GLI  OCCHI  DEL  PARCO

All’inizio degli anni Ottanta la Disney era una major in crisi ben diversa dalla multinazionale del divertimento che conosciamo oggi. I lungometraggi animati avevano perso l’ingenuo splendore del passato, iniziava a conoscersi la produzione giapponese e i ragazzini facevano confronti spietati preferendo in molti casi le serie animate del sol Levante. I film con attori targati Disney alternavano qualche successo a tante pellicole nate per la televisione o chiaramente realizzate in economia di mezzi e di idee. I produttori si chiesero cosa potesse essere cambiato per riguadagnare il pubblico. Andava di moda l’horror, e i ragazzi volevano essere trattati come adulti, solo i piccolissimi potevano divertirsi con storie melense, pedagogiche nel modo più esplicito. I produttori pensarono allora di dare un taglio più adulto almeno ai film con attori in carne ed ossa. Nacquero così titoli come The Black Hole, Qualcosa di sinistro sta per accadere, e Gli occhi del parco, basati su soggetti young adult adattati in modo da venire addolciti per quanto possibile. Quest’ultimo film nasce dal romanzo di Florence Engel A Watcher in the Woods, è una vicenda con ragazzi protagonisti ma pagine davvero paurose inedita in Italia.
Si tratta di una ghost story dal sapore britannico, con tanto di famiglia con figlie che si ritrova a vivere in un’antica magione affittata a prezzi concorrenziali. I Curtis si trasferiscono in questa vetusta dimora con tanto di parco con stagno e cappella neogotica. Sono una famiglia della piccola borghesia intellettuale, la moglie scrittrice di libri per bambini e il marito musicista, c’è più cultura che danaro e il prezzo dell’affitto è conveniente. L’unica difficolta pare essere il dover  soddisfare le eccentricità della proprietaria, la vedova Aylwood (Bette Davis) che vive con il peso della scomparsa della figlia Karen. La ragazza si volatilizzò molti anni prima sotto gli occhi degli amici durante un misterioso gioco nella cappella. La giovane figlia maggiore dei Curtis, Jan (Lynn-Holly Johnson) fin dall’arrivo avverte presenze nel bosco, ha premonizioni e crede di vedere Karen. Sarà lei a risolvere il mistero…
Il film ha ottime atmosfere, fin troppo spaventose per dei ragazzini. Magari per un pubblico di appassionati di horror certe sequenze non fanno tanta paura, ma per dei preadolescenti o per spettatori che di solito guardano altri tipi di pellicole, o si attendono la melassa disneyanac’è di che fare qualche meritato salto sulla sedia.
Gli effetti ottici e i trucchi ovviamente oggi sembrano datatissimi, però conservano il loro fascino poiché hanno un modo di far paura immediato come fare ‘buh’ alle spalle di un’ignara vittima, non fanno leva su inquadrature prolungate di quanto dovrebbe spaventare o disgustare. Inoltre sono valorizzati da un buon montaggio e sottolineati da una colonna sonora all’altezza delle aspettative.
L’atmosfera è quella di un horror per adulti, con forti riferimenti a culti pagani e all’occultismo: Jan ha sensazioni da sensitiva, la sorellina Ellie (Kyle Richards) è tramite dell’entità, e il gioco fatto da Karen con i suoi amici è più o meno un’iniziazione esoterica, con tanto di girotondo con le mani unite come nel rito mostrato in Prigionieri delle Pietre, serie cult britannica, o come nelle sedute spiritiche e nelle evocazioni di entità di altre dimensioni.
Le scene del parco con gli alberi scossi dal vento e quelle della cappella sono suggestive, mentre la caduta di Jan nello stagno con le radici che la intrappolano e la vecchia proprietaria che pur di liberare la ragazza la sospinge nella profondità è di rara forza espressiva.
La vicenda parte con toni da mistery, passa a momenti orrifici e conclude con una spiegazione tutta fantascientifica. Nell’intenzione di ottenere una pellicola vicina ai giovani, vengono incluse qua e là momenti da commedia per ragazzi, con la simpatia che nasce tra Jen e il figlio della vicina di casa appassionato di motocross o con momenti di innocuo umorismo offerti dalla figlia minore Ellie. L’amalgama è disomogenea, in quanto le parti mistery e horror sono perfette, mentre la pause leggere stonano nel clima generale dell’opera. La Disney, stando alle dichiarazioni rese dai produttori, voleva seguire le orme dell’Esorcista mantenendo però toni adatti ai ragazzi. Purtroppo l’horror per giovanissimi è uno dei sottogeneri più ostici: quanto spaventa a otto anni fa poca paura a dodici ed annoia un adulto smaliziato, ed è vero anche il contrario, ovvero quello che mette paura a un preadolescente può risultare insopportabile per un bambino. In questo caso i produttori hanno deciso di accontentare i teenager con buona pace dei più piccoli.
Nonostante tutte le difficoltà, la vicenda regge bene fino all’epilogo, che è stato modificato più volte. Dopo la disastrosa prima settimana di proiezione Gli occhi del parco venne ritirato dalle sale perché spaventava troppo. Il finale voluto dal regista John Hough, non era quello pensato inizialmente e mai realizzato perché avrebbe previsto la presenza di un alieno e un viaggio sul suo pianeta. Il film venne allora affidato ad un altro regista, il non accreditato Vincent McEveety . Venne rimaneggiato, la sceneggiatura adattata, e vennero scritte numerose possibili conclusioni. Quella scelta dà una spiegazione a parte del mistero e concede un happy ending un po’ forzato, smorzando i riferimenti all’occulto.
Con simili cambiamenti il film deluse forse ancora di più di prima, poiché fino alla parte in cui la ragazze, il boyfriend di Jen e sua madre, gli amici di un tempo si ritrovano nella cappella durante l’eclisse per ripetere il rito, il film sembra una ghost story in piena regola, e di quelle fatte bene.
Il vero punto debole del film sono le disomogeneità, e anche alcune interpretazioni. Bette Davies è magnifica, una vera signora della paura capace di tramettere la lucida follia di una madre che ha perso una figlia e crede all’occulto. David McCallum ha una parte molto limitata, interpreta il musicista padre delle due ragazze, e come la madre, appare soprattutto all’inizio della pellicola per poi quasi sparire. La protagonista Lynn-Holly Johnson invece è stata proprio una vera cattiva scelta di casting, ha fatto miglior figura come pattinatrice artistica su ghiaccio che davanti alla macchina da presa. Si limita a strillare ed è presto evidente quanto sia poco espressiva nelle scene più terrificanti delle visioni di Jen, là dove più che la bellezza sarebbe stata necessaria l’abilità recitativa. Sia lei che Kyle Richards, la sorella minore, in seguito hanno avuto poca fortuna nel cinema e la loro carriera si è comprensibilmente fermata a una manciata di titoli.
Nonostante questi limiti, la candidatura del film ai Razzie Awards sembra abbastanza immotivata, a meno che non si vogliano punire le pretenziosità di un prodotto che ha momenti perfetti accanto ad altri di una banalità disarmante. Nel complesso è un buon film, adatto anche a quegli adulti che di solio evitano gli horror.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita su questo sito. Se la volete ospitare, contattatemi. Florian Capaldi  su Facebook

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