HORROR EXPRESS
Horror Express è un film diretto da Eugenio Martín nel 1972, ed è un horror con elementi fantascientifici analoghi a quelli che si trovano nei racconti di H.P. Lovecraft. Il soggetto potrebbe essere uscito dalla penna del Visionario di Providence, in quanto c’è un pericolo giunto dallo spazio che ha atteso millenni, e perché i protagonisti sono due scienziati, studiosi asessuali e gentlemen raffinati come spesso erano i personaggi dei racconti di una volta.
La vicenda è apparentemente semplice: alcuni antropologi recuperano nelle montagne della Cina un fossile di umanoide di specie sconosciuta. Credono che sia un ritrovamento importante per studiare l’evoluzione umana. Ignorano che la creatura ospiti al suo interno un’entità aliena giunta in tempi antichissimi sulla Terra. La creatura ha potuto sopravvivere trasferendo la propria coscienza da una creatura all’altra, fino a restare ibernato all’interno dell’uomo scimmia recuperato. Gli scienziati Welles e Alexander Saxton fanno caricare la cassa contenente il presunto fossile su un treno diretto da Pechino a Mosca. La curiosità di Welles lo spinge a far aprire la cassa da un addetto al deposito bagagli all’insaputa dei colleghi, scatenando la creatura, che uccide e incamera le esperienze delle vittime…
Il film è ispirato a La Cosa da un Altro Mondo, che a sua volta deriva dal romanzo Who Goes There? di John W. Campbell Jr. e ne cambia l’ambientazione, a partire dall’epoca dei fatti, che si svolgono in tarda Età Vittoriana.
Tutti gli eventi, ad eccezione dell’incipit tra i ghiacci e del tumultuoso inizio del viaggio nella stazione ferroviaria cinese, si svolgono su un treno d’epoca, dotato di ogni lusso. La scelta è interessante in quanto oltre a ridurre i costi girando in interni ricostruiti in studio, crea un senso di claustrofobia. Il tragitto è lungo, la linea ferroviaria attraversa la Siberia per passare poi in Russia percorrendo vaste distese innevate e disabitate; nessuno può scendere in quel deserto. Gli Zar sono ignari dei fatti e comunque se ne disinteressano, le altre autorità reagiscono mandando prima un gruppo di Cosacchi e poi ordinando di far precipitare il treno in un precipizio.
La sceneggiatura alterna con garbo l’ironia iniziale creata dai battibecchi tra i due antropologi rivali, il senso di oppressione generato dal non comprendere gli eventi, fino all’orrore vero e proprio che domina la seconda metà della pellicola. Nella prima parte la situazione non è poi tanto diversa dall’Assassinio sull’Orient Express, dove vengono presentati i vari passeggeri. Sono personaggi descritti con pochi tratti, come la misteriosa avvenente e disinibita ragazza che viaggia senza biglietto. Forse lei poteva essere un personaggio da ‘premiare’ con una maggiore caratterizzazione, e magari anche far sopravvivere, in quanto è una spia, interessata a un’invenzione custodita gelosamente da un altro passeggero. Questo spunto da spy story però viene sacrificato, così come altre vicende che riguardano altri passeggeri.
Fanno eccezione i due protagonisti: Welles è bonariamente paternalistico, Saxton è altero, sono rivali. Non andrebbero d’accordo ma uniscono le loro forze per combattere il pericolo che può annidarsi dietro a chiunque. Il mostro ha da scegliere: sul treno viaggiano una nobildonna polacca col compagno altrettanto titolato, un religioso che ricorda Rasputin, una giovane e avvenente spia, una scienziata, il personale del treno, un poliziotto, una giovane coppia… Quando arrivano i cosacchi con il loro irruento e crudele capitano (un Telly Savalas in piena forma), l’alieno ha anche loro a portata di mano, o meglio di sguardo. La creatura ha il suo potere negli occhi, quando si scatena li accende come lampadine e lascia le vittime morte, sanguinanti con i bulbi oculari sporgenti e bianchi, e il cervello privato di ogni struttura atta a interagire con il mondo o a mantenere ricordi. Nonostante tutti gli spaventosi decessi, l’alieno è a sua volta una vittima: era giunto sulla Terra con dei compagni che sono ripartiti lasciandolo lì in un mondo ostile, privo di un corpo adatto a sopravvivervi, e incapace di ripartire verso il suo pianeta d’origine. Fa sia orrore che pena.
Che l’alieno sia un’energia capace di possedere altri corpi viene spiegato presto, però l’informazione non alleggerisce troppo il senso di paranoia. Pur vedendo le cruente trasmigrazioni la tensione si mantiene alta perché lo spettatore ignora chi sia la prossima vittima e non sa se gli scienziati ce la faranno a salvare loro stessi e gli altri viaggiatori.
L’atmosfera opprimente completa il miracolo e ci si immedesima nei due uomini di scienza. Essi sono interpretati da Peter Cushing e Christopher Lee, icone del cinema horror, raffinati interpreti dotati di un fascino tutto britannico e affiatati amici sul set come nella vita privata. Ai tempi di questo film Cushing aveva perso da poco l’adorata moglie Helen e pensava a ritirarsi dal cinema. Se ha recitato in questa ed in altre pellicole successive pare che lo si debba proprio alla straordinaria e sincera amicizia che lo legava a Lee, che lo avrebbe supportato nei momenti più dolorosi.
I trucchi oggi possono fare sorridere, sono degni di un baraccone del luna park, però sono usati bene e per essere un film del 1972, c’è una buona dose di splatter che bene contrasta con gli interni vittoriani del lussuoso treno. Le scene dell’esame dell’occhio sono abbastanza esplicite, e le vittime stesse non hanno un bell’aspetto, per non parlare dell’epilogo, con la resurrezione dei defunti in forma di zombie.
A proposito di conclusione, essa verrà ripresa dal thriller catastrofico Cassandra Crossing (1976). Non è l’unica bella trovata che verrà ereditata da film successivi, anche l’attacco dei morti rianimati dai poteri dell’alieno si vedrà in molte pellicole.
Pur trattandosi di un film che la critica impegnata è pronta a lapidare grazie ai radicati pregiudizi, ha un bel ritmo, è recitato da vere icone del genere, e si merita un posto d’onore tra i cult di genere.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
Questa recensione è stata edita su FANTASTICINEMA
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