IT - PARTE DUE

It - Capitolo due (It: Chapter Two) è il sequel del film It - Capitolo uno (It: Chapter One)  ed è stato diretto, come il primo episodio, da Andy Muschietti. Più che essere un sequel arrivato due anni dopo, nel 2019, è la necessaria conclusione di quanto è stato narrato e chiuso con un epilogo che mal si prestava ad essere definitivo (pur potendolo anche essere). Il corposo romanzo di Stephen King è un caso di bestseller longseller, ovvero è un libro che ha avuto un grande successo all’uscita e nel corso degli anni ha continuato a vendere molte copie. La vicenda è molto nota, e limitarsi a portare sullo schermo solamente il primo capitolo sarebbe stata un’ammissione nemmeno troppo indiretta o velata di aver fatto un flop. Stephen King ha fornito materiale in abbondanza. Ce n’è per due pellicole, nate come un unico progetto: il regista è lo stesso e così il cast, con le necessarie aggiunte e defezioni dovute alle esigenze di copione, lo sceneggiatore e gran parte del comparto tecnico.  Vedere questa pellicola senza avere visto la prima limita la comprensione dei fatti.
Nel secondo film i preadolescenti che negli anni Ottanta avevano combattuto e sconfitto o almeno tenuto a bada il terribile It, entità venuta sulla Terra e capace di prendere le sembianze di Pennywise il Clown Ballerino, sono cresciuti. Bill è uno scrittore di horror, Ben un architetto di grido, Richie un comico famoso alla tv, Bev disegna moda e ha un partner violento, Eddie ha un servizio di limousine , Stan è un banchiere e Mike è rimasto a Derry a custodire i ricordi e la storia del luogo. Quando ventisette anni e il mostro è tornato ad adescare e mietere vittime tra i giovanissimi della cittadina di Derry, Mike raduna i vecchi amici e la Banda dei Perdenti si prepara a sfidare il mostro, proprio come una volta.
Anche in questo caso lo sceneggiatore Gary Dauberman  ha dovuto selezionare  i fatti presenti nel romanzo, decisamente lungo e ricco di digressioni che mal rientrano nei tempi già molto estesi di due pellicole da oltre due ore. Dovrebbero però essere contenti tutti, a partire dai produttori che per la prima parte avevano speso trentacinque milioni di dollari per incassarne oltre trecento e che con questo seguito hanno ripetuto più o meno il successo al botteghino. Parecchi registi e attori come Peter Bogdanovich hanno benedetto l’impresa partecipandovi direttamente con dei camei. Addirittura Stephen King compare nei panni di un antiquario. Se ci ha messo la faccia il Re dell’Horror in persona, significa che per convinzione o tornaconto ha approvato i due film; i suoi ammiratori dovrebbero essere convinti a loro volta del risultato, o tacere in rispettoso dissenso.
Il sequel si distacca molto dalla miniserie creata per la ABC che pure era stata un ottimo prodotto da tv e che aveva avuto un’ottima prima parte seguita da una seconda meno brillante. Nella nuova saga di It questo equilibrio si ribalta nel senso che è il secondo capitolo e va in crescendo, ma è lo stesso da guardarsi dopo aver visto la prima parte. Invece d’essere due puntate trasmesse una sera dopo l’altra, sono due film distanziati da due anni. Inutile chiedersi se sia meglio  il lavoro di Andy Muschietti o la vecchia miniserie. Alcune scelte narrative sono migliori nella vecchia versione, più attenta nella sceneggiatura, più fedele all’ambientazione anni Cinquanta, con i sette (sei) protagonisti tutti egualmente descritti nella loro emotività sull’orlo dell’età adulta, con Tim Curry indiscusso mattatore. Per molti altri versi è superiore il nuovo dittico: è più fedele al romanzo nonostante l’ambientazione anni Ottanta e contemporanea, ha attori bambini bravi e gli adulti sono sfruttati meglio, c’è un adeguatissimo villain, e un conflitto finale epico. Tutto o quasi parte dagli effetti speciali, poiché la sceneggiatura nel 1990 era obbligata a scegliere episodi del romanzo significativi ed necessari all’avanzamento della trama, purché fossero traducibili in immagini abbastanza convincenti con i mezzi d’allora. Aveva giocato la carta dell’elegia della giovinezza e del passato, le citazioni di altre opere horror ambientate nella provincia americana, incluso Lovecraft e il weird di Bradbury e del suo Popolo dell’Autunno. Gli autori dello script avevano dovuto obbligatoriamente far paura più con quel che non si vede che con quello che si mostra, e finché hanno potuto, l’hanno fatto egregiamente. Nella seconda parte della storia però l’entità si deve proprio vedere. It attacca con poteri mentali instillando visioni di morte, si trasforma, diventa un enorme ragno, e i ragazzi tentano un rito magico indiano, il rito di Chüd … Non può essere solo un girotondo di ragazzi o adulti che si tengono per mano per bandire da questa dimensione  un clown con una dentiera da squalo interpretato da un grande attore o qualcuno con addosso una maschera di lattice fatta bene o un ragno meccanico coperto di pelouche e palesemente finto. O meglio: poteva esserlo trent’anni fa, quando gli effetti speciali erano poco convincenti anche per le produzioni ricche e tutti si accontentavano, fossero gli alieni di gommapiuma del Doctor Who oppure E.T creato dalla raffinata tecnica di Carlo Rambaldi. Oggi il progresso della grafica digitale ha permesso di superare questi limiti e far vedere quasi tutto quello che si desidera, anche a scapito della sceneggiatura. Il secondo capitolo di It di Andy Muschietti è libero dalle costrizioni dovute ai mezzi inadeguati e si sbizzarrisce nell’alternare sequenze adrenaliniche. La sceneggiatura è più approssimata rispetto alla miniserie, però funziona a meraviglia per costruire momenti di paura da salti sulla seggiola. La scelta di giocare su un modo di far paura immediato è comprensibile, poiché la storia del Clown Ballerino è ben nota, o perché si è letto il romanzo o perché si conosce la versione televisiva. Gli eventi sono conosciutissimi e sorprendono poco gli spettatori, anche perché il titolo It con tanto di divieto ai minori di diciassette anni attrae i patiti dell’horror più che un pubblico generalista. Inoltre costruire un’atmosfera opprimente o intimista, oltre a rallentare la narrazione, la rende molto disomogenea se poi devono obbligatamente esserci dei momenti paurosi e il tutto deve accadere in un tempo limitato diverso dalle oltre mille pagine. Lo si nota anche in questa pellicola, che include momenti di celebrazione elegiaca dell’amicizia, però li deve far convivere con sequenze horror … e allora la macchina da presa si sbizzarrisce con inquadrature inusuali e movimenti arditi, montati con virtuosismo e con un ritmo molto sincopato.
Si dà spazio alle visioni della Banda dei Perdenti, con sequenze che portano alla luce i sensi di colpa dei membri, causati da eventi traumatici vissuti davvero o forse solo immaginati, e le loro paure.
Pur essendo protagonisti gli adulti, le incursioni nel passato tramite flashback sono svariate, regalando piacevoli momenti di amarcord americano.                                                             
Anche in questa seconda parte i personaggi ricevono attenzioni diverse, cosa che non avveniva nella miniserie. William "Bill" Denbrough  (James McAvoy) è l’alter ego dello scrittore, lavora nel cinema, sbaglia i finali delle sue storie di paura facendoli pessimisti quando la gente invece vorrebbe l’happy ending. Questo è una bonaria strizzata d’occhio a Stephen King, che spesso pecca di amarezza nei suoi epiloghi o comunque non trova il ‘giusto’ the end.  Jessica Chastain interpreta Beverly "Bev" Marsh, uno dei personaggi meglio gestiti e recitati, indimenticabile come bambina-lolita (Sophia Lillis) e come adulta. Benjamin "Ben" Hanscom (Jay Ryan) persa la trippa che lo rendeva buffo e bullato, ‘pesa’ poco sulla vicenda. Michael "Mike" Hanlon (Isaiah Mustafa) diventa una figura importante perché è rimasto a Derry, ha imparato dai Nativi il rito per bandire It, è la guida del gruppo. Molto bello il legame tra l’esuberante Ritchie (Bill Hader) e l’ipocondriaco Eddie (James Ransone): un amore gay non espresso in scena in modo esplicito ma lasciato immaginare nei battibecchi e confermato nello struggente epilogo. Stan (Andy Bean) come da copione esce di scena presto, semmai  è discutibile la scelta di aver motivato razionalmente il suo gesto nel finale.

E It ? La gente ricorda l’interpretazione di Tim Curry col suo clown stile mascotte da fast food; anche il giovane Bill Skarsgård si difende molto bene e ha alcuni bei dialoghi che mettono in luce la sua abilità. Il resto lo fa la grafica digitale, che nel corso della pellicola riesce anche a creare grottesche parodie, come la madre di Ellis prigioniera o la statua sulla piazza\auditorium raffigurante un contadino colorato come un nano da giardino, o la vecchia nuda e cadente…
C’è un barocchismo visuale in quell’accumularsi di visioni putrescenti, di sangue e mostri però si fanno dei bei salti sulla seggiola e le quasi tre ore di proiezione scorrono veloci.   

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita su questo sito. Se la volete ospitare, contattatemi. Florian Capaldi  su Facebook

 

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