LABIRINTI E MOSTRI

 

Labirinti e Mostri, conosciuto anche come Labirinto Letale, è la trasposizione del romanzo di Rona Jaffe Era solo un Gioco (Mazes and Monsters). Si tratta di un film televisivo diretto da Steven Hilliard Stern, dedicato al fenomeno del gioco di ruolo e a suoi possibili rischi.

Un gioco di ruolo è una sorta di recita a soggetto, i giocatori interpretano personaggi dalle identità più disparate, si calano in ambientazioni medievaleggianti, horror oppure futuristiche, e l’avventura procede grazie all’interazione con il narratore. C’è un regolamento che spesso prevede il tiro dei dadi, tuttavia la bellezza del gioco è affidata alle capacità istrioniche dei partecipanti.

In Labirinti e Mostri il giovane protagonista Robbie viene invitato da alcuni compagni di università a partecipare alle partite di Mazes and Monsters. A poco a poco sviluppa una dipendenza dal gioco, confonde realtà e fantasia, fino ad impazzire e credersi un chierico dotato di poteri magici.

La diffidenza nei confronti dei giochi di ruolo (GDR), ben testimoniata da questa pellicola, nasce dalle correnti fondamentaliste americane che, oltre venti anni fa, puntarono il dito contro Dungeons & Dragons e la letteratura fantasy, imputando alla magia della finzione narrativa il ruolo di presunta istigatrice d’interesse verso satanismo e paganesimo. Un attacco abbastanza discutibile: satanismo e paganesimo sono posizioni distanti, spesso antitetiche; inoltre lo stesso cristianesimo vive di tradizione ebraica e di modelli di pensiero ereditati dall’antichità pagana. L’iconografia rielabora le rappresentazioni delle antiche divinità, e gli stessi Padri della Chiesa utilizzano gli strumenti conoscitivi creati dai Grandi del passato (da Platone ad Aristotele ai Neoplatonici) per spiegare la dottrina. Il sincretismo è un atteggiamento probabilmente innato nell’uomo, che confronta tradizione e innovazione, spesso fondendole. Lo stratificarsi di tradizioni diverse nulla toglie alla validità del messaggio ‘nuovo’.

Nel caso del gioco, la scelta di utilizzare divinità pagane è motivata dal voler ben definire il confine tra religioni immaginarie e culti praticati, in modo da rispettare il credo di qualsiasi giocatore. Non appena i fondamentalisti compresero la debolezza delle accuse, si appellarono all’esperienza dei sociologi, sperando di far leva sull’opinione pubblica grazie al prestigio della scienza. Il gioco di ruolo venne allora incolpato di generare disagio mentale, isolamento sociale, schizofrenia, tendenza al suicidio. Labirinti e Mostri porta avanti questa tesi e perciò viene considerato un ‘preacher movie’, ovvero un film sermone.

I protagonisti sono quattro studenti, tutti benestanti ma con problemi familiari alle spalle: Jay Jay è un piccolo genio succube di una madre disattenta; Donnie è un bel giovanotto che non riesce a instaurare rapporti convincenti con le coetanee; Kate, futura narratrice degli eventi, è una ragazza bella e intelligente che rifiuta il ruolo di secchiona o di predestinata a metter su famiglia e sfornare figli. I tre amici sono soggetti anomali, distanti dall’immagine spensierata che i film americani assegnano ai teenager. Completa il quartetto il già citato Robbie, un giovane che arriva all’Università con un bagaglio di problemi più pesante. È stato cacciato da un’altra scuola per aver trascurato gli studi a causa del gioco; ha un padre distaccato e una madre alcolizzata; il fratello maggiore, Hall, è scomparso da casa nella notte di Halloween, e nessuno ne ha più avuto notizia. Ad accomunare i quattro ragazzi è la passione per il gioco Mazes and Monsters, e col passare del tempo Robbie si indentifica col personaggio che interpreta nella finzione ludica, il chierico Pardieu. Dopo un’emozionante sessione di gioco live in un complesso di grotte nei pressi di New York, Robbie fugge in città in cerca del Grande Hall. Quando gli amici riescono a rintracciarlo, sulla terrazza di una delle Torri Gemelle, è troppo tardi.

Aver evidenziato subito tutti i problemi dei protagonisti rende un pessimo servizio alla storia, questo ‘errore’ commesso dall’autrice del romanzo e stato replicato dal regista. Il carattere dei quattro ragazzi viene rivelato nel volgere di poche battute, e l’introspezione si riduce a stereotipi: per restare in tema, sembra di leggere una scheda con le informazioni necessarie per assegnare una classe-personaggio a un giocatore di ruolo. Conoscendo il background di Robbie, è difficile sorprendersi del suo crollo, ed è ingenuo pensare che risulti credibile l’attribuire il gioco come causa della sua pazzia. Lo spettatore classifica il ragazzo come una persona a rischio nell’attimo stesso in cui apprende le ragioni del suo disagio. Non basta l’indubbia abilità recitativa del giovanissimo Tom Hanks, per rendere credibile la vicenda.

Pur di sostenere la tesi della pericolosità del GDR, la sceneggiatura corre alle conclusioni e tralascia di spiegare quali sono le meccaniche, i regolamenti, le leggi esplicite e implicite del gioco. Sembra un’inezia, eppure la presenza di schede, dadi, mappe segnala lo svolgersi di un evento, quasi si trattasse di un rito; è qualcosa di analogo a quanto avviene a teatro, dove lo scorrere del sipario e l’abbassarsi delle luci segnala l’ingresso in una dimensione ‘altra’. Il regolamento, per quanto essenziale, ricorda ai partecipanti che l’avventura è solo un divertente artificio. La descrizione della sessione di gioco nel film è invece affidata all’esteriorità: candele accese, scheletri di plastica e costumi pseudo medievali usati nell’improbabile live. Niente è dato sapere dell’ambientazione che fa da sfondo alle avventure, l’interpretazione della guerriera, dello spirito tuttofare, del chierico si risolvono in un banale scambio di battute su mostri da uccidere e tesori da arraffare per salire di livello, ovvero per diventare più potenti e poter affrontare nemici più forti. Il legame empatico che si sviluppa tra giocatori, l’emozione di calarsi nei panni di un altro, l’aggregazione e l’inserimento di un ragazzo difficile vengono accennati e subito accantonati, perché il verdetto è stato pronunciato fin dalle prime sequenze. Il lungo flashback è un elenco di prove a sfavore dell’imputato, e il giudice non ha dubbi su chi sarà il colpevole.

Il ritratto della gioventù nerd è in molti casi superficiale, tratteggiato da battute scontate. Nonostante i troppi stereotipi, emerge la bravura di Hanks e degli altri interpreti, che hanno poi avuto lunghe carriere televisive. Sfugge alla piattezza del copione il personaggio di Kate, verosimile rappresentazione di una delle rarissime donne appassionate di GDR. Poco attenta al proprio aspetto, è una giovane poco convenzionale che prende parte alle partite per autentico divertimento e non per cercare occasioni d’incontrare ragazzi. A distanza di tempo, sarà lei a raccontare gli eventi, ma ahinoi lo farà con una puerilità disarmante, e ancora una volta poco credibile: da una mente tanto logica e indipendente ci si aspetterebbe una morale della favola molto diversa.

Cervantes a suo tempo narrò lo smarrimento della ragione nella lettura dei romanzi cavallereschi, con il Don Chisciotte della Mancia. Fallimento di un’utopia, critica al Regno di Spagna e crollo degli ideali eroici, delusioni personali di un soldato che perse l’uso di una mano nella Battaglia di Lepanto e venne abbandonato a una vita di stenti: vissuti e sentimenti che sono alla base della follia visionaria del cavaliere errante. Di certo ci sono stati, ci sono e ci saranno giocatori incapaci di distinguere realtà e fantasia, persone magari con problemi o patologie, che nel mondo virtuale trovano una via di fuga da una realtà troppo dolorosa, ma che esprimerebbero i propri disagi interiori affidandosi altrettanto morbosamente a qualsiasi altra forma d’intrattenimento. Non occorre certo aspettare Gygax e Arneson e il loro Dungeons & Dragons, per capire la pericolosità e la bellezza dell’evasione artistica: Cervantes c’era già arrivato.

Se il copione banalizza gli eventi, la regia non è da meglio. Le inquadrature sono prevedibili, la fotografia appare sciatta, anche per i canoni estetici del piccolo schermo. È naturale che una produzione televisiva abbia pochi mezzi rispetto a un film destinato alle sale, ma la povertà dovrebbe essere uno stimolo per ricercare soluzioni creative, cosa che qui non accade: la pellicola si trascina, priva di pathos, quasi fosse una soap opera. Gli effetti speciali sono davvero meschini, anche per un B-movie del 1982. I mostri sono creature di cartapesta, esibite con fastidiosa insistenza. La stessa divinità che parla alla mente di Robbie è sminuita dalla rappresentazione semplicistica di una sagoma umanoide in fondo a un tubo, nemmeno fosse James Bond nella celebre sequenza che apre i film dell’Agente 007. Una sceneggiatura più efficace, in difetto di budget, avrebbe fatto solo intravedere gli elemento sovrannaturali, lasciando alla fantasia dello spettatore il compito di materializzarne l’idea. Le location sono davvero povere: interni arredati alla meno peggio per le case e le aule dell’università, stalattiti e rocce costruite in vistosa cartapesta per le caverne. Neppure i peplum più scalcinati, neppure i film d’avventura di serie B hanno allestito set tanto dozzinali; la magia dell’affabulazione fantasy vive di suggestioni visive, mentre qui allo spettatore sembra di trovarsi in un luna park di paese, tra situazioni stereotipate e gommapiuma mal celata.

La parte conclusiva del film ha come sfondo il World Trade Center con le Twin Towers. Dopo l’11 Settembre la censura ha imposto il taglio delle immagini che inquadravano, seppure da distante, il famoso teatro degli attentati. Spider-Man ha perso qualche sequenza, ma Labirinti e Mostri che di sequenze ne aveva molte… per ironia della sorte ha pagato il prezzo imposto dalla stessa cultura puritana che sosteneva. È scomparso dai palinsesti televisivi e dalle videoteche, e solo recentemente è stato edito in DVD, per il mercato europeo. Rivisto oggi, appare assai datato, lontano dalla mentalità attuale. Nel nostro Paese il GDR resta un passatempo per amanti del genere, tuttavia sono davvero pochi gli estremisti che lo incolpano di provocare malattie mentali, o di spingere la gioventù verso Satana. Chi osteggia questo svago ha quasi sempre motivazioni molto più prosaiche: lo ritiene una distrazione infantile, una perdita di tempo a scapito di cose più importanti come l’impegno sociale, lo studio o il lavoro.

Il bisogno di sognare, immaginare e ricreare la realtà, magari per interpretarla senza pregiudizi, resta comunque un’irrinunciabile attitudine dell’animo umano. Il GDR può appagare questa esigenza, e ricerche come quella svolta da Luca Giuliano, professore ordinario di sociologia all’Università di Roma, e dal giornalista Andrea Angiolino delineano un ritratto del giocatore ben diverso da quelli offerti dal film. Lo studio ha evidenziato i valori positivi del fenomeno GDR: aggregazione, incremento della lettura e della scrittura, superamento della timidezza, scoperta del piacere dell’ascolto e della narrazione, capacità di giocare senza competitività esasperate o poste in danaro. Sono aspetti che accomunano il GDR ad altre forme espressive, e lo avvicinano alle tecniche teatrali introdotte in scuole con alto tasso di abbandono, carceri e comunità terapeutiche.

Labirinti e Mostri sembra una predica pronunciata in cattiva fede o in grassa ignoranza, a sostegno di un’ideologia fondamentalista, pronta a schiacciare ogni forma di pensiero divergente. Se i dungeon e il Fantastico stimolano la creatività, possono rappresentare un mezzo per sviluppare il senso critico dei fedeli nei confronti del dogmatismo, come hanno ben sottolineato Terry Gilliam e Guillermo del Toro.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE https://www.terrediconfine.eu/labirinti-e-mostri/

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