NERONE
A inizio del terzo millennio vennero trasmessi alcuni film televisivi relativi all’Impero Romano, realizzati dalla Lux Vide. Questa casa produttrice è specializzata in fiction storiche dedicate a personaggi famosi, a santi, a trasposizioni della Bibbia, oltre ad avere come realizzazione più nota le tante stagioni di Don Matteo. IMPERIUM è una collana di miniserie con cast e maestranze internazionali, destinata ad avere diffusione internazionale. Narra l’ascesa e il declino dell’Impero Romano, con ‘Augusto’, ‘Nerone’, ‘San Pietro’, ‘Pompei’ e infine ‘Sant’Agostino’. Ogni titolo è composto di due puntate di circa 50 minuti.
Di Nerone si sa tanto, si sa troppo, e spesso si sa male. La gente pensa all’imperatore e se lo immagina così come è stato descritto da Henryk Sienkiewicz nel Quo Vadis, magari nell’interpretazione data da Sir Peter Ustinov. Pochi hanno letto gli Annales di Tacito o Le vite dei dodici Cesari di Svetonio, o altri testi dell’antichità classica, tanti si accontentano della versione hollywoodiana del tiranno. La fiction Nerone diretta nel 2004 da Paul Marcus in parte importa stereotipi e luoghi comuni tipici dei kolossal, in parte cerca di mantenersi fedele a testimonianze, e in buona parte inventa di sana pianta. La prima puntata descrive la giovinezza di Nerone (Hans Matheson), fino all’acclamazione a Imperatore. Il ragazzo diventa orfano quando il folle Caligola (John Simm, famoso per aver interpretato il maestro in Doctor Who ) gli uccide il padre e esilia la madre Agrippina (Laura Morante) a Ventotene. Viene affidato alla zia Domizia, che a sua volta lo affida alle cure degli schiavi e lo fa istruire dal poeta greco Apollonio (Philippe Caroit). Questi ha una figlia, Atte (Rike Schmid) e Nerone si innamora di lei. Sogna una vita da artista, vorrebbe andare in Grecia a suonare la cetra, ma quando Caligola viene ucciso in una congiura di pretoriani e gli succede Claudio, questi richiama Agrippina e se la sposa, facendo tornare il ragazzo a Roma. Sarà l’imperatrice a costringerlo nella carriera politica, a farlo consigliare dall’ambiguo Seneca (Matthias Habich), a spingerlo verso il trono… Tra congiure di palazzo, sogni da artista, l’amore per Atte mai dimenticato, si consuma la parabola del celebre Imperatore, fino a quando non viene deposto e cacciato, e si uccide. 
Che una fiction da prima serata, da platea generalista, possa anche insegnare la Storia è un’impresa difficile. Ci sono esigenze di spettacolarizzazione che stridono con la ricostruzione stessa, compromessi inevitabili pena dover stare a spiegare troppi dettagli allo spettatore che magari desidera solo un po’ di intrattenimento, inevitabili censure, perché quanto a sesso e violenza gli Annales e Le Vite dei dodici Cesari non hanno niente da invidiare alle Cronache del ghiaccio e del fuoco, a parte qualche drago. 
Si vuol colpire l’immaginazione dello spettatore, con abiti fantasiosi, ispirati alla lontana a quanto si vede negli affreschi e nei mosaici, con scenografie di gesso e cartapesta o esterni filmati in Tunisia, e con vere e proprie invenzioni di fatti poco attendibili. Compare il famoso pollice verso o alzato a annunciare la condanna o la salvezza dei gladiatori, quando invece era un allegro invito a versare il vino e i gladiatori erano atleti allenati per far spettacolo e anche far finta di morire in scena. Durante l’incendio di Roma il nostro imperatore suona una cetra, vistosamente di cartapesta, peccato che era a Anzio e probabilmente nemmeno aveva dato ordine di incendiare qualcosa, le fiamme erano davvero partite da quartieri abitati da cristiani, poiché il culto era diffuso soprattutto tra i più poveri, che vivevano in insule ovvero casermoni cadenti pronti a prender fuoco anche per una scintilla sfuggita da un braciere. 
Nerone è un bel giovane che desidera solo di andare in Grecia a suonare la cetra, invece di un ometto grasso e miope pieno di vizi al pari di tantissimi altri Cesari. Purtroppo inizialmente il ritratto dell’Imperatore è relativamente fedele, si ingraziava il popolo per non avere rivolte interne, concedeva soldi ai plebei, e non era peggiore di tanti altri, proprio come ce lo raccontano autori classici. La follia piomba sul protagonista in modo improvviso, senza altra motivazione dell’assassinio della madre che però lo aveva costretto al delitto, eliminando il fragile Britanno, e della morte della moglie. Oggi potrebbe essere una reazione normale, un tempo non era così automatico restare scioccati dal dover compiere un delitto pur di sopravvivere, negli ambienti di una corte imperiale.
Agrippina è una vera leader, spregiudicata fino a manipolare il figlio e spingerlo alle peggiori atrocità. Altro che matrone caste che curavano la casa e filavano.
Non manca l’errore più diffuso nelle produzioni ambientate nel passato, quello che è dovuto allo scarso senso storico e non dipende da cause esterne come i mezzi risicati, ovvero l’attribuire la nostra sensibilità a personaggi vissuti in epoche e culture diverse dalla nostra. Atte è una schiava, nata in quella condizione e di origini greche quindi in teoria abituata al gineceo a meno che non fosse una Spartiata, ma ha reazioni e atteggiamenti degni di una donna di oggi, consapevole e libera. Viene anche fatta convertire al cristianesimo, e d’altronde compare anche Paolo di Tarso (Pierre Vaneck) pronto a battezzarla. Storicamente Paolo è solo uno dei tanti condannati a morte dopo l’incendio di Roma, e quasi non dovrebbe aver posto nella storia di Nerone, eppure gli viene riservato un copione abbondante. Volutamente non compare Petronio, uomo consapevole del tempo in cui si trova a vivere, né ci sono altri poeti e pensatori. Qui si ha il secondo grosso errore della miniserie: purtroppo tutti gli eventi sono filtrati attraverso la mentalità cristiana. Invece della biografia di Nerone, con vizi e virtù, c’è una biografia raccontata da un cristiano che rappresenta Nerone e Roma secondo i suoi schemi mentali. Il Quo Vadis di Rossi esaltava la bellezza del pensiero classico, in confronto con l’arretratezza dei primi cristiani, quasi sempre reietti della società, elementi che nessun pater familias avrebbe voluto accanto ai suoi figli. Paul Marcus invece segue la lezione del Quo Vadis hollywoodiano, con i pagani brutti e cattivi o comunque viziosi e decadenti. Eppure non doveva essere un ennesimo remake del Quo Vadis, ma una biografia romanzata dell’Imperatore. La morale finale, pronunciata da una voce fuoricampo che è quella di Atte, è un’apologia del cristianesimo. C’è troppo Sienkiewicz, e troppo poco amore sincero per l’antichità. 
Questa miniserie non sfugge ai luoghi comuni su Nerone, ‘svarioni’ che sono presenti soprattutto nella seconda puntata, quella che avrebbe in teoria maggiori fonti affidabili su cui basarsi. La prima parte sembra riuscita meglio, in quanto può permettersi di creare gli eventi con maggiore libertà, sebbene la storia d’amore con Atte giovanetta sia un’invenzione bella e buona. Nerone sposò Ottavia quando lei era una bambina, era un matrimonio deciso dalla politica, e Atte era una delle schiave e schiavi che deliziavano i sensi dell’imperatore in attesa che Ottavia crescesse abbastanza. Questa è una miniserie destinata alle famiglie, e le abitudini libertine degli Imperatori vengono lasciate immaginare, o accennate appena, come quando Caligola viene attirato in un bordello per gusti particolari e lì ucciso dalle sue guardie. Messalina non fa orge ma cerimonie di divinità meno conosciute del solito pantheon greco romano. 
La violenza c’è perché fa parte degli eventi storici, e viene resa il meno descrittiva possibile, anche riguardo alle esecuzioni in massa dei presunti incendiari o alla morte di Seneca e degli altri congiurati.
Messa da parte ogni pretesa di insegnare per davvero la Storia divertendo, la serie riesce nel suo intento di intrattenere, perché ha un buon ritmo, e i personaggi sono accattivanti, costruiti in modo da poter piacere anche a chi si intende poco di storia antica. Il linguaggio espressivo della miniserie è analogo a quello che si ritrova in tanti altri prodotti per serate pantofolaie, con inquadrature abbastanza tradizionali, sovrimpressioni per comunicarci in quale anno si è, battute con un lessico basilare. Va tutto alla grande se non si fanno confronti con Peter Ustinov o con la sensibilità di Rossi. 
Il cast è affiatato, sono tutti professionisti di varie nazionalità, con esperienza, a parte i due protagonisti che convincono poco rispetto ai comprimari. Non è un caso se la carriera di Matheson si limiterà a qualche pellicola di serie B, e la Schmid lavorerà tanto ma sempre in vari episodi di serial, senza conquistarsi un ruolo ricorrente. E’ bellissima, come il copione richiede, e questo deve bastare.
Visivamente ogni aspetto della vicenda è piacevole, i costumi sono coloratissimi, le scenografie sono appariscenti e si vede benissimo quanto sono finte, e così armi e armature di plastica stampata, però non ci si bada, o non ci si dovrebbe badare.
Se si vuole amare l’età imperiale, è molto meglio il Quo Vadis di Franco Rossi, autore anche dell’Odissea e dell’Eneide. Se invece si vuole passare una serata piacevole, con uno spettacolo non troppo impegnativo ma nemmeno banale, questa fiction funziona perfettamente. 
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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