LA  NAVE  SEPOLTA

Una delle più grandi scoperte archeologiche nella Gran Bretagna sono gli scavi del cimitero alto medievale di Sutton Hoo, nei pressi di Woodbridge (Suffolk, Regno Unito), effettuati a partire dal 1939. Venne ritrovata l’impronta di una nave funebre, varie tombe e molti manufatti di grande valore, creati dagli Anglosassoni nel nono secolo dopo Cristo ed oggi visibili al British Museun a Londra.
La storia romanzata del ritrovamento della celebre nave funeraria e dei preziosi manufatti è stata narrata da John Preston nel romanzo The Dig, adattato poi in un film da Simon Stone.
In particolare, la pellicola segue le sorti delle persone che hanno effettuato il ritrovamento, alcune realmente esistite ed altre fittizie. E’ veramente esistita la ricca vedova Edith Pretty; aveva un figlio chiamato Robert e nel 1839 ingaggiò l’esperto di scavi Basil Brown per disseppellire dei tumoli nei suoi terreni, ed è vero che donò i reperti al British Museum. Il resto è poetica finzione, il team di archeologi è stato costruito apposta per questa pellicola che però, di archeologia ha solo un bel sottofondo.
Il tono della narrazione ricorda la fiction britannica Tutankhamon (Tutankhamun) diretta da Peter Webber, con minore enfasi sulle fasi della ricerca e parecchio romanticismo in più, oltre che mezzi. Lo scavo è un pretesto, uno sfondo su cui agiscono personaggi malinconici, oppressi dall’approssimarsi della Guerra Mondiale, dalla malattia che non lascia scampo, dalle convenzioni sociali che relegano le donne in secondo piano e obbligano le coppie a restare unite anche quando la passione è evaporata e l’amore è diventato una routine più o meno fastidiosa. Si parla di amore impossibile, poiché la ricca vedova è minata da una malattia cardiaca incurabile e l’esperto di scavi ha una moglie, e per loro non c’è futuro. Diverso è il caso delle nuove generazioni:  una giovane archeologa trova il coraggio di lasciare il marito per amare il fotografo, pur sapendo che è arruolato nella R.A.F. e dovrà andare in guerra rischiando la vita.
La pellicola spiazza lo spettatore, cambiando direzione spesso. Inizialmente sembra una ricostruzione storica come tante altre nate dalla moda dell’intrattenimento educativo, destinata a stuzzicare l’attenzione del pubblico su un evento che ha segnato l’archeologia. Poi passa a raccontare la storia d’amore impossibile tra la vedova e lo scavatore, mai concretizzata ma vissuta con malinconico trasporto e abbondanza di primi piani e dettagli su occhi e mani. Lei è ricchissima, dilettante d’archeologia e dotata di un istinto da tellurista che le permette di presagire cosa si trovi sotto la terra, e lui di modeste origini ma grande curiosità intellettuale, non sempre capito dalla moglie modesta e piena di buonsenso. Come andrà a finire è prevedibile, visto che la coppia non è passata alla storia per aver avuto un futuro insieme, e poche hanno seguito l’invito di Lawrence e dell’Amante di Lady Chetterley o della Ragazza perduta, romanzi che scandalizzarono la borghesia dell’epoca non tanto per le scene erotiche quanto per l’abbattimento delle barriere di classe sociale. Narrato il mancato idillio la macchina da presa relega i due protagonisti in secondo piano e passa a illustrare le altre ingiustizie della società del tempo, con il sessismo subito dalla vedova costretta dal padre a rifiutare un incarico universitario e la giovane archeologa ingaggiata perché pesa poco e può scavare senza danneggiare il sito. Il classismo è visto come un fatto naturale, e Basil  viene trattato come se fosse un semplice operaio. Per tutti ci sono regole sociali non scritte ma imposte in modo non violento, pena l’emarginazione. L’amore non potrà mai concretizzarsi tra Basil e l’ereditiera, le famiglie sono quello che sono, tra decessi prematuri e legami apparentemente indissolubili. L’unica speranza è riposta nei più giovani, in donne come l’archeologa sposata con un uomo che non le dà emozione e innamorata del giovane fotografo… 
La pellicola funziona soprattutto nella prima parte, perché, per quanto scontata, ha una sua precisa direzione, e perché Ralph Fiennes è indimenticabile ma anche Carey Mulligan si difende molto bene. A metà visione iniziano i cambiamenti e lo spettatore fatica a trovare il bandolo dalla matassa. Si perde l’armonia iniziale, c’è più intrattenimento melò che istruzione, chi non è un affezionato delle storie d’amore si annoia in modo crescente, chi invece era stato conquistato dal sentimento di Edith e Basil li perde di vista.
A unire le storie, il clima di malinconica precarietà che grava su tutti, anche su quella gente che o è ricca, o è istruita o entrambe le cose. Edith sa d’essere malata, il bambino intuisce che qualcosa non va e d’atra parte ha già perso il padre. Basil è un uomo del popolo benché istruito e con tante passioni magari più elevate di quelle dei benestanti del paese, il fotografo deve partire come pilota in guerra e ha già visto morire un cadetto mandato al macello su un areoplano sgangherato. Lo scavo verrà ricoperto poiché il regno Unito è coinvolto nel conflitto e le notizie dei bombardamenti sul Continente lasciano capire che lo stesso avverrà anche nelle città britanniche e nelle campagne.
E l’archeologia ? Dopo un inizio promettente, resta un flebile fil rouge, mostra la facciata meno nobile dell’ambiente accademico, i dissapori tra musei, e poco d’altro. Che non fosse un film sulla mitizzazione della figura degli archeologi, era ovvio, Basil non è Indiana Jones e nemmeno Howard Carter, che sapeva raccontarsi molto bene in quel senso e affascinava per la bella presenza e per l’alone eroico da avventuriero.
Il melò sovrabbonda; se non si ama il genere, La nave sepolta è sopportabile solo grazie al carisma degli attori e in particolare di Ralph Fiennes, e alla bella confezione che trasforma quella che poteva essere una decorosissima fiction televisiva da prima serata in un film da sala.
La macchina da presa si sbizzarrisce in riprese dall’alto, in movimenti che sembrano manuali, in panoramiche sulla campagna, in scorci di un grazioso paesino inglese. La fotografia con i suoi toni nebbiosi completa l’insieme e dà un tocco di classe.
Peccato che nell’insieme questi aspetti salvino solo in parte il film, che promette  tanto e poi mantiene molto meno.  Sono quasi due ore di intrattenimento, con poca azione ed una storia prevedibile. Non ci sono colpi di scena, né potrebbero essercene, dato che i protagonisti sono personaggi storici realmente vissuti, con una biografia documentata che lo spettatore può conoscere e che non è possibile contraddire. Sembra una fiction televisiva, stavolta realizzata con mezzi abbondanti e garbo British, però oppressa dal doversi attenere a fatti certi.

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da questo sito. Se volete adottarla contattate su Facebook Florian Capaldi

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