SOLOMON  KANE

Solomon Kane è l’eroe protagonista di una serie di racconti dello scrittore statunitense Robert Howard, più conosciuto per aver creato Conan il Barbaro. E’ un personaggio anomalo nel panorama dell’heroic fantasy, in quanto è un puritano che vaga per il mondo cercando di raddrizzare i torti. Il suo mondo è un passato parallelo a quello che la Storia ci ha tramandato: è il nostro Seicento, con i conflitti religiosi, con la mentalità superstiziosa dell’epoca, arricchito dalla magia e dai tanti pericoli che ne derivano. Lo stesso aspetto di Kane si distanzia da quello dei forzuti barbari fantasy: è alto e magro, con occhi penetranti e severi su un naso lungo ed affilato, pallido e sempre vestito di nero. Agisce a fine di bene, ragionando però con le ristrettezze mentali  e i fanatismi di un integralista cristiano del Seicento. Crede di essere stato incaricato da Dio di combattere il demonio sotto qualsiasi aspetto egli si manifesti. Pirati, assassini, streghe, stregoni tribali dell’Africa Nera, tutti cadono sotto i colpi di fioretto o di pistola ad avancarica. Solo la bravura dello scrittore riesce a far appassionare il lettore a questo personaggio tanto distante dalla mentalità a noi contemporanea.
La trasposizione cinematografica del film del 2009 diretto da Michael J. Bassett è costretta a fare i conti con le caratteristiche peculiari di Solomon Kane, e lo adatta secondo il gusto attuale.
Le vicende si svolgono nell’Inghilterra sconvolta dalle guerre di religione piuttosto che nell’Africa Nera.
Al protagonista viene costruito un background tale da giustificare la sua vita errabonda e i comportamenti spietati nel suo passato di pirata: è il figlio cadetto di un nobile, scappato di casa pur di non dover prendere i voti. I sensi di colpa sono nati dalla fuga, dall’aver fatto cadere accidentalmente da una scogliera il malvagio fratello destinato a ereditare i possedimenti, dai saccheggi e dalle crudeltà verso avversari o seguaci poco disciplinati. Viene citato un patto col diavolo stretto in passato, e le imprese narrate nella pellicola sono parte del suo percorso di redenzione.
Ovviamente l’eroe integerrimo di Howard è lontano da questa interpretazione, Kane nel film è quasi un monaco, ha tatuaggi a tema religioso ed invoca spesso il Signore pur sapendo di essere condannato all’Inferno e di doversi prima o poi confrontare con il Mietitore che lo trascinerà nell’Abisso. Nelle pagine Kane viveva invece il passaggio dalla più severa intolleranza verso quanto non appartenesse al mondo cristiano puritano a una blanda diffidenza.
Anche come somiglianza fisica c’è un po’da accontentarsi, il bravo James Purefoy  ricorda Hugh Jackman e il suo Van Helsing più che il torvo, pallido e magrissimo eroe libresco.
Quanti si accostano al film devono prendere atto dei tanti adattamenti e godersi un eroe tormentato, coinvolto suo malgrado in un’avventura che si ispira agli scritti pur non corrispondendo a nessun racconto in particolare, e propone una propria versione di Kane, cristiano praticante mai coinvolto in situazioni che scatenerebbero polemiche  e accuse di razzismo.
La sceneggiatura si snoda tra varie tappe, con alcuni flashback e una struttura che ricorda la trama di un videogioco, con prove da superare che conducono a nemici sempre più potenti. Alcune parti sono suggestive, come il viaggio con la famiglia di puritani che sognano il Nuovo Mondo, o l’incontro con la piccola strega, o con il prete folle. Altre, come l’arruolamento da parte di Malachia di prigionieri catturati, o lo scontro finale, sono molto prevedibili poiché attingono dall’immaginario fantasy cinematografico più tradizionale.
Sulla pellicola aleggia un forte senso di dejavu, perdonabile solo grazie ad alcune scelte narrative meno scontate dell’intreccio. Come nei racconti, Solomon Kane non vive momenti romantici, nonostante la presenza della giovane Meredith Crowthorn (Rachel Clare Hurd-Wood). Le scene sentimentali rimangono confinate nello sguardo della ragazza che lo scruta quando è intento a lavarsi in un lago, o lo ammira rivestito degli abiti nuovi che gli ha cucito. Questa pellicola rifugge alcune facili concessioni al cinema commerciale. Non ci sono altre presenze femminili inserite pur di attrarre il pubblico maschile o far identificare le spettatrici, come è avvenuto nella trilogia dello Hobbit con l’elfa Tauriel. Altrettanto alternativa è la scelta di focalizzarsi sul protagonista e sul suo dramma interiore, lasciando tutte le altre figure sullo sfondo. Gli altri personaggi sono importanti, ma lo sono esclusivamente in funzione del percorso del protagonista, e sia come ostacoli che come alleati sono spunti di riflessione su sé stesso. Pur essendo un film fantasy ricco d’azione e di combattimenti, a suo modo è un film intimista. Kane si pone domande ed ogni incontro gli pone davanti interrogativi che non sempre si possono risolvere menando fendenti. L’esilità di un intreccio banale e collaudato lascia tempo per questi dilemmi, inizialmente espressi nei dialoghi, poi affidati agli sguardi e alla gestualità del protagonista.
Sono pregevoli le partecipazioni di Max von Sydow, il padre padrone che infine comprende la rovina che ha causato con la scellerata gestione della famiglia e del feudo, e di Pete Postlethwaite, il patriarca puritano padre di Meredith. Le belle prestazioni sono comunque finalizzate alla maturazione di Kane, che si rende conto dei propri errori e cerca di porvi rimedio pur di espiare e liberare la propria anima dai peccati e dal legame col demonio. Gli altri personaggi, compresi i vecchi compagni di scorrerie, sono presenze necessarie al dipanarsi della vicenda.
Ci sono sequenze molto violente e combattimenti ben inscenati, valorizzati da un montaggio ben ritmato e non troppo sincopato che valorizza l’abilità delle comparse specializzate senza sostituirsi alla loro abilità. Il ritmo nelle scene d’azione è giustamente veloce, senza esagerazioni da videoclip che avrebbero aumentato l’impressione di vedere un lineage di videogioco. In questo senso va anche la colonne sonora; è epica, accompagna le sequenze sottolineando con discrezione i momenti più importanti, senza dominare le immagini.
La fotografia  del danese Dan Laustsen è magistrale e riesce a far sembrare ogni fotogramma un quadro.
La grafica digitale interviene molto bene all’inizio, e in modo pacchiano nel finale; per il minutaggio che intercorre, resta quasi  in disparte e lascia parlare le spade. Lo scontro decisivo invece ha il sapore di videogames come la saga di Diablo, e l’epilogo che segue pare affrettato, in quanto il destino di Meredith è affidato ad una voce fuori campo.
L’epilogo che restituisce all’eroe le sue caratteristiche di fervente paladino del bene destinato a sconfiggere la superstizione crea quasi un cliffhanger. Non è una svista, inizialmente il regista sperava di poter dare il via a una trilogia, mai realizzata.
Solomon Kane è un film che nasconde scelte interessanti in una trama scontata e prevedibile, e per questo ha avuto la sfortuna di risultare troppo scontato per gli appassionati del genere, e troppo di genere per chi guarda pellicole di qualsiasi tipo.  Da riscoprire comunque, se non altro per l’ambientazione particolare.

 

Cuccussétte vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE   https://www.terrediconfine.eu/signs/

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