SKY serie
Oggi esistono molti canali televisivi con trasmissioni rivolte a varie fasce di età. Le produzioni per ragazzi seguono regole ben precise per i contenuti, per i temi affrontabili, per il linguaggio, per cosa viene mostrato e come. Negli anni Settanta invece la divisione era meno netta; con l’eccezione di alcuni programmi chiaramente destinati ai più piccoli, la tv doveva venire incontro ai gusti di più generazioni. I telefilm creati per i ragazzi dovevano essere capaci di intrattenere una platea eterogenea, per avere successo.
La serie Sky, uscita nel Regno Unito nel 1975 è un esempio perfetto di opera rivolta agli adolescenti e tuttavia assai godibile anche da parte degli adulti. Nasce dalla fantasia di Bob Baker e Dave Martin, già autori di diversi episodi di Doctor Who. E che episodi, con avversari come i Sontaran e il cane robot K9! Erano gli anni d’oro della serie classica, con la iconica quarta incarnazione del Dottore, quella interpretata da Tom Baker, arrivata per qualche episodio anche in Italia e rimasta nei cuori di tantissimi fan internazionali. Gli spettatori britannici di allora potevano ritrovare le stesse atmosfere piacevolmente inquietanti anche in altre produzioni televisive, come Children of the Stones e Sky.
La miniserie Sky è composta da sette puntate di una ventina di minuti ciascuna, trasmesse una volta alla settimana. Non cita direttamente Doctor Who, eppure ripropone parecchi temi del più longevo e iconico telefilm, e li rende ancora più estremi ed espliciti. Il protagonista Sky è un viaggiatore del tempo capitato per sbaglio sulla Terra, nel villaggio di West Country Lad negli anni Settanta. Probabilmente è un alieno, o viene da un futuro lontanissimo in cui la mente umana sarà così sviluppata da poter fare quanto oggi sembra compito da affidare a macchine sempre più complesse. Sky sembra un etereo adolescente dagli occhi completamente blu, occhi che cambiano colore ogni volta in cui attiva una speciale capacità. Ha poteri di telepatia, può curare le persone, può colpirle grazie alla propria energia. Sa che deve ancora sviluppare i suoi poteri e che è in giro da oltre cinquecento anni. Doctor Who ama i terrestri perché li trova fragili e coraggiosi, condivide emozioni con loro, ed è pronto a morire anche per salvare una sola persona. Ebbene, Sky è indifferente ai mortali, evita di fare il benché minimo sforzo per capirli. E’ un Piccolo Principe un po’ ispirato a David Bowie, cresciuto nel distacco dalle emozioni. Tratta gli alleati con un marcato senso di superiorità, usa i poteri per difendersi, arriva a manipolare la volontà altrui pur di sopravvivere e raggiungere i propri obiettivi. Si dimostra consapevole della sua condizione di privilegiato a contatto con una cultura più arretrata della propria. Nel futuro da cui proviene si diverte a passare per un messia o per una divinità. Per quanto sia interpretato dall’allora diciassettenne Marc Harrison, il personaggio rimane un alieno per tutto il corso degli eventi, distante da quelli che sembrerebbero suoi coetanei.
E’ sceso sul nostro pianeta per errore e nella nostra realtà è un intruso. Come un virus viene attaccato dalle difese del corpo umano, così lui viene respinto dalla natura stessa, in quanto non appartiene al nostro ecosistema. Per andarsene deve ritrovare il Juganet, una macchina che può riportarlo nello spazio e nel tempo a cui lui appartiene. Viene aiutato nella sua ricerca da tre giovani, i fratelli Jane e Arby Vennor e il loro amico Roy Briggs. Sky è minacciato sia dalla natura, sia dal misterioso Ambrose Goodchild. L’enigmatico avversario appare come un uomo misterioso avvolto in un tabarro e incarna la forza della Terra, come se fosse un Green Man, lo spirito del bosco destinato a proteggere non tanto gli uomini quanto la Natura nella sua interezza.
La narrazione si rivolge agli spettatori senza offrire spiegazioni dettagliate sulla natura dei due alieni, senza inserire personaggi di contorno simpatici e rappresentativi di varie età, spalle comiche o altro di potenzialmente gradito ai ragazzini più piccoli.
I protagonisti sono modelli accattivanti per un bambino d’età scolare, guidano l’auto e la moto, sparano col fucile ai fagiani nelle battute di caccia. Godono di maggiore autonomia, pur vivendo ancora con le rispettive famiglie. Nonostante il vivo ritratto di questi giovani di campagna, i meccanismi di proiezione e identificazione nei personaggi, inizialmente validi, col progredire della vicenda si indeboliscono. L’equivoco nasce dal fatto che l’alieno all’arrivo è fragile e confuso, sembra indifeso e da proteggere; col tempo acquisisce potere e si rivela come manipolativo e poco empatico. I tre ragazzi inizialmente sembrano sveglissimi, e nel corso dell’avventura si rivelano meno brillanti dell’alieno. Si prodigano per salvare la vita al viaggiatore, e poi lo portano in ospedale pur sapendo che non è un umano e rischia di diventare una cavia. Credono di coltivare un’amicizia sincera, e non si accorgono che il sentimento è quasi del tutto unilaterale. Nel grande Universo Sky è Sky e loro… loro non sono un bel niente, sono terrestri ancora involuti, da usare e abbandonare alla fine senza una parola buona. Di puntata in puntata, diventa sempre più difficile per un bambino identificarsi nell’efebico alieno o in quei ragazzi. Gli adulti sono poi figure inconsistenti, necessarie per dare il via all’azione come nel caso dei genitori, o per condurre la vicenda verso il suo epilogo nel caso del paziente dell’ospedale.
Le scene di azione sono tutto sommato minimali, e sottotono. Si crea tensione riguardo la sorte dell’alieno, ed è una trepidazione che nasce da strategie narrative attinte dai gialli, non da polizieschi con inseguimenti, sparatorie o altro che riempia lo schermo in modo appagante per un bambino.
Le scelte narrative quindi si rivelano interessanti e coraggiose: sottraggono la vicenda al dover seguire stereotipi zuccherosi, al dover dispensare ennesime lezioni sull’amicizia nella diversità. Ci sono riflessioni semmai sulla difficoltà di poter avere un legame autentico, alla pari, quando le condizioni degli amici non sono pari. Si riflette anche sull’impatto della tecnologia e del sapere più evoluto su una popolazione che ancora deve completare tappe evolutive.
Lontano dall’essere una rivisitazione sul tema di Mary Poppins, Sky ha potuto invecchiare meglio.
Rivisto oggi, è visivamente datato, però solletica la curiosità. L’ambientazione è tutta britannica, sfrutta locations a basso costo o luoghi particolari amati dai turisti. Svariati esterni sono stati filmati nella campagna inglese, con scorci di piccoli paesi, e riprese nei magnifici siti di Stonehenge, Glastonbury e Avebury. Gli interni chiaramente sono ricostruiti in studio, con tutte le ristrettezze di set riciclati da altre produzioni più ricche, incluse caverne con rocce di polistirolo e radici e rami vistosamente artificiali.
Gli effetti speciali sono irrimediabilmente rozzi e chiassosi, come era normale per la fantascienza televisiva. Gli spettatori del Regno Unito erano abituati a trovare fantascienza e mistery nei palinsesti della BBC, erano programmi inscenati con pochi mezzi e con un’ottima sceneggiatura che lasciava spazio a momenti paurosi e di riflessione, e quindi si accontentavano. In Italia invece se un soggetto richiedeva costumi o scenografie particolari, veniva direttamente scartato. Sky arrivò anche da noi, come arrivarono alcune storie del Doctor Who: fu accolto con iniziale curiosità e successiva poca comprensione, Nonostante nelle intenzioni degli autori la vicenda fosse stata pensata per una platea di preadolescenti, il soggetto è insolito, mescola fantascienza, mistery, distopia, fantasy, e impone riflessioni adulte che possono lasciare i più piccoli con l’amaro in bocca.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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