PRIGIONIERI   DELLE    PIETRE

La gente che rimpiange la televisione degli anni Settanta e inizio Ottanta spesso lo fa per nostalgia di  un tipo di trasmissioni più creative, libere dai vincoli dell’audience. Era un periodo di coraggiose sperimentazioni, c’erano soggetti originali che sfruttavano vari generi narrativi, spesso mescolandoli in modo sorprendente. Oggi c’è la fioritura delle serie TV che stanno in parte recuperando il gusto per la varietà di argomenti tipica del passato, sottomettendola però a rigide regole produttive, tanto che se il gradimento resta troppo basso la serie viene lasciata a metà senza neppure preoccuparsi di confezionare un decoroso epilogo. Non è proprio la stessa cosa…
Children of the Stones è una miniserie britannica trasmessa in Italia col titolo Prigionieri delle Pietre. Il titolo  allude ai massi dei cerchi megalitici diffusi nelle Isole Britanniche e anche in altre zone di Europa.
Il villaggio Avebury ha uno splendido complesso preistorico, più antico e meglio conservato del noto e ben ricostruito Stonehange. Il grazioso paese sorto accanto al cerchio di pietre ha ispirato la vicenda e ha fatto da teatro naturale alla miniserie creata da Jeremy Burnham e Trevor Ray, che hanno anche trasformato la sceneggiatura in una novelization popolare. Avebury nella finzione televisiva si chiama Milbury, è poco più di un gruppo di case con il pub, l’emporio, una dimora patrizia e una vecchia chiesa, oltre al famoso cerchio di menhir orientati secondo una precisa disposizione. Per studiarli giunge Adam Brake ( Gareth Thomas) col figlio (Peter Demin) . Gli eventi sovrannaturali attendono i due estranei: le pietre sembrano animarsi, ci sono strani riti alla sera, quasi tutti i cittadini si salutano dicendo ‘Felice giorno’ e sembrano comportarsi in modo bizzarro nonostante sembrino assai accoglienti. Presto Adam e il suo ragazzo si rendono conto che qualcosa non va nelle persone e nel monumento megalitico…
Il soggetto fonde fantascienza, fantasy e mistery per ragazzi, innaffiando il tutto con atmosfere da horror britannico e argomenti di attualità: la scoperta del paranormale, il pericolo delle comunità ideali guidate da santoni, i contatti con extraterrestri... e su tutto, la paura della perdita dell’identità.
 Il paese è infatti imprigionato in una specie di bolla temporale, dove tutto si ripete più o meno invariato, ciclicamente e la gente è apparentemente felice poiché plagiata dal leader che necessita dell’energia psichica di ciascuno per poter comunicare con gli spazi siderali. Computer e tecnologie avveniristiche sono alla base del lavaggio del cervello compiuto sulla gente, mentre un tempo era la magia tradizionale a compiere il prodigio.
L’inizio dei fatti si perde nel passato più remoto, quando in un’epoca preistorica un Druido assistette all’esplosione di una supernova e alla sua trasformazione in buco nero nella zona dell’Orsa Maggiore. Riuscì a convogliare l’energia negativa in un fascio di luce grazie alla magia, sfruttando i megaliti come magneti naturali, convogliando la loro energia nel centro del cerchio e servendosi della forza psichica delle persone del suo clan come carburante. Un uomo capì cosa stesse accadendo e si costruì un amuleto, ma rimase ucciso, schiacciato dalla caduta di un menhir. Nei secoli il ciclo degli eventi si è ripetuto, fino agli anni Settanta del 900, quando Rafael Hendrick, un astronomo, si è imbattuto in un testo che spiegava i fatti. Lo studioso si è ritirato in quella località sperduta, facendo le veci del Druido, e usando le invenzioni scientifiche a lui disponibili. Poco a poco tutti i cittadini sono stati manipolati e, ben addomesticati, hanno formato una comunità apparentemente ideale. L’arrivo di Adam e Mattew turba l’idillio, ma forse è solo la fine di un ciclo e tutto è condannato a ripetersi.
Alcuni aspetti della vicenda sono un’interpretazione fantastica di eventi reali, in quanto i circoli di pietre sono davvero orientati verso il sole e la luna o costellazioni, ed è stato trovato davvero uno scheletro sotto un masso nel sito di Avebury, chiamato barber suregon. La zona dell’Orsa Maggiore include la galassia M82, al cui interno è stata ipotizzata la presenza di un buco nero. Sono fatti scientificamente provati, mentre altri aspetti sono invece temi indagati dall’antropologia culturale, cha a inizio anni Settanta si stava affermando e che si interessava per la prima volta a usi e costumi di popoli lontani e vicini. I neopagani e le loro cerimonie, i culti legati alle pietre praticati in modo più o meno pubblico, la vita delle piccole comunità isolate divengono oggetto di studio sistematico. Si inizia anche a parlare di paranormale cercando di applicare il metodo scientifico a fenomeni inspiegabili. La serie si basa su fatti reali o ritenuti tali, rielaborati in modo estremamente creativo, in modo da costituire la basi per una storia avvincente.
La sigla iniziale dà subito l’idea di trovarci davanti a uno spettacolo inusuale, con le sue panoramiche e le zoomate da angolazioni inconsuete sulle pietre e i titoli sovraimpressi con un font di sapore celtico. La macchina da presa cattura i menhir in modo che lo spettatore possa credere di ravvisarci volti pietrificati e corpi contorti. La musica composta da Sydney Sager è un piccolo capolavoro, la colonna sonora trasmette inquietudine e viene usata per sottolineare anche le due metà in cui ciascun episodio è diviso, in modo da poter inserire le pause pubblicitarie. La serie è composta da sette episodi da trenta minuti ciascuno; la sigla d’apertura, quella di chiusura, la pausa centrale riducono il minutaggio totale, ulteriormente ridotto dall’esigenza di avere a inizio puntata un breve riassunto delle precedenti.
La sceneggiatura fa della necessità virtù, e sfrutta ogni pausa per inserire un cliffhanger, oltre che per concludere ogni episodio.
La narrazione è ricca di colpi di scena, di verità svelate poco a poco, di spiegazioni; il linguaggio narrativo è quello apparentemente semplice della televisione del periodo. Potendo disporre di mezzi limitati, i set sfruttano la splendida località di Avebury, con i suoi monoliti, il piccolo centro urbano, i cottage e la chiesa di Saint James con il grazioso cimitero, gli esterni dell’Avebury Manor, tipica dimora patrizia, e il museo.
Le riprese risentono della povertà, nel male e nel bene, poiché la sceneggiatura è costretta a costruire gli eventi basandosi su quanto può far effettivamente vedere. La paura è suscitata con un montaggio accorto, giocato sul non far vedere e far piuttosto immaginare, sul suggerire pericoli nascosti nel buio, sul mostrare l’estraniamento con i dialoghi delle persone plagiate.
Si fa leva su una delle paure più ancestrali dell’essere umano: perdere la propria identità di individuo. I cittadini di Milbury sono felici, anche quando ballano la Morris Dance alla festa domenicale e fino al giorno precedente schifavano le danze folk. Il saluto ‘Felice giorno’ e i comportamenti stereotipati testimoniano l’alienazione di persone che hanno perso il diritto a provare sentimenti diversi da quella gioia artefatta. Si suggerisce che per apprezzare davvero la felicità bisogna che si intervalli con altre emozioni altrettanto intense e vissute in modo diverso da persona a persona.
C’è un pessimismo di fondo che permane oltre la vittoria dei protagonisti. L’avversario viene sconfitto, il paese apparentemente sembra libero dalla magia tecnologica, ed i protagonisti lasciano il paese con dei dubbi, che le sequenze finali confermerebbero.
Come avveniva anche nelle produzioni nostrane del periodo, gli attori sono formidabili, quasi tutti erano interpreti con esperienze teatrali.  Il gallese Gareth Thomas (Adam ) era un volto noto del teatro e della tv; Iain Cuthbertson (Hendrick / Sir Joshua Litton) era un raffinato interprete, Freddie Jones ( Dai) è stato scelto come protagonista da Fellini per E la nave va. Anche il resto del cast era ben navigato. Le interpretazioni aggiungono credibilità agli eventi, e sono tanto più necessarie in una vicenda in cui gli effetti speciali si limitano a sovrapposizioni di immagini, a un fascio di luce e a un computer coi nastri.
La serie dovrebbe essere nata per intrattenere spettatori giovani, tanto che gli eventi sono inquadrati dal punto di vista del ragazzo dodicenne e la probabile storia sentimentale tra Adam e la curatrice del museo viene lasciata fuori scena. Mattew suggerisce anche l’idea per poter risolvere l’anomalia e forse riportare tutto alla normalità, o quasi, poiché il tempo è ciclico e il lieto fine è meno completo di quanto ci si attenderebbe da una trasmissione per ragazzi. C’è un atteggiamento di fondo nei confronti dei giovanissimi molto diverso a fare la differenza, in parte dovuto al fatto che le trasmissioni venivano viste dall’intera famiglia, i canali erano pochi e le produzioni dovevano rivolgersi  a un pubblico più ampio possibile. Mattew scopre il cadavere dell’amico bracconiere Dai, prova sgomento quando si accorge che i compagni di classe vengono plagiati, vive momenti spaventosi quando inizia ad avere fenomeni di psicometria e toccando oggetti si proietta nella mente altrui. E’ autonomo, in un modo sconosciuto ai ragazzi del terzo millennio resi pantofolari da videogiochi e esperienze programmate dai genitori o dagli educatori. Magari sanno o credono di sapere tutto sul sesso e vedono violenza esplicita in contesti patinati, all’insegna della virtualità del telefonino o del pc, e magari vengono adescati proprio perché mancano di esperienze concrete. Mattew è diverso perché viene trattato come un adulto, senza paternalismi inopportuni. E’ sostenuto dal padre che gli ha offerto, tramite l’educazione, i mezzi per cavarsela. Di conseguenza la miniserie accontenta i ragazzi senza scontentare i genitori, e riesce ancora, dopo tanto tempo, a far paura. Forse troppa, per avere un remake all’altezza.  

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da FENDENTI & POPCORN. Se la volete adottare, ditelo !

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