivolto a maggiori di dodici anni per le scene violente o paurose. C’era quindi un target di pubblico potenziale difficile, e una sceneggiatura che non sa se spiegare e annoiare con la lezioncina di urbanistica nella Terra di Mezzo, o annoiare perché l’ignaro spettatore non capisce cosa stia accadendo.
Ci viene narrata la storia dell’Unico Anello, riassunta a tempo di record, poi si piomba nella Contea, alla festa di addio di Bilbo. Non c’è tempo per far capire all’ignaro spettatore chi sono quei goffi ometti dalle facce un po’ ottuse e con quei grossi piedi scalzi. La sceneggiatura deve comprimere parecchie parti del viaggio, tagliando proprio quei momenti introspettivi che avrebbero dato la giusta caratterizzazione ai piccoli eroi. Potevano risaltare come i personaggi più vicini agli uomini di oggi, più empatici e dotati di sentimenti della compagine di malinconici Elfi, rudi Nani, Stregoni di stirpe divina o Umani arsi dalla brama di diventare potenti re nei pochi anni a loro concessi da Iluvatar. I dialoghi sono funzionali al far marciare gli eventi, perché anche con questi adattamenti il film dura 132 minuti, in anni in cui il grosso delle pellicole durava circa un’ora e mezza, e quelle d’animazione anche meno. La semplificazione colpisce tutti i personaggi, e in particolare gli Hobbit. I piccoli appaiono ancora più ingenui, inabili al combattimento, incapaci di astuzie, creature modeste e ottuse in cui è difficile volere identificarsi. Si preoccupano di mangiare, si stancano a camminare al passo degli Orchi, negli scontri sono i primi a soccombere, piagnucolano e sembrano avere l’età mentale di un bimbo di dieci anni. Non che nel romanzo fossero davvero abili, perché l’Autore voleva raccontarci di come anche le creature più umili possono dare un contributo decisivo agli eventi.  Il dramma di Frodo, toccato dal Male in quanto è stato ferito dalla lama incantata di uno degli Spettri dell’Anello e poi tentato dalla presenza corruttrice dell’Anello, resta confinato a qualche sequenza sul finire della proiezione, quando ormai lo spettatore stanco e perplesso non sa più che pesci prendere. La maturazione di Merry e Pipino resta proprio oltre i titoli di coda, nel sequel mai realizzato. Frodo dovrebbe essere il protagonista insieme a Sam, ma sfido chiunque a dire che è il personaggio preferito. I più preferiscono il saggio Gandalf o il malinconico Legolas. Anche la struggente malinconia degli Elfi, consapevoli che il loro mondo sta giungendo alla fine e che presto dovranno imbarcarsi per l’Occidente abbandonando la Terra di Mezzo, si smorza.
Oltre alla caratterizzazione psicologica ridotta, i personaggi hanno anche un character design discutibile. Gli Hobbit hanno lineamenti rozzi, corpi sgraziati e sguardi poco vispi. Gli animatori hanno cercato di adeguare Frodo ai canoni estetici umani dotandolo del viso di un bimbo, peggiorando l’ambiguità: Frodo non è bambino tantomeno un adulto con la mente di un piccolo. Discutibile anche aver fatto assomigliare Aragorn a un Nativo Americano o a un Sudamericano, quando è un Mezzelfo e quindi dovrebbe essere chiaro di pelle e con lineamenti meno pesanti di un umano purosangue. L’elmo con le corna di Boromir da noi suscitò ben altri commenti, in generazioni ancora poco attratte dal fantasy ma pronte ad esultare per i film con Alvaro Vitali e Lino Banfi. Per i non italiani, è lo stereotipo di un vichingo da operetta.
Le animazioni hanno momenti di grande forza espressiva accanto a sequenze meno riuscite. La differenza è data prevalentemente dall’uso del rotoscope che in svariate occasioni si fonde a fatica con le tecniche più tradizionali. Le immagini disegnate su sequenze interpretate da attori in carne ed ossa hanno però una rara potenza, in particolare le scene di combattimento sono finalmente verosimili e la cupa carica degli Orchi suggestiona ancora oggi. La battaglia finale è ricalcata su alcune scene del film Alexander Nevsky di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, regista famoso per La corazzata Potëmkin.
La colonna sonora creata da Leonard Rosenman è generalmente pregevole, sia nelle parti strumentali, sia in quelle cantate; la battaglia ha come accompagnamento un coro in una misteriosa lingua inventata per l’occasione, e non sfigura troppo rispetto alle musiche di Sergej Sergeevič Prokof'ev che scandivano il combattimento sul ghiaccio.
Nonostante le pecche, il Signore degli Anelli è un film realizzato con evidente passione, e rispetto per il testo, fedele a quanto lo stesso Bakshi dichiarava: «È importante per me che l'energia di Tolkien sopravviva. È importante che la qualità dell'animazione corrisponda con la qualità di Tolkien.»
Anche la versione di Peter Jackson tiene conto della lezione offerta da questo cartone animato anomalo per l’epoca, non solo perché è la prova concreta di come alcune storie necessitino di tempi diversi per mantenere la dovuta fedeltà al soggetto. La sceneggiatura del maestoso live action recupera più o meno gli stessi episodi del cartone, utilizzando anche inquadrature analoghe.
Accettati i limiti dovuti all’incompiutezza e alle scelte narrative obbligate dall’esigenza di riassumere, questo film di animazione lascia un ricordo tutto sommato positivo. Negli anni è diventato un cult, e non è solo la nostalgia degli appassionati ad averlo rivalutato, quanto il progressivo diffondersi della cultura fantasy e nerd. Oggi c’è la consapevolezza che tutti i film hanno filtri ed effetti speciali, anche quelli apparentemente più realistici: il confine tra cinema di animazione e cinema tradizionale si è ridotto. Inoltre oggi l’animazione può rivolgersi a spettatori diversi dalla famiglia tipica con bambini di età diverse, da non turbare con immagini paurose o con argomenti che facciano davvero riflettere.
Ogni tanto tra i fan gira la voce di un sequel mai compiuto, realizzato in parte, sparito negli archivi di qualche collezionista multimiliardario… purtroppo sono leggende, quello che uscì nel 1980 col titolo del ritorno del Re, non prosegue la storia e si rivolge davvero a bambini.
Per fortuna la tecnologia si evolve, e come rende labile il confine di quanto è animazione e quanto non lo è, permette anche di realizzare fan film sempre migliori. Il ritorno del Re è diventato realtà con una produzione che omaggia Bakshi, ma questa è un’altra storia!

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da questo sito. Vuoi adottarla ? contatta Cuccussette  oppure Florian Capaldi su Facebook

LEGGI ALTRA ANIMAZIONE

HOME

Crea il tuo sito web con Webador