IT - PARTE UNO
Il famoso romanzo di Stephen King It è tornato sullo schermo, stavolta in una produzione per il cinema . It - Capitolo uno (It: Chapter One) è un film del 2017 diretto da Andy Muschietti.
E’ stato trasposto in due pellicole, una ambientata nel passato e una nel presente.
Che la sceneggiatura di Gary Dauberman dovesse selezionare e tagliare i fatti presenti nel romanzo, era ovvio anche ai fan più accaniti, quelli che in altre occasioni si sono scagliati contro le trasposizioni troppo libere, incluso il capolavoro Shining di Kubrick. Di fatto ci sono oltre mille pagine piene di fatti che fanno conoscere meglio la cittadina di Derry e i suoi abitanti. IT è un affresco della provincia americana come era negli anni Cinquanta oltre che una storia di orrore e d’amicizia. Portare sullo schermo tutti gli eventi richiederebbe tempi più adatti alla televisione che al cinema, e difficilmente una produttore accetterebbe di investire su un soggetto che prevede obbligatoriamente più stagioni.
Molto di quanto ci narra questa recente versione cinematografica già s’era visto nella miniserie prodotta dalla ABC, che condensava i fatti principali in due puntate ed ebbe un grande successo. Ricalcarla in parte sembra un modo per giocare sul sicuro e offrire quelle situazioni note alla gente, raccontate però in modo più spaventoso e con la grafica digitale che promette ( e mantiene) prodigi. Chase Palmer, Cary Fukunaga, Gary Dauberman sfruttano l’esperienza di Lawrence D. Cohen e di Tommy Lee Wallace, mantengono buona parte dei fatti.
La vicenda segue le vite di sette bambini della immaginaria cittadina di Derry nel Maine, alle prese con It, un’entità che ogni ventisette anni assume la forma di Pennywise il Clown Ballerino per adescare le piccole vittime e ucciderle. Stavolta si tratta di un film da sala vietato ai minori di diciassette anni invece di una trasmissione televisiva destinata agli adulti ma visionabile in ambienti dove possono essere presenti minori. Quanti vedono questo film sono consapevoli del tipo di spettacolo a cui assisteranno, o dovrebbero esserlo. Di conseguenza gli sceneggiatori hanno scelto di rivisitare quanto nella miniserie si vede appena o si intuisce, aumentando la forza narrativa delle scene gore o con tensione sessuale. Inoltre hanno scelto di semplificare per quanto possibile la struttura narrativa rispetto alla miniserie. Messi quasi da parte i flashback e i salti temporali, il film scorre lineare portandoci nel passato. La maggiore ricercatezza della sceneggiatura della precedente narrazione è sacrificata in vista di poter dare maggiore rilievo alle visioni e agli incubi ad occhi aperti dei ragazzini, alle efferatezze del mostro sovrannaturale e a quelle dell’umanità degradata che popola anche la piccola cittadina apparentemente perfetta.
Invece di far avvenire i fatti negli anni Cinquanta e poi Ottanta, l’azione si sposta nel 1988 per quanto riguarda i bambini e ventisette anni dopo per gli adulti. E’ ovviamente un cambiamento che tiene conto delle leggi del mercato: al cinema vanno soprattutto giovanissimi e over quaranta, gli anziani sono pochi. It non è adatto per minorenni e famiglie e quindi bisogna puntare su quanti hanno figli ben cresciuti, ovvero persone mature abituate a uscire per andare al cinema. Nel 1990 la nostalgia degli ultraquarantenni era rivolta agli anni Cinquanta, nel 2017 punta dritta agli anni 80. La serie Stranger Things è stata un ottimo banco di prova: pur essendo godibile anche dai ragazzini di oggi, è ambientata nel passato ed ammicca ai classici del cinema del periodo. Supportato dal successo del telefilm, It - Capitolo Uno ricrea ambienti e situazioni degni dei Goonies e di ET.
I protagonisti sono sette ragazzini di circa tredici anni, la Banda dei Perdenti; quando non danno la caccia a It, li vediamo impegnati in sequenze che ricordano quel periodo apparentemente idealizzato e qui ricreato negli aspetti più tipici. Nonostante il coprifuoco che impone ai cittadini di chiudersi in casa presto, sono molto autonomi e fanno lunghe corse in bici, vanno alla sala giochi, si ritrovano in una zona del parco, vivono le prime cotte. Memorabili il bagno con tuffo da un’alta piattaforma di roccia e la feroce sassaiola contro il bullo del paese Henry Bowers e i suoi amici, Patrick Hockstetter e Reginald "Belch" Huggins … Le sequenze al ralenti sono analoghe a quelle usate nei telefilm di Hulk o della Donna Bionica per enfatizzare l’uso dei superpoteri.
L’operazione nostalgia convive anche con la sincera constatazione che quel mondo, anche senza clown assassini e mostri, era tutt’altro che perfetto. Il ritratto dell’adolescenza è dolcemente spietato, i ragazzi sono violenti e teneri, dicono parolacce, conoscono l’amicizia sincera e spesso subiscono le violenze degli adulti. Bill (Jaeden Lieberher) ha perso il fratellino George, si sente in colpa e balbetta; Mike è obbligato dal nonno a macellare le pecore, è bullato perché nero, orfano e povero; la mamma soffocante di Eddie (Jack Dylan Grazer) lo ha reso ipocondriaco; il padre di Stan (Wyatt Jess Oleff) è un colto rabbino e vorrebbe che il figliolo studiasse l’Ebraico biblico; Ben (Jeremy Ray Taylor) è obeso e viene addirittura accoltellato dai bulli nonostante sia il più intelligente del gruppo e abbia un animo da poeta; Richie (Finn Wolfhard) ha spessi occhiali ed è il più sboccato. Ancora più tragica è la condizione della splendida Bev (Sophia Lillis): ha un babbo incestuoso, e la gente l’accusa di essere molto promiscua. Il capo dei bulli (Nicholas Hamilton) ha un padre poliziotto estremamente violento.
Rispetto alla miniserie, e al romanzo, la caratterizzazione mette in maggior risalto alcuni personaggi rispetto ad altri. Mike ha poco spazio, inspiegabilmente. Si scatenano polemiche per la Sirenetta di colore, per Biancaneve che non è proprio pallida o per Bridgerton con la nobiltà britannica ottocentesca nera e poi, quando c’è un personaggio afroamericano interessante e previsto nella storia originale, lo si riduce a poca cosa. Pure Eddie, Stan e anche Richie sono un po’ ridotti a macchiette, sacrificati per dover fare emergere altri personaggi. Su tutti svettano Bev, sensuale maschiaccia sogno di tutti i compagni, Bill afflitto da sensi di colpa che tenta di sublimare in atti di sconsiderato coraggio, e Ben, obeso e per molti versi simile a Chunk del film I Goonies.
L’introspezione risulta abbastanza efficace, anche perché là dove non arriva il copione, o l’abilità interpretativa dei ragazzi, arriva Pennywise con le sue allucinazioni. Negli anni Novanta le immagini mentali così come le scene di lotta più fisiche dovevano limitarsi a quanto poteva esser riprodotto con trucchi artigianali. Oggi c’è la grafica digitale e quindi è stato possibile raccontare gli eventi traumatici occorsi ai protagonisti attraverso la rappresentazione delle paure più autentiche dei giovani. Solo i bambini sembrano accorgersi della terribile presenza e son loro ad essere le prime vittime, poiché l’entità che assume le sembianze di un clown si nutre di paura prima che di carne e quindi li tormenta. Le visioni vengono create appositamente da Pennywise in base alle esperienze pregresse dei ragazzi. L’espediente è indispensabile per farci conoscere meglio i protagonisti, evitando i flashback. Attraverso le truculente immagini che scorrono davanti ai loro e ai nostri occhi comprendiamo meglio quali siano i vissuti lasciati fuori scena e lasciati immaginare, e talvolta suggeriti da alcuni primi piani. Le scene paurose sono orchestrate in modo perfetto, con effetti speciali che rendono il massimo sullo schermo del cinema e fanno paura anche nel monitor del computer. Naturalmente Pennywise la fa da padrone, ha subito un interessante restyling che richiama sia il teatro elisabettiano sia i clown bianchi con l’ampia gorgiera. Il costume è molto meno anni Ottanta di quello chiassoso e colorato visto nella miniserie, e viene da pensare che sia un modo elegante per distanziare l’immagine del Clown Ballerino da quella del clown mascotte di una nota catena di fast food. E’ interpretato dallo svedese Bill Skarsgårdan, giovane attore con una lunga carriera in film indie, prestato a Hollywood e lanciato sul mercato internazionale da questa pellicola. L’attore tiene il volto libero, con protesi ed interventi grafici limitati alla forma del cranio e alle deformazioni che subisce. Se la cava molto bene, meglio però evitare paragoni con la performance di Tim Curry.
Ogni comparazione andrebbe evitata forse, perché sono due prodotti nati in epoche diverse, con alle spalle mezzi economici molto diversi e possibilità espressive assai diverse. Il primo capitolo può far sospettare che nell’insieme il film batta il serial, senza stravincere.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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