MAGNIFICA PRESENZA

Le storie di fantasmi sono diffuse in tutto il mondo; quelle anglosassoni sono forse quelle le più celebrate,  capaci di superare i confini attribuiti alla letteratura o alla cinematografia di genere per affermarsi come capolavori dell’immaginario universale. Nel cinema italiano questo tipo di argomento è abbastanza insolito e inascoltato, anche perché manca il substrato formato da una valida produzione letteraria di genere. I racconti di fantasmi si rifanno alle leggende locali; le trasposizioni cinematografiche sono rare e spesso scopiazzano quanto è già stato abbondantemente visto nei film britannici. Magnifica Presenza è uno dei rari esempi di ghost story all’italiana; in esso convivono suggestioni letterarie, spunti attinti dal cinema dotto o dalle più modeste fiction.
Nella vicenda creata dal regista Ferzan Özpetek i fantasmi sono gli spettri della Compagnia Apollonio, un gruppo di teatranti famoso al tempo della Seconda Guerra Mondiale. I sei componenti oltre a recitare svolgevano attività di supporto alla Resistenza. Traditi da un membro, la diva Livia Morosini (Anna Proclemer), furono costretti a nascondersi in una villetta liberty, in un angusto ripostiglio. Lì trovarono la morte a causa delle esalazioni di una stufetta accesa per scacciare il gelo. Le loro presenze continuano ad infestare la casa, dove finisce per prendere alloggio Pietro ( lo strepitoso Elio Germano), un pasticcere catanese gay pieno di complessi giunto a Roma con il sogno di fare l’attore. L’uomo sembra l’unico in grado di vedere i fantasmi; presto la diffidenza si trasforma in curiosità, instaura un’amicizia con le misteriose apparizioni, e fa luce sui truci eventi occorsi.
La vicenda non sarebbe affatto scontata, per l’ambientazione peculiare e per l’atteggiamento del protagonista nei confronti degli spettri. Il regista probabilmente non è un appassionato di ghost stories, e di certo ha cercato un compromesso tra richiami colti, intenti di impegno sociale, commerciabilità. Magnifica Presenza vive di un’alternanza disomogenea di momenti malinconici e grotteschi, echi pirandelliani calati in un contesto assai concreto. L’amalgama funziona solo in parte: quando le citazioni omaggiano le opere d’autore ci sono momenti di struggente lirismo, quando invece il regista scivola nell’autobiografismo oppure nel verismo o nell’umorismo leggero, convince assai meno. Le sfortunate avventure omosessuali del protagonista, narrate con toni da tragicommedia, calcano la mano sul volersi conquistare le simpatie del pubblico gay friendly. Bastava assai meno per delineare un personaggio credibile e dare uno spessore alle sue timidezze: la presenza di Luca Varoli (Andrea Bosca), un personaggio bellissimo e gay della compagnia, ovviamente condannato alla clandestinità imposta dal periodo storico sarebbe stata sufficiente. E’ il confronto con ‘questi fantasmi’ a innescare la presa di coscienza di Pietro, a permettergli di superare i suoi complessi, anche di accettare di vedere il mondo con uno sguardo diverso dalla maggioranza. Vedere i fantasmi e poter comunicare con loro può essere una violazione di un tabù assai più grande dell’omosessualità, in una cultura metropolitana che spesso considera il paranormale, in ogni sua accezione, come ciarlataneria, follia oppure retaggio di un passato rurale fatto di superstizione e di ignoranza. La possibilità di un futuro legame con un vicino di casa, lasciato oltre i titoli di coda, può essere la diretta conseguenza del superamento delle paure e dei pregiudizi. Invece il rapporto del protagonista con Paolo (Alessandro Roja), idealizzato amante di una sera, oppure l’incontro con un travestito malmenato da un cliente aggiungono particolari ( e minuti preziosi, visto che i medio metraggi faticano ad essere proposti) senza poi dare una svolta veramente decisiva agli eventi. Rasentano il kitsch non perché descrivono situazioni di omosessualità, quanto perché accumulano particolari poco influenti rispetto alla vicenda, e li raccontano con il linguaggio pseudo verista della televisione degli ultimi anni. La trasgressione imbrigliata nei limiti ritenuti accettabili per un prodotto destinato al grande pubblico stona con la malinconica tragicità della vita dei fantasmi, gente che per l’epoca ha trasgredito per davvero opponendosi alla tirannia oppure tradendo i compagni di lotta. I momenti umoristici in particolare hanno il sapore delle fiction nazional popolari, con tanto di set casalinghi, stanze d’ospedale, bar sotto casa, uffici. Gli interventi della cugina pasticciona (Paola Minaccioni), segretaria nello studio di alcuni avvocati, fanno pensare alle situazioni innocue condite da battute prevedibili di Un medico in famiglia o di altre fiction nostrane.
Ben diverso è il breve episodio in cui Pietro raggiunge Badessa ( Platinette al maschile) in un laboratorio affollato da transessuali intenti a cucire costumi e cappelli, per avere informazioni su Livia Morosini. In quel caso il kitsch è consapevole, e finalizzato al dipanarsi degli eventi. Inoltre Badessa ricorda, anche visivamente, il colonnello Walter Kurtz (l’ingrassato e irriconoscibile Marlon Brando), suggerendo una discesa in un girone infernale da percorrere pur di ‘rivedere le stelle’, ovvero conoscersi ed accettarsi per quello che si è, e porsi con lo stesso atteggiamento nei confronti della dolorosa storia recente. 
Il film inizia a funzionare per davvero quando entrano in scena le eteree presenze della Compagnia Apollonio, sei personaggi pirandelliani che cercano un autore...e lo trovano nello sguardo trasognato di Pietro. Loro sono lo specchio in cui il protagonista è costretto a guardarsi, e il confronto lo porterà a conoscersi meglio, a convivere con i ‘suoi’ fantasmi.  Eleganti e fuori moda nei loro abiti di scena, aspettano una presenza amica capace di liberarli dal peso dei ricordi e portarli fuori dalla casa. Ed è quanto avviene; come in quel piccolo gioiello di Antonio Pietrangeli, fantasmi a Roma, nessuno chiamerà gli acchiappa fantasmi, anzi. Si ignora il destino degli spettri nel momento in cui, consapevoli di essere trapassati e liberati dalle anguste mura che hanno infestato per anni, finalmente possono fare il loro debutto al teatro Valle, con Pietro come unico spettatore. Forse rimarranno là, per ripetere all’infinito il loro copione, forse resteranno col protagonista e tutte le sere andranno al teatro, forse svaniranno perché si sono rappacificati tra loro e possono lasciare questa dimensione. La vaghezza in questo caso è una scelta intelligente: evita i ritorni nella consueta realtà quotidiana tanto amati dal cinema commerciale americano, ammiccando ai fantasmi che in Fantasmi a Roma continuano ad abitare con i discendenti del protagonista, come presenze benevole. Magnifica Presenza tocca tanti temi diversi, dall’accettazione di sé alle difficoltà della gavetta degli attori, dalle pagine cupe della Seconda Guerra Mondiale alla citazione cinefila dei classici di genere e non solo. Tanti sapori si amalgamano con  discontinuità in un film che lungi dall’essere un capolavoro, pure riesce ad intrattenere con leggerezza. Constatata la rarità nel nostro cinema di film sull’argomento, è apprezzabile scoprire una pellicola lontana dai modelli di Hollywood e per molti versi davvero originale.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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