JURASSIC PARK 2 - IL MONDO PERDUTO

Qualcosa è sopravvissuto, a Isla Sorna, 87 miglia a sud-ovest di Isla Nublar. La InGen ha clonato parecchie razze di dinosauro su questa isoletta che, nelle intenzioni degli ideatori del parco, doveva servire come luogo di allevamento per bestioni preistorici. Dopo i guai del Jurassic Park, e un disastroso uragano che ha spazzato via gli insediamenti umani, entrambe le isole sono state abbandonate. Gli animali sono stati liberati, confidando nell’estrema lontananza dalla terraferma.

Cala il silenzio sui dinosauri, fino al giorno in cui una famiglia inglese, a bordo di uno yacht, sbarca per caso a Isla Sorna e viene assalita. Dopo l’incidente, John Hammond viene esautorato e l’industria passa nelle mani di un avido nipote, Peter Ludlow.

L’anziano magnate convoca allora Ian Malcom: vuole aggregarlo a una spedizione di studio assoldata per redigere una relazione sui dinosauri. Convinto che Hammond stia perseverando negli errori già commessi col Jurassic Park, il matematico – che ha perso la cattedra all’Università proprio per aver rivelato ai media la precedente disavventura – accetta l’offerta solo per riportare indietro la sua donna, la paleontologa Sarah, recatasi anch’ella sull’isola.

In compagnia di una troupe di documentaristi, e della figlia che si è imbarcata clandestinamente, Malcolm si ritrova così in viaggio alla volta di Isla Sorna, dove però, armato di tutto punto, giunge anche un nutrito gruppo di cacciatori, alle dipendenze dell’erede dell’InGen. Per recuperare i soldi del fallimento del Jurassic Park, Peter Ludlow vorrebbe infatti catturare i dinosauri di Isla Sorna e aprire uno zoo a San Diego.

Ecologisti e cacciatori non fanno in tempo a scontrarsi, perché i comportamenti irresponsabili di questi ultimi scatenano le reazioni dei dinosauri ed obbligano le due fazioni a coalizzarsi per sopravvivere.

Ian Malcom si trova a rivivere i suoi peggiori incubi…

IL MONDO SMARRITO

Può tramontare definitivamente un mito radicato nell’immaginario? Alcuni antropologi ipotizzano che la figura del drago altro non sia che il concretizzarsi del ricordo lontano dei dinosauri, tramandato da una sorta di memoria collettiva. È il caso di alcune leggende del Senegal che narrano con linguaggio poetico la scomparsa di grandi boschi nel centro dell’Africa, considerate fiabe fino a quando alcuni archeologi non hanno trovato in mezzo al Sahara canyon scavati da corsi d’acqua e addirittura tronchi fossili! Quella sui dinosauri è senza dubbio un’affermazione più azzardata, tuttavia spiegherebbe la ricorrente popolarità goduta dagli animali preistorici, che periodicamente ricompaiono in versione infantile, tecnologica, pseudoscientifica…

Consapevole del rapido variare della moda, STEVEN SPIELBERG ha voluto battere il ferro finché era caldo. A distanza di qualche anno dal più famoso Jurassic Park, ha realizzato questo sequel, Il Mondo Perduto. Il titolo è un omaggio all’omonimo romanzo d’esplorazione esotica di Sir ARTHUR CONAN DOYLE. Il film non ha nulla a che vedere con le atmosfere vittoriane; è scaturito dal gradevole pastiche di MICHAEL CRICHTON, thriller fantaecologico di facile intrattenimento, nato sull’onda del revival preistorico.

Il testo è stato riveduto e corretto con grande libertà, al punto che del lavoro originario dello scrittore è rimasto ben poco. Fin qui nulla di male, sia perché lo stesso Autore ha partecipato alla riduzione, sia perché, come affermano Paolo e Vittorio Taviani, il cinema ha il diritto e talvolta il dovere di tradire i romanzi. Ne Il Mondo Perduto, tuttavia, la sceneggiatura non si è limitata alla scelta – pur discutibile – di trasporre il romanzo in un linguaggio adatto alle famiglie: in alcuni casi la vicenda è stata modificata in base ad esigenze esclusivamente commerciali. Dato il successo planetario di Jurassic Park, è parso obbligatorio richiamare quanto più possibile il celebre blockbuster. È stato quindi rispolverato tutto il corredo di gadget, videogiochi e paccottiglia con il logo dello scheletro, e sono stati riproposti situazioni e personaggi già noti. Ritroviamo Ian Malcom – stavolta primo protagonista –, John Hammond, i suoi nipoti, l’ambientazione dell’isola tropicale, avidi burocrati, tirannosauri perennemente affamati…

La trama è stata semplificata, resa più scorrevole; non ci sono preamboli, ma un incipit secco, che annuncia un’avventura cupa, simile per certi versi a Gli Uccelli, rivisitato in versione grandguignolesca.

La scelta di puntare direttamente su atmosfere paurose, senza fare leva sul “sense of wonder” o su toni da fiaba, è comprensibile, perché le tecniche di animazione sono sì progredite ma lo spettatore sa già cosa attendersi da esse. È quasi impossibile creare stupore esibendo l’ennesimo dinosauro, occorre spaventare sfruttando a piene mani il linguaggio del cinema horror e catastrofico. La vicenda viene perciò spesso ridotta ad esile pretesto per mostrare i dinosauri in azione nelle situazioni più atroci. I protagonisti sono proprio loro, stavolta, più realistici e arrabbiati che mai. Gli esseri umani cercano di difendersi, rimangono in disparte, divengono insignificanti accessori di scena oppure goffe prede che dipendono in tutto e per tutto dalla tecnologia.

Le sequenze, prese ad una ad una, sono mozzafiato, più verosimili rispetto al primo film e montate in un modo serrato che ne valorizza gli aspetti terrorifici. Purtroppo, però, i prodigi grafici vengono in qualche caso esibiti con virtuosismo ingenuo, quasi fossero dimostrazioni destinate a una fiera delle nuove tecnologie. La lezione di Ian Malcom – o di Alfred Hitchcock – è stata troppo presto dimenticata.

Nel primo film, il matematico del caos agisce d’impulso e, pur di salvare la vita ai nipoti di Hammond, viene gravemente ferito. È una vittima più che un eroe da film d’azione, eppure le sequenze in cui appare intontito e debole tra le macerie e sulla jeep sono tra le più intense. Lo studioso diviene importante non tanto per quello che riesce o meno a fare, ma per la tensione che scatena e che da lui si estende a tutti i personaggi – un po’ come il fotografo ingessato de La Finestra sul Cortile, alle prese con un uxoricida che vuole fargli la pelle.

Trasgressivo e coraggioso, ironico e vulnerabile quanto basta, Ian Malcom poteva essere un eroe attualissimo, e il regista se ne era reso conto, tanto da ritagliargli il ruolo da protagonista, modificando i romanzi. Una promessa disattesa: ne Il Mondo Perduto, il matematico viene brevemente presentato e subito catapultato in mezzo a un’avventura tutta ritmo, nella quale risulta assai più maturo e responsabile, meno cinico e più premuroso… insomma più simile a un genitore e ai consueti ed insipidi interpreti dei film d’azione. Era azzeccato proprio per la sua trasgressione, perché in piena giungla vestiva come un cantante rock e si comportava in maniera estrosa, per il profondo senso morale e per quanto appariva indifeso. Trasformato in un ennesimo cavaliere senza macchia né paura, e lasciato senza validi comprimari, fa rimpiangere le battute sarcastiche e i toni acidi del passato.

PRETESE E PREGIUDIZI

Dal punto di vista formale, Il Mondo Perduto non è da meno di Jurassic Park, anzi è più scorrevole, ha scene di un realismo impressionante, entra subito in argomento senza alcun punto morto, dissemina qualche citazione azzeccata e si esprime con un tono più adulto. Eppure l’accoglienza del pubblico è stata meno calorosa, e ci sono state opinioni poco lusinghiere da parte della critica specializzata.

Il secondo capitolo della saga sui dinosauri è stato addirittura accusato di mancare del rigore e dell’accuratezza scientifica di un trattato di paleontologia. Nonostante l’ambigua presenza nel cast di Sir RICHARD ATTEMBOUROUGH, documentarista affermato e regista di pregevoli film biografici (Gandhi, Chaplin, Grey Owl…), Jurassic Park e i suoi sequel non sono una versione glamour di “Quark”. Solo un pubblico ingenuo penserebbe di imparare la storia sostituendo le immagini dei velociraptor alla lettura dei libri e alle visite ai musei. Ci sono inesattezze di vario genere, e a suo tempo seri studiosi le elencarono, con buona pace dei sostenitori dell’edutainment (“educational entertainment” o “entertainment-education”) che vorrebbero istruire e divertire facendo di ogni sapere uno spettacolo avvincente.

In gran parte, le proteste si sono levate dopo la realizzazione di questo secondo capitolo, eppure diversi errori già c’erano stati nel primo. C’è da sospettare che all’uscita di Jurassic Park, in cui il divertimento regnava sovrano, nessuno abbia dato peso alle inesattezze perché i pregi superavano le pecche. Sfumato l’effetto-novità, emergono i veri punti deboli.

Qualcosa di analogo si potrebbe dire sul ruolo della sceneggiatura; dovrebbe scatenare l’empatia dello spettatore con i personaggi, facendo leva su elementi universalmente validi, come il buio, l’ambiguità di quanto si vede e si sente, la sorpresa. Elementi suggeriti più che mostrati attraverso immagini raccapriccianti, di conseguenza abbastanza indipendenti dalla quantità e qualità di trucchi disponibili. Gran parte del fascino del primo film era scaturito appunto dalla narrazione accorta, dalla giusta dose di attesa, mistero e stupore, che facevano risaltare il prodigio del dinosauro virtuale. Ma la sorpresa è purtroppo una magia irripetibile su cui il sequel non può fare affidamento.

Per quanto riguarda i personaggi, di Ian Malcom si è già detto, mentre coloro lo accompagnano, studiosi o mercenari, appaiono improbabili e impacciati, commettono errori che un qualsiasi boy-scout o militante di associazione ambientalista saprebbe evitare. Atterrano sull’isola con elicotteri e mezzi pesanti, girano nella foresta in moto enduro o con grossi fuoristrada, indossano abiti di colori tenui che contrastano con la vegetazione, si avvicinano ai dinosauri con cuccioli e li toccano, scattano foto con macchine pesanti e rumorose, si dichiarano veri ecologisti e poi salvano animali deboli interferendo di fatto con i normali processi di selezione naturale…

La bambina che si intrufola nella spedizione è il colpo di grazia. Saputella e posticcia, dovrebbe rappresentare un richiamo per i giovanissimi, peccato che questa volta il film ha ben poco da dire ai bambini. Fatica addirittura a trovare il suo pubblico: per i più piccini è troppo impressionante, per i giovani non è abbastanza splatter, a molti adulti appare superficiale e scontato… Non basta un finale ricco di citazioni per garantire l’affetto dei cinefili, anche perché il messaggio ecologista che precede i titoli di coda smorza i richiami a Nosferatu e a King Kong.

Se Il Mondo Perduto funziona solo in parte, i problemi sono da ricercare negli effetti speciali, che fagocitano le trovate narrative, e nei personaggi, liquidati in breve oppure sviluppati con superficialità estrema. Inoltre, le aspettative nei confronti del regista sono state esagerate.

È comunque un film piacevole, da guardare in compagnia; non è proprio come la seconda volta che si torna a Disneyland, come ebbero a dire a suo tempo alcuni critici delusi. Steven Spielberg ha però diretto soggetti assai più interessanti di questo, composto da una semplice serie di variazioni sul tema pur se realizzate con mano esperta.

 

Cuccussétte vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE   https://www.terrediconfine.eu/il-mondo-perduto-jurassic-park/

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COME BUTTARE VIA ILPERSONAGGIO PIU' AZZECCATO... La statua di Ian Malcom sdraiato con la camicia aperta può essere kitsch quanto volete. Fa leva su una sensualità molto elementare, però fa capire come Malcom fosse il personaggio più adulto e magnetico. Nel sequel non lo hanno sfruttato a dovere!

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