FANTASILANDIA
Fantasilandia è un’isola tropicale dove è possibile esaudire qualsiasi desiderio. Ogni settimana due turisti vengono accolti dal misterioso tenutario, il Signor Roarke (Ricardo Montalbán), dal nano Tattoo (Hervé Villechaize) e dalle bellissime ragazze dello staff. Per 50.000 dollari i visitatori possono rivivere il proprio passato, incontrare personaggi idolatrati, sfogare qualsiasi voglia, almeno per i pochi giorni del soggiorno… Romanticismo e problemi sentimentali sono alla base di molte puntate, con numerose variazioni sul tema. C’è chi è desidera ritrovare i propri cari, o un amore perduto, chi vuole incontrare l’anima gemella o rinsaldare vecchie amicizie, chi tenta di salvare un matrimonio alla deriva, trasformare il partner prepotente in una persona gentile, risolvere infedeltà coniugali, chiarire una relazione… In altri casi il sogno è quello di veder avverarsi un’ambizione o di risollevare il proprio ego mortificato da una vita priva di emozioni: e allora ecco chi vuol essere un eroe di guerra, chi vuol vincere gare sportive, diventare un cantante ed esibirsi insieme al suo idolo, scoprire una tomba egizia, recuperare un tesoro trafugato dai nazisti, scrivere un best seller, essere uno sceicco con un vasto harem, apparire almeno per una sera attraente e ammirato da tutti…
Il telefilm Fantasilandia (Fantasy Island) venne realizzato per il network americano ABC; introdotto da un primo TV movie pilota andato in onda nel gennaio del 1977, e da un secondo che diede il via alla programmazione regolare nel gennaio dell’anno successivo, proseguì per sette stagioni, fino al 1984, inanellando ben 154 episodi totali. In Italia venne trasmesso da Canale 5 nei primi anni Ottanta diventando molto popolare.
Le vicende si svolgono in un lussuoso resort, e le location scelte per le riprese sono situate alle isole Hawaii e in California, cioè le mete da sogno di gran parte della popolazione americana all’inizio degli anni Settanta. E proprio di sogni che si concretizzano si parla.
Ogni episodio presenta due protagonisti interpretati di volta in volta da personaggi noti del cinema o della televisione: Joan Collins, Mel Ferrer, Van Johnson, Leslie Nielsen, Eleanor Parker, George Kennedy, Cyd Charisse, Yvonne De Carlo… solo per citare alcune delle guest star; e molti dei partecipanti alla serie sarebbero diventati famosi successivamente. Le vicende dei protagonisti si intersecano, scandite dalle apparizioni del signor Roarke o del fido Tattoo, e dalle necessarie pause destinate a inserire le pubblicità.
A una visione superficiale, Fantasilandia sembrerebbe l’ennesimo serial destinato a casalinghe e anziani, analogo a Love Boat, antesignano di molti programmi televisivi che oggi occupano i palinsesti pomeridiani. Tuttavia, accanto a vicende effettivamente melense ve ne sono altre di tono ben diverso, caratterizzate da interessanti incursioni nel surreale. C’è allora chi intende far luce su una misteriosa bambina che appare nelle sue foto, chi vuole esorcizzare una casa infestata, trovare la fontana dell’eterna giovinezza, assistere al proprio funerale, recuperarle partiture delle canzoni scritte da un antenato, ballare con la moglie morta da tempo; addirittura c’è chi desidera porre domande a Dio! Certo, a differenza dell’inquietante Ai Confini della Realtà, in Fantasilandia le atmosfere rimangono più rassicuranti e l’epilogo è quasi sempre positivo. Ma è davvero così tranquilla questa isola dei sogni?
I visitatori, nonostante la loro ricchezza, sono persone annoiate o deluse dalla vita; nel loro affidarsi ai ‘servizi’ offerti dall’isola si comportano come chi frequenta santoni e cartomanti, spesso ignorando i dolorosi ma logici limiti del soggiorno. Ad esempio, non si può incorrere in paradossi ed ‘effetti farfalla’: rivivere il passato non può cambiare il corso degli eventi. Perciò quella ‘seconda possibilità’ che gli ospiti si illudono di ricevere ha quasi sempre il sapore di un mesto what if. Tra l’altro, le scelte diverse spesso hanno conseguenze peggiori di quelle realmente compiute; ma, anche quando ne producano di migliori, è implicito che i desideri degli ospiti vengano esauditi soltanto per il breve tempo della vacanza. Poi il sogno ad occhi aperti finisce, si torna a casa appagati, oppure si matura dolorosamente e si accetta la vita così com’è, magari coltivando buoni propositi per il futuro. D’altra parte non è possibile trasferirsi sull’isola per tutta la vita, se non in casi eccezionali; e una tacita legge impone che il nuovo residente si prodighi per gli altri, senza ottenere alcun beneficio per sé, e senza poter più tornare alla vita condotta in precedenza (è quanto accade per esempio a una ragazza malata terminale, che sogna di poter dare un senso alla propria fine imminente aiutando gli altri, e per questo è meritevole di essere accolta).
I miracoli offerti hanno insomma molte limitazioni, eppure i turisti mettono da parte il buon senso e si rivolgono al signor Roarke con disarmante fiducia, confidandogli i più reconditi desideri, certi di poter ricevere il beneficio a cui aspirano. Il ritratto della borghesia yankee è quindi davvero spietato: a volte si tratta di persone davvero sfortunate, soprattutto dal punto di vista affettivo; più spesso hanno commesso errori, o hanno esitato quand’era il momento di prendere in mano le redini della propria vita. In mezzo a qualche aquila che si crede un pollo, troviamo tanti polli che a torto si credono aquile. Con simili premesse, il coronamento dei sogni spesso delude e porta invece a riflettere sulle cause dei vari fallimenti. La vanità dei propri rimpianti e la consapevolezza della futilità delle richieste si fanno strada nell’animo degli ospiti, che spesso, dopo aver assaggiato la fantasia, preferiscono la realtà, per quanto opaca possa essere. Finiscono per assomigliare ai disperati che acquistano ricordi virtuali all’agenzia REKAL nel racconto fantascientifico Ricordiamo per Voi (We Can Remember It for You Wholesale), di Philip K. Dick.
La morale della favola è davvero amara: raramente i desideri rappresentano aspirazioni legittime, in molti casi sono solo capricci di ricchi viziati ed egocentrici che tentano invano di comprarsi una seconda occasione, senza meritarla.
L’ambientazione idilliaca enfatizza il retrogusto sadico: il signor Roarke e Tattoo giocano con i sentimenti altrui, pilotano gli eventi e manipolano la coscienza dei loro ospiti. Tra cocktail di benvenuto e collane di fiori, Roarke esaudisce i sogni più bizzarri, segue gli ospiti nelle loro peripezie e dispensa consigli saggi, tuttavia gli eventi difficilmente seguono lo svolgimento voluto dai protagonisti. L’ambizione di rivivere in modo diverso momenti decisivi del proprio passato, con esiti ancora più dolorosi, non di rado nasconde una vena masochistica: quando gli ospiti incontrano l’amore della loro vita scoprono le incompatibilità, se avvicinano un personaggio idolatrato ne colgono i difetti e la fragilità, se bramano l’affermazione artistica o sportiva si rendono conto di quante gravose rinunce essa comporti… Gli unici a uscire davvero a testa alta dalla vacanza sono gli altruisti, o quanti hanno soddisfatto desideri autentici senza attendersi rivalse o chissà quali soluzioni a problemi esistenziali. Per tutti gli altri, il soggiorno è una dura lezione, pagata a caro prezzo.
Le figure di Roarke e di Tattoo sono volutamente ambigue. L’abito bianco ed il cappello richiamano alla memoria le figure degli angeli tipiche delle commedie fantastiche classiche. La presunta natura dei custodi dell’isola viene lasciata all’immaginazione; probabilmente Roarke agisce a fin di bene, tuttavia si fa pagare profumatamente e non dispensa propriamente gioia a piene mani. Come Virgilio, conduce i suoi clienti in un viaggio alla scoperta del proprio Inferno personale, e ciò che offre davvero e la possibilità di capire le reali motivazioni delle insoddisfazioni. Sta ai singoli porvi rimedio, se possibile: la ricerca della felicità è un percorso faticoso e non c’è magia che risolva i problemi.
A proposito di magia, le figure di Roarke e Tattoo sembrano uscite direttamente dalla penna di Shakespeare. L’azione si svolge su un’isola misteriosa persa nell’oceano e abitata da un uomo capace di compiere prodigi con un assistente dall’aspetto insolito: impossibile non pensare al La Tempesta, a Prospero e Ariel!
Ovviamente gli ospiti non si pongono domande su come si realizzino i desideri (illusioni, ritrovati scientifici e tecnologici, trucchi, abili messinscene recitate da attori abilissimi, incantesimi misteriosi?). La serie si basa su un presupposto fiabesco, e volutamente vengono taciute improbabili spiegazioni; allo spettatore la scelta se liquidare il telefilm come troppo sdolcinato e inverosimile, oppure perdonare le ingenuità delle vicende e scoprirne le molteplici chiavi di lettura.
A suo tempo la critica impegnata accusò il telefilm di eccessiva superficialità. Le opinioni poco lusinghiere mi sembrano però abbastanza infondate, poiché riferimenti dotti, riflessioni filosofiche e critica sociale sono elementi riscontrabili in tutti gli episodi, sia pure sotto una patina glamour. È abbastanza facile denunciare i grandi problemi della società, e ci sono decine di pellicole di serio impegno civile che affrontano le problematiche accumulando dati con rigore giornalistico. Quando si parla della realizzazione dei desideri individuali invece si procede per sottrazione: ciascuno brama ciò che non possiede, e insegue un obiettivo diverso a seconda dei valori in cui crede. I sogni proibiti mettono a nudo la fragilità delle persone, e anche quando si rivelano futili capricci testimoniano i limiti di uno stile di vita che impone modelli irraggiungibili e discrimina chi non riesce a emergere.
Dopo il Sessantotto l’America era pronta a fare i conti con il proprio passato non sempre glorioso, basti pensare al disadattato reduce Rambo, o al Piccolo Grande Uomo, personaggi che vivono sulla propria pelle le conseguenze delle decisioni dei potenti. Sul fallimento dell’utopia del self made man invece gravavano forti tabù. Nel 1949 Arthur Miller aveva osato dubitare del Sogno Americano, in Morte di un Commesso Viaggiatore, e voci di dissenso si erano levate dai sociologi, eppure l’uomo comune continuava a credere di poter raggiungere la felicità lavorando sodo e accumulando beni materiali. Occorreva coraggio, e tanta voglia di trasgredire, per porre in scena il fallimento delle aspirazioni individuali, e ammettere che l’american way of life può creare persone infelici e puerili.
Le voci del dissenso si levarono dal cinema considerato di serie B, furono diffuse dalle pellicole horror e dai romanzi di fantascienza. Le ambientazioni fantastiche offrivano di fatto la possibilità di affrontare l’argomento in modo indiretto, e quindi più accettabile: in fondo, era solo fantasia… Nel caso di Fantasilandia, l’isola magica è un espediente che permise di mettere in discussione i molti tabù della cultura puritana, con un linguaggio fruibile a più livelli.
I desideri realizzati divengono una tetra finzione, e di buonismo anche sul set ce ne dovette essere ben poco, se si pensa ai motivi che portarono al licenziamento di Hervé Villechaize, interprete di Tattoo. L’indimenticabile attore di origine filippina nella vita di tutti i giorni aveva un carattere irascibile, litigava con il cast, o piuttosto pretendeva un compenso pari a quello di Ricardo Montalbán. Se lo sarebbe davvero meritato, quell’aumento: senza di lui l’audience calò vertiginosamente e la serie naufragò dopo una sola stagione. Villechaize pose fine ai propri giorni qualche anno dopo, dopo un lungo viale del tramonto costellato da episodi di alcolismo e violenza.
È difficile risalire alle cause del tracollo della serie: i nuovi protagonisti mancavano di affiatamento, o magari i soggetti erano diventati troppo ripetitivi per i mutati gusti del pubblico. Di fatto, il telefilm è scomparso dai palinsesti, non è stato edito in DVD né è reperibile in lingua italiana, neppure in streaming. Il remake del 1998 è stato un flop, sole tredici puntate accolte con freddezza.
Circolano voci di una possibile trasposizione in format di reality show, ma c’è da augurarsi che un simile spettacolo non venga mai realizzato: la magia di Fantasilandia nasce dal riuscito incontro di generi apparentemente inconciliabili, il sovrannaturale e l’inganno architettato con astuzie da psicologo, l’avventura e il romanticismo, l’ingenuità naïf e l’ostentazione del kitsch. Una testimonianza di un modo diverso di fare televisione, che dovrebbe restare nei cuori come un ricordo dolce amaro.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE https://www.terrediconfine.eu/fantasilandia/
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