Willow Ufgood, chi era costui
Willow Ufgood è un Newlyn, una pacifica creatura dal viso fanciullesco, di bassa statura e dalle abitudini assai tradizionaliste. Vive in un piccolo villaggio e lavora la terra insieme alla moglie e ai figli. Umile e ottimista, nel tempo libero si diletta eseguendo semplici giochi di prestigio, l’unica forma di ‘magia’ a sua portata di mano. Willow sogna di poter diventare un giorno un grande mago, proprio come lo stregone che ogni anno durante la fiera proclama di essere alla ricerca di un apprendista, e puntualmente scarta tutti gli aspiranti. L’idea di partire per terre lontane, vivere avventure straordinarie e magari conoscere la vera magia è estranea ai Newlyn. Le comunità dispongono di alcuni guerrieri, giovani armati di lance e pugnali messi a difesa del villaggio. Vanno a caccia, sorvegliano gli insediamenti e sono diffidenti verso il resto del mondo. Anche Willow è un Newlyn tutto casa e famiglia, pronto però a vincere le proprie paure quando eventi più grandi di lui lo costringono a mettersi in gioco. Un giorno, mentre sono intenti a occuparsi delle coltivazioni, Willow e i suoi figli trovano una bambina di alta statura in un cesto lungo la riva del vicino fiume. Nessuno di loro sa da dove sia giunta; la frugoletta è Elora Danan, scomoda principessa di un regno vicino. Secondo una profezia, è destinata a mettere fine al regno della perfida regina strega Bavmorda. La maga crede agli oracoli, vuole conservare la corona e ha fatto tutto il possibile per liberarsi definitivamente della pericolosa bambina. Una levatrice ha però protetto la neonata e la ha affidata alla corrente di un fiume. Il capo villaggio incarica Willow di affidare la piccina a un esponente adulto della sua stessa razza, e far ritorno al villaggio. Willow si imbatte in un ladro imprigionato in una gabbia, il prode ed avventato Mad Martigan. Questi trascina l’ingenuo Willow in una serie di disavventure: si imbatteranno in fate, buffi folletti, streghe trasformate da malie e cavalieri neri, una guerriera dai sentimenti incerti, troll e draghi sputa fuoco. Infine si troveranno ad affrontare la malefica regina Bavmorda…
Confronti e ambiguità
Willow è un film del 1988 basato su una storia ideata da George Lucas, un racconto che venne successivamente ampliato e trasformato in un romanzo da Wayland Drew. L’ideatore di Guerre Stellari ha preso ispirazione dai classici della letteratura fantasy ed ha immaginato un mondo vagamente celtico popolato da fate, maghi, draghi, gnomi. La narrazione si snoda lineare e si anima grazie all’uso di personaggi recuperati dal patrimonio delle fiabe che tutti conosciamo o dalla tradizione. Senza arrivare al dissacrante pastiche della saga dell’orco Shreck, ci sono suggestioni tratte dalla tradizione biblica di Mosé, dalle leggende di Romolo e Remo e di Beowulf, compaiono folletti come in Dark Crystal e nelle fiabe irlandesi, e ovviamente si sente l’influsso di Tolkien. Le possibili analogie con la Terra di Mezzo si limitano soprattutto all’esteriorità; ci sono anche tante profonde differenze, dovute alla cultura e alla diversa mentalità degli autori, alla visione filosofica che fa da sfondo ai due universi… aspetti che restano sullo sfondo ed emergono ad una visione attenta.
Un Newlyn ha quasi tutte le caratteristiche fisiche e comportamentali attribuite agli hobbit. Viene chiamato con un nome diverso pur di rispettare le leggi sul diritto d’autore. Ama il piccolo villaggio, la campagna e la sua casetta, mette la famiglia avanti a tutto e desidera una vita lunga e serena. Proprio come Frodo o Bilbo, Willow è poco tagliato per l’avventura e viene coinvolto in un’impresa epica perché ha un forte senso del dovere. La tentazione e l’innocenza, la natura umana ed il peccato, la predestinazione ed il libero arbitrio, il prezzo del potere, sono temi assai vivi nell’opera del grande scrittore britannico. Willow invece si pone pochi dubbi, è un inguaribile ottimista e non ci sono artefatti capaci di traviargli l’anima in cambio di uno straordinario potere. Il racconto dello sceneggiatore nasce per essere portato sullo schermo, e sintetizza fatti, situazioni, sentimenti nello spazio di poche pagine. Non aspettatevi però una narrazione ingenua, o un affastellamento di eventi senza capo né coda, assemblati con l’intento di stupire. L’autore descrive il magico mondo con lo sguardo innocente di Willow, e solo apparentemente si rivolge ai giovanissimi. Il protagonista può assomigliare ad un bambino e invece è un genitore adulto ben consapevole delle sue responsabilità. Apparentemente indifeso e naif, si differenzia dai tanti eroi dei telefilm o dei cartoni animati, ennesimi invincibili super eroi o smorfiosi adolescenti dalla nota (musicale) facile.
I sentimenti più simili a quelli di un essere umano sono stati attribuiti a Willow e lo spettatore più maturo segue le vicende dal suo punto di vista. Gli uomini “normali”, o Daykini, sembrano giganti grandi e grossi, bestioni buoni solo per fare la guerra oppure mettersi nei guai con storie di corna. Sicuramente sfoggiano doti più utili in un contesto fantasy, combattono, cavalcano, si arrampicano, lanciano potenti magie, sono belli e piacenti… La somiglianza con lo spettatore (o piuttosto, con quanto lo spettatore vorrebbe essere ) si limita all’esteriorità dei corpi belli e proporzionati, e forse, all’audacia che dimostrano. Esistono diversi manifesti pubblicitari del film, alcuni giocano sull’ambiguità, ritraendo l’ennesimo cavaliere che difende a spada tratta una fanciulla disarmata, e Willow relegato in un angolo. L’illustrazione dovrebbe attirare gli adolescenti con tempeste ormonali e quanti vanno al cinema per trovare sullo schermo un intrattenimento facile. I personaggi rappresentati in quel tipo di poster sono presenti nel film, tuttavia i loro ruoli sono molto diversi da quanto suggeriscono le immagini. La ragazza sa combattere ed è ambigua nello stringere alleanze; il cavaliere usa tanto i bicipiti e poco il cervello, e soprattutto: Willow non è una comparsa o un richiamo per i bambini! Mi viene da sospettare che nell’America degli anni Ottanta l’idea di un protagonista nano fosse ancora un bel tabù. Come se la diversità fisica turbasse lo spettatore al punto di impedirgli di identificarsi col personaggio, mentre la bellezza di Madmartigan portasse al condividerne le gioie e i dolori. Ci vorranno parecchi anni perché un antieroe come Tyrion Lannister de Il Trono di Spade dimostri il contrario.
Tolkien ha creato un universo crepuscolare, prossimo a subire irreversibili trasformazioni. Le razze fatate stanno abbandonando il continente dove vivono gli uomini, e indipendentemente dagli esiti del conflitto, lasceranno posto agli uomini. Ogni speranza per il futuro è riposta nelle mani dei mortali, e ben presto la Magia resterà solo un malinconico ricordo. Il mondo di Willow è assai più solare, nonostante la grave minaccia di Bavmorda. Il Bene e il Male si affrontano e tutti i personaggi sono schierati dall’una o dall’altra parte, come pedine su una scacchiera. Le ambiguità morali sono rare, e anche uno spettatore giovanissimo sa per chi parteggiare. L’epilogo è quindi abbastanza prevedibile, i personaggi ‘buoni’ escono vincitori, e tutti gli altri vengono puniti, come in una fiaba d’altri tempi. Willow forse potrà cambiare vita, ammesso sia possibile dedicarsi per davvero ad un’arte quando la vita ha preso un’altra piega, c’è una famiglia da mantenere e dei bambini che hanno bisogno di un padre. La conclusione ben si accorda ai toni fiabeschi della narrazione, e alla concezione ottimistica dell’uso della magia. Nell’opera di Tolkien gli stregoni appartengono ad un’elite, in molti casi sono creature semidivine e ricorrono con parsimonia al loro potere; vengono narrati pochi incantesimi, tutti decisivi. Nel mondo di Lucas invece i poteri sovrannaturali sono a disposizione di tutti quanti si accostano all’Arte con umiltà, purezza di cuore e positiva fiducia nelle proprie capacità. Almeno per quanto ci lascia supporre la vicenda, qualsiasi individuo può percorrere quel tipo di iniziazione; eventuali limitazioni dovute ad attitudini razziali, all’età, al sesso o alla cultura di provenienza vengono taciute.
La pellicola lascia aperti parecchi interrogativi riguardo al mondo e ai vari personaggi; per scoprire qualche informazione in più sui comprimari e sul loro background occorre leggere i romanzi ispirati al film. L’ambientazione è stata sviluppata in una trilogia scritta negli anni successivi da George Lucas e Chris Claremont (fumettista e scrittore inglese noto per la saga degli X-Men). Il primo volume è un gradevole romanzo edito in Italia come La luna d’ombra. Cronache della guerra dell’ombra. I due capitoli successivi sono invece inediti nel nostro Paese. Probabilmente si tratta di letture disimpegnate, prive di velleità artistiche: se fossero stati grandi romanzi l’appeal della firma di Lucas li avrebbe da tempo trasformati in redditizi bestseller. Lucas conferma così le sue doti di abile creatore di mondi, sfrutta archetipi radicati nell’immaginario collettivo e li mescola con occhio attento al gusto del pubblico… ma non è Tolkien, proprio come un abilissimo artigiano non è un artista.
Disneyland e oltre
In comune con la monumentale trilogia di Peter Jackson c’è il teatro delle riprese, la Nuova Zelanda, e l’abbondante impiego di effetti speciali. Si possono sprecare fiumi di inchiostro sostenendo che i prodigi tecnici uccidono la sceneggiatura, sviliscono i mestieri del cinema, mascherano a fatica la povertà di idee e ovviamente fanno invecchiare precocemente le pellicole. Willow è un film degli anni Ottanta … e lo si capisce da tante caratteristiche. Mi pare semplicistico addossare la colpa agli effetti speciali, fingendo di ignorare gli altri segnali rivelatori. La violenza edulcorata, il lieto fine obbligato, l’ottimismo tipico del cinema di quegli anni basterebbero per datare Willow.
Gli artifici sono indispensabili per rendere credibili gli ambienti, i mostri e gli incantesimi. L’esempio più significativo è probabilmente il drago. Doveva divenire una minaccia incombente e concreta, era impossibile farlo intravedere appena, come un assassino in un giallo d’altri tempi. Grazie alla grafica digitale affiancata alle tecniche tradizionali, il mostro venne creato con un’estetica innovativa, diversa da quella che miti e leggende ci hanno tramandato. Si intravedono teste multiple prive di occhi, naso o bocca, e a distanza di tanti anni l’essere appare alieno, più pericoloso ed orribile che mai. Qualcosa di analogo è avvenuto con i folletti ed i vari esseri soprannaturali, o con gli incantesimi. Il mondo in cui si svolge la vicenda viene sviluppato in modo completo aggiungendo dettagli e personaggi, un tassello dopo l’altro, come un puzzle. Quella che potrebbe sembrare sovrabbondanza di dettagli superflui, è proprio quanto affascina: intrighi, profezie, magia, varie razze intelligenti – Daikini, Newlyn, fate luminose dalle lunghe ali, gnomi barbari armati di strane polverine… Le creature sono ben caratterizzate, sia nell’aspetto esteriore, sia nella cultura tipica della loro società, e necessariamente devono comparire sullo schermo, rappresentate con garbo e lieve ironia.
La verosimiglianza scende a compromessi con i limiti imposti dalla tecnologia ancora alle prime armi, e dalle esigenze di un film destinato a intrattenere grandi e piccini. Accanto alla ricostruzione quanto più possibile realistica di creature e mostri, ci sono sequenze vistosamente edulcorate. In particolare le battaglie e gli scontri risentono di un’estetica ‘formato famiglia’ e hanno il sapore di certe innocue esibizioni nei parchi di divertimento a tema medievale. I personaggi principali indossano armature molto appariscenti e si affrontano seguendo coreografie prevedibili, senza mai versare una goccia di sangue. Il montaggio fa il possibile per selezionare le inquadrature meno stereotipate, evitare la rappresentazione degli effetti più cruenti e dare vivacità a situazioni altrimenti scialbe. Se non si è troppo viziati dal realismo esasperato di serie quali Vikings o Il Trono di Spade, può anche funzionare. Altrimenti, sembrerà di assistere ad uno spettacolo a Disneyland o al Medieval Times.
Gadget per tutti
L’uscita al cinema di Willow fu preceduta da una campagna pubblicitaria martellante, accompagnata dalla produzione di svariati gadget, adatti ai bambini ed anche agli adolescenti e agli adulti più smaliziati. Oltre ai preziosi memorabilia per collezionisti e ai consueti portachiavi, tazze e giocattoli, venne diffuso un videogioco da bar, un arcade che ripercorreva la trama del film e permetteva di controllare personaggi diversi a seconda del capitolo. Il gioco da tavolo venne realizzato dall’esperto Greg Costikyan e nonostante la firma illustre, ha seguito il destino toccato ad altri boardgame ispirati a film o quiz popolari, da regalare a Natale e far sparire in soffitta finite le feste.
Il gioco di ruolo invece ha peccato di originalità; The Willow Sourcebook obbliga i giocatori ad imparare ex novo un sistema di gioco, piuttosto di adattare l’ambientazione e i personaggi ad un regolamento più diffuso, come quello del Dungeons and Dragons o della versione Advanced..
Il libro ‘Willow’ è la versione romanzata della sceneggiatura, priva di variazioni, ed anche il fumetto ripropone con il tratto grafico tipico della Marvel gran parte delle inquadrature e dei dialoghi del film. Vennero realizzate statuette dei protagonisti, create con una cura maggiore per i dettagli rispetto ai soliti pupazzi promozionali. Negli States, comparvero anche assai ingenui costumi per bambini, merendine e snack a tema, addirittura canotti e salvagente.
Willow è stato concepito, realizzato e promosso in grande stile, un po’ come avveniva per i vecchi kolossal. Set suggestivi, costumi ben caratterizzati, effetti speciali avveniristici (è ricordato come il primo lungometraggio in cui sono stati applicati effetti di morphing digitale), un cast di seri professionisti (Warwick Davis, Val Kilmer, Joanne Whalley, Jean Marsh, Patricia Hayes, Billy Barty, Pat Roach, Gavan O’Herlihy, David Steinberg e Phil Fondacaro…) che hanno poi proseguito la loro carriera con successo… Gli ingredienti per il successo c’erano tutti, inclusa una propaganda attuata mediante radio, trailer in tv, poster nelle strade, libri e album di stickers nelle vetrine, gadgetteria e giocattoli a tema…
George Lucas sognava già i sequel e invece qualcosa non funzionò secondo le sue aspettative. L’incasso, benché elevato, probabilmente recuperò appena i costi, e il secondo capitolo rimase nel cassetto. Nelle interviste il regista Ron Howard da tempo non rifugge l’idea di riprendere in mano il soggetto, e narrare le avventure di Willow da adulto. Peccato che il personaggio fosse già adulto e padre nella prima pellicola, e mentre il suo interprete Warwick Davies ha partecipato a numerose pellicole, gli altri interpreti hanno avuto una sorte ben diversa. Alcuni non sono più tra noi; Val Kilmer è invecchiato ed è irriconoscibile. Se mai venisse realizzato, un sequel dovrebbe tener conto delle variazioni del cast, e forse nemmeno potrebbe seguire gli eventi previsti dai romanzi della trilogia.
Le affermazioni del regista sono probabilmente destinate a restare tali, anche se adesso la tecnologia permette di concretizzare con costi adeguati i più sfrenati voli della fantasia. Nonostante le ingenuità e i limiti, Willow ha segnato l’evoluzione di un genere, e merita di essere recuperato, se non altro, per ricordarci come era il fantasy, una volta.
NOTA: 2022: la SERIE SEQUEL è USCITA. ANCORA DEVO VEDERLA PER CAPIRE SE è UNA MODESTA OPERAZIONE NOSTALGIA O SE NE VALE LA PENA.
Cuccussette VI ringrazia della lettura.
Questa recensione è stata pubblicata da FANTASTICINEMA
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