LA BANDA DEI CINQUE - telefilm

Tutti conoscono Harry Potter almeno di fama o per aver visto le trasposizioni cinematografiche, eppure il maghetto non e’ il primo caso di fenomeno letterario britannico. Negli anni Cinquanta erano amatissimi i romanzi della scrittrice inglese Enid Blyton. La sua serie della Banda dei Cinque - The Famous Five divenne assai popolare tra i ragazzi, nonostante fosse avversata dai critici e dagli insegnanti. Mente Harry Potter gode di un gradimento multigenerazionale e presenta svariati livelli di lettura, le vicende dei cinque ragazzini detective venivano liquidate come letteratura di serie b. Si accusava l’autrice di utilizzare una sintassi troppo semplice, un lessico povero, di aver costruito personaggi inconsistenti, dotati di una psicologia elementare. Le critiche forse erano fondate, nel senso che di certo quei libri oggi quasi dimenticati avevano caratteristiche lontane da ogni pretesa intellettualoide. Con estrema onestà intrattenevano i più giovani con un’immediatezza raramente raggiunta dalla letteratura per l’infanzia. Proponevano trame rassicuranti, i personaggi erano sempre moralmente ben classificabili, la violenza era minima, le indagini si concludevano con un immancabile lieto fine. Lo stile narrativo semplice e piano attirava anche quei bambini che leggevano di malavoglia. Di certo l’introspezione non era il punto di forza della serie, il carattere dei protagonisti era tratteggiato in modo essenziale e i comportamenti risultavano prevedibili e schematici allo sguardo di un adulto disincantato, comunque i libri della Blyton si dimostravano capaci di coinvolgere i più piccoli ed avvicinarli a successivi romanzi di maggior spessore.

Nonostante tutte le polemiche, le avventure dell’allegra banda di preadolescenti pronti a risolvere misteri rimasero nei cuori di un’intera generazione, e in Inghilterra negli anni Settanta divennero una serie televisiva. Il telefilm e’ datato 1978 e l’anno seguente giunse anche in Italia, trasmesso su Rete 2.  Le due stagioni per un totale di 26 episodi erano parte delle attrazioni di un programma contenitore pomeridiano,La TV dei ragazzi. Introdotte da una vivace sigla cantata da Elisabetta Viviani, riscossero un meritato successo. Forse i giovanissimi dell’epoca avevano gusti più omogenei rispetto ai coetanei di oggi, di certo il mercato dell’intrattenimento rivolto alla loro età era un settore tutto da sviluppare. Qualsiasi fosse il media utilizzato, c’erano praticamente due sole tipologie di prodotti, quelli per bambini da quattro a dodici anni, e una parte di quelli destinati agli adulti. Con due soli canali televisivi e una letteratura basata su pochi titoli dedicati espressamente all’infanzia, con orari scolastici che di fatto limitavano ogni possibilità di fare viaggi nel week end, i piccoli avevano poca scelta. E’comprensibile l’entusiasmo davanti alla Banda dei Cinque, con le garbate avventure dove i bambini erano i veri protagonisti e gli adulti venivano relegati a ruoli minori, oppure erano avversari destinati ad una prevedibile sconfitta.
La versione televisiva viene incontro ai gusti dell’età della scuola elementare, modifica in parte il testo e ambienta i fatti nei primi anni Settanta, piuttosto che negli anni Quaranta, in modo da poter evitare goffe ricostruzioni dell’epoca. I mezzi a disposizione dei produttori sono visibilmente limitati, e la rappresentazione di un passato troppo lontano avrebbe imposto l’uso di auto d’epoca, abiti e utensili di difficile reperibilità. Le riprese sono tutte all’insegna del minimalismo, sia come ambientazione, sia come scelta delle inquadrature, sia come tipo di montaggio. Pur basandosi sulle vivaci narrazioni di Enid Blyton, il serial ha i ritmi piani tipici  delle produzioni televisive del periodo.  Anche le scene di azione sono spartane, e quindi con intelligenza la serie mostra quanto può effettivamente permettersi di far vedere, sorvolando su inquadrature o virtuosismi di montaggio mal realizzabili. Il miglior effetto speciale è l’incantevole paesaggio della campagna inglese, con i suoi cottage e le spiagge solitarie, le isolette e i paesini con le case disposte in file ordinate. In questa ambientazione idilliaca si muovono i quattro ragazzini; si mostrano molto autonomi e capaci di badare a loro stessi. Questa non è’ un’invenzione poetica necessaria per permettere loro di vivere avventure senza lo stretto controllo dei genitori. Negli anni Quaranta e Cinquanta, nei paesi del Nord Europa e spesso anche in Italia, era abbastanza normale che i bambini si muovessero liberamente nei dintorni di casa o nel villaggio. Le comunità erano più piccole e il traffico ridotto incoraggiava le libere scorribande dei ragazzini. Nel caso della Banda dei Cinque, molte trovate giustificano tanta libertà, oggi inaccessibile ai più. I fatti si svolgono durante le vacanze estive trascorse in pittoreschi paesini di poche centinaia di anime, oppure sull’immaginaria isola di Kirrin. I genitori di George vivono immersi nella placida campagna britannica, e il padre e’ uno strampalato quanto benevolo inventore. La serie, rispetto ai libri, concede maggiore introspezione ai protagonisti, caratterizzati in modo da facilitare i meccanismi di identificazione. Rappresentano quattro diversi modi di vivere l’infanzia:c’e’l’ un leader a volte un po’dispotico e poco riflessivo, Julian Kirrin; il fratellino Dick ingenuo e dal cuore d’oro, Anne la sorellina calma e giudiziosa. Infine c’e’ quella che per molti versi e’ l’alter ego dell’autrice, Giorgina o meglio George, mascolina e anticonformista: probabilmente e’ il personaggio più innovativo. Tra le varie polemiche scatenate dai libri, c’erano anche le accuse di sessismo, spesso faziose, in quanto l’educazione dei bambini negli anni in cui i libri vennero scritti prevedeva per davvero una netta divisione dei compiti e dei giochi. Prima della rivoluzione sociale del Sessantotto la società riservava hobby e mestieri all’uno o all’altro sesso indipendentemente dai tipi di intelligenza o dalle propensioni individuali, e il testo rispecchia la società del periodo. Nei telefilm ogni elemento in tale senso viene smorzato, nel senso che George si sente affine ai maschi e si comporta come un ragazzino, mentre la sorellina appare leziosa e giudiziosa come una mammina perché quelli sembrano essere i rispettivi caratteri, e le vicende sono ambientate negli anni ’70.

Completa il quintetto di aspiranti detectve il border collie Timmy, un cane assai intelligente sempre pronto a seguire gli ordini di George.

La versione televisiva approfondisce le pagine e dona un briciolo di introspezione ai quattro ragazzi attraverso dialoghi semplici ma scelti con accortezza. Il lessico usato resta di facile comprensione, però mantiene sempre una semplicità da narrativa novecentesca, mai troppo banale. Rispetto a quanto si ascolta nelle trasmissioni destinate ai giovanissimi d’oggi, le battute risultano più complesse e articolate, e sono recitate convinzione dai quattro piccoli interpreti.

Il telefilm La Banda dei Cinque traspone alla perfezione l’atteggiamento della scrittrice verso il suo pubblico. La Blyton si rivolgeva ai bambini, e faceva dell’intrattenimento per quella fascia d’età lo scopo primario dei suoi libri, apparentemente senza badare al parere ostile di insegnanti, critici e detrattori. Il telefilm del 1979 assolve il medesimo compito con un  garbo d’altri tempi, senza niente concedere al gusto generalista della televisione tradizionale. I personaggi adulti hanno un aspetto gradevole e castigato, e sono sempre un contorno alle azioni dei piccoli protagonisti. Sono genitori amorevoli e pasticcioni, o antagonisti cattivi, goffi e imbranati. Non ci sono ammiccamenti rivolti agli spettatori ‘grandi’ o ai teenager, neppure con personaggi secondari o accenni a situazioni della vita quotidiana. Se un maggiore di dodici anni vuole appassionarsi alle peripezie dei quattro amici, può farlo, ma deve sforzarsi per riavvicinarsi alla sensibilità dell’infanzia, alla curiosità, alla meraviglia di un preadolescente. Ogni elemento del telefilm è tagliato su un ipotetico spettatore dai cinque ai dodici anni, abbastanza grande da comprendere gli intrecci avventurosi e ancora capace di godersi l’ottimismo e l’ingenuità dei coetanei sullo schermo.

Le avventure dei bambini di Kirrin Island sono basate su misteri da risolvere. Gli eventi in apparenza sovrannaturali trovano sempre spiegazioni assai concrete, un po’ come nella serie di Scooby Doo. I momenti più paurosi o violenti sono doverosamente edulcorati, a misura dei giovani spettatori, e si limitano a brevi cliffhanger puntualmente risolti nelle sequenze successive.  Sembrava proprio un telefilm delizioso, capace di farsi amare dai più piccini come dai più grandicelli, un buon mix tra avventura, azione, buoni sentimenti… eppure qualcosa non funzionò. All’apparire sui teleschermi nostrani nel 1979 la serie ebbe un successo tanto strepitoso quanto effimero. Forse i Famous Five erano arrivati nel momento meno opportuno, e mentre Pippi Calzelunghe viveva una seconda giovinezza grazie alle frequenti repliche e al libro celebrato come un evergreen, loro dovevano confrontarsi con la varietà delle trasmissioni delle prime televisioni private. Le emittenti locali offrivano spettacoli spesso qualitativamente assai modesti, ma agli occhi dei piccoli rappresentavano il nuovo, contrapposto a quanto, in un modo o nell’altro, ricordava loro il passato o le letture della  scuola.
Gli anni sono così passati sulla Banda dei Cinque, senza le opportune repliche delle due stagioni che avrebbero tenuto vivo l’interesse e avrebbero potuto creare un vero marchio commerciale con gadget e nuovi episodi. Né i quattro giovani attori hanno saputo proseguire la loro avventura nel mondo del cinema, a parte Gary Russell, che dopo aver interpretato il fratellino Dick ha ottenuto qualche particina e ha diretto episodi animati della serie Doctor Who.
Oggi sarebbe impossibile riproporre le avventure create dalla Blyton mantenendo la stessa chiarezza di intenti delle pagine e del telefilm anni ’80, o l’ambientazione originale. Nessun produttore accetterebbe di far realizzare una serie o un film ‘in costume’ rivolto esclusivamente ai preadolescenti, con protagonisti bianchi e una persona che non si riconosce nel sesso assegnato per legge. In teoria potrebbe essere un modo per avvicinare i bambini con delicatezza a una delle tante possibili diversità che ci sono, e che comunque incontreranno nella vita di tutti i giorni e negli spettacoli destinati a adolescenti e young adults. O per far capire come potesse essere la vita quotidiana dei loro coetanei prima della diffusone di videogames e telefonini. Volendo però vendere il prodotto ovunque nel mondo, è comprensibile la scelta di rimuovere ogni ostacolo e di smussare particolari che potrebbero essere fraintesi. Forse per questa ragione di reboot dimenticabili ce ne sono stati nel corso degli anni, in televisione, a cartoni animati  e sul grande schermo. Nessuno però è riuscito a eguagliare il telefilm anni ’80, così ingenuo, onestamente rivolto ai piccini, rassicurante e tutto sommato piacevole anche per un adulto vissuto in quegli anni. Il serial, nonostante sembri più fedele ai romanzi in quanto ambientato negli anni Cinquanta, è praticamente sconosciuto nel nostro Paese. La serie animata prodotta dalla Disney vede le avventure dei figli dei quattro. Ebbene, nella versione disneyana anche George alla fine ha partorito! Conoscendo la psicologia del personaggio, la maternità ha il sapore di un’atroce quanto offensiva morte letteraria. Forse le famiglie americane saranno rassicurante dal ( lieto ? Ah, ma dove?) evento, che elimina ogni possibile spinosa questione di identità di genere, tuttavia degrada ogni coerenza psicologica della maschiaccia e la rende una bambina che ha passato un periodo di capricci e indecisioni prima di accettare di conformarsi alle richieste della società. Quanto alle vicende, sembra di assistere ai vecchi cartoon della Hanna e Barbera, con il character design semplice e intrecci ancora più ingenui di quelli dei libri, destinati ad intrattenere una fascia d’età ancora più precoce. I reboot cinematografici, frutto di una coproduzione tedesca e statunitense, sono gradevoli rivisitazioni. Hanno personaggi teenager, quindi più ‘anziani’ e l’ambientazione è moderna. Possono essere film gradevoli, danno l’idea di prodotti minori, giunti in ritardo e in sordina sulle mode. Sono destinati ad alimentare il mercato dei film per famiglie, un settore che forse ha un’ottima accoglienza in alcune Nazioni, ma in Italia funziona solo all’interno di festival dedicati all’infanzia, o nel periodo delle feste in alternativa ai celebrati blockbuster.

Il problema principale di qualsiasi tentativo di trasposizione dei libri della Blyton sembra proprio la difficoltà di riuscire a rendere l’epoca e contestualizzare i comportamenti all’interno della società di allora. Il mondo é cambiato e gli stessi personaggi al giorno d’oggi agirebbero in modo differente dai coetanei di allora. Le sceneggiature sarebbero costrette a reinventare le situazioni adattandole alla tecnologia oggi accessibile, oppure a scegliere una meno commerciabile fedeltà alle pagine.
E così, tra riduzioni puritane e facili banalizzazioni, la Banda è rimasta un tenero ricordo nei cuori di quanti sono stati l’ultima generazione a poter giocare in strada, ad avere una casa sull’albero e magari scendere il paese con la carrozza a cuscinetto costruita insieme al nonno.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da FENDENTI & POPCORN. Se la volete adottare, ditelo !

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