SUPERMAN

Richard Donner è stato un maestro nel portare sullo schermo miti contemporanei, ha raccontato vicende straordinarie senza inutili intellettualismi ma con la straordinaria capacità di coinvolgere spettatori di diversa cultura, età, etnia. Suoi sono Il presagio - The Omen (1976), Superman (1978), Ladyhawke (1985),  I Goonies (1985), la saga di Arma letale (Lethal Weapon) (1987),  Maverick (1994), Superman II: The Richard Donner Cut (2006), tutte opere divenute cult.
Senza Donner probabilmente il genere del cinecomic avrebbe dovuto attendere molti anni prima di svilupparsi, il tempo necessario per avere effetti speciali credibili a basso costo. Fino al ‘suo’ Superman, i film sui super eroi erano state opere di serie C, realizzate con effetti speciali goffi, interpreti insaccati in costumi che sembravano pigiami ristretti da una centrifuga di troppo e risultati arristici davvero modesti. Il telefilm su Batman (1966-1968) aveva esagerato i toni da parodia, con intelligenza, poiché l’umorismo involontario era conseguenza diretta dei pochi mezzi disponibili, mentre l’estetica da pop art sembrava una scelta capace di giustificare quanto poteva esserci di sgangherato e sopra le righe.
Il successo di Guerre Stellari nel 1977 aveva dimostrato come fosse arrivato il momento di poter realizzare pellicole fantastiche ad alto budget, e quindi Donner portò sullo schermo il super eroe più celebre, Superman. Il film presenta l’eroe a partire dalla sua nascita, sul lontano pianeta Krypton, e sviluppa le sue avventure in modo da far conoscere il personaggio anche a quanti fino ad allora erano abbastanza indifferenti ai fumetti. I 144 minuti, un minutaggio eccezionale per gli anni Settanta, raccontano tre tappe della vita del super eroe, la nascita e la giovinezza, la vita sotto identità segreta nella città di Metropolis e le prime imprese, infine lo scontro con Lex Luthor.
La narrazione, vista con lo sguardo disincantato di oggi, può apparire lenta, poiché si prende i tempi necessari a spiegare l’evoluzione del personaggio e gli effetti speciali non consentono un ritmo indiavolato, anche con le migliori intenzioni dei montatori. La lentezza era comunque motivata. Oggi tutti conoscono Superman, e se sono ignoranti possono informarsi con un click. Negli anni Settanta il fumetto era popolare negli Usa, anche se non più come trenta anni prima, aveva vendite costanti e appassionati che erano cresciuti con le vivaci immagini dell’eroe. Nel resto del mondo era assai meno famoso, e le spiegazioni dettagliate servivano proprio a far avvicinare all’eroe nuovi potenziali fan. Per poter far innamorare il potenziale lettore e spettatore era necessario dare un solido background al personaggio e creare empatia concedendo un buon tempo all’introspezione.
Kal-El viene adottato dai coniugi Kent riceve un nome da terrestre e cresce con la consapevolezza di essere diverso dai coetanei. Un po’ soffre a dover inibire le sue capacità, e un po’ si rassegna a quella vita semplice nel paesino di Smallville, in un’America rurale, modesta e di sani valori, apparentemente ferma agli anni cinquanta. Alla morte del padre Clark lascia il villaggio per cercare le sue radici, che trova nell’estremo nord, tra i ghiacci della Fortezza della Solitudine. Quando ha coscienza delle sue origini e del senso della sua presenza sulla Terra, la pellicola decolla, perché Clark Kent è divenuto Superman e torna tra gli esseri umani per proteggerli e ispirarli, nei panni di un goffo giornalista del Daily Planet, o nella iconica calzamaglia rossa e blu.
La storia d’amore con la collega Lois Lane (Margot Kidder) può sembrare una concessione al voler richiamare il pubblico femminile, tradizionalmente poco attratto dalle vicende dei supereroi. In parte c’è questa esigenza, gestita però con garbo, con parti da commedia brillante. Si sentono battute con doppi sensi d’ogni tipo, anche piccanti, che rendono il corteggiamento una pausa divertente e sempre finalizzata a mostrare la difficoltà di una doppia vita. Clark Kent resta sospeso tra gli insegnamenti ricevuti dalla famiglia umana e la conoscenza della galassia appresa dall’ologramma del padre, è il prototipo del superuomo ma è anche un immigrato che crede al Sogno Americano, è un giornalista goffo e occhialuto e si trasforma in una sorta di semidio... e non sa mai scegliere tra seguire la regola del non intervento voluta dal padre Jor-El, o la calda affettività che ha accompagnato la sua crescita da comune mortale.  
L’aver dato spazio alla vita quotidiana del super eroe è quanto lo ha reso iconico, e ha anche la funzione di marcare la differenza dal supercriminale Lex Luthor (Gene Hackman), che è uno spassoso villain da operetta le cui perversioni sono in parte rappresentate e in parte lasciate immaginare.
L’avventura vera e propria può far sorridere, tuttavia è parte dell’estetica vintage, del voler ricreare un mondo parallelo al nostro dove ci sono i buoni e i cattivi e tutto deve finire bene. Superman è figlio degli anni successivi alla Grande Depressione, riflette sogni e aspirazioni di un mondo meno complesso del nostro, egualmente duro e difficile. Nei fumetti classici i fan non stavano a spaccare il capello in quattro per questo o quel potere, si godevano le trovate senza pretendere una logica ferrea o un’impeccabile coerenza interna alle storie. Si doveva poter credere che un paio di occhiali modificassero la fisionomia al punto di diventare irriconoscibili, che ci si potesse cambiare in una cabina del telefono senza venir considerati pervertiti, che si potesse volare e credere nella giustizia e nella bontà. Può apparire ingenuo, eppure Superman funziona in quel tipo di universo, al massimo si può portare avanti negli anni Cinquanta, o Sessanta. Il fallimento (o la modesta riuscita) dei vari reboot che provano a ambientare le avventure ai nostri giorni la dice lunga, viviamo nel secolo della disillusione. Lo stesso terzo capitolo delle avventure di Superman, che prevede l’esistenza e la diffusione dei computer, e quindi un’ambientazione decisamente contemporanea a quella che vive lo spettatore, sembra funzionare poco. Il Superman creato da Jerry Siegel e Joe Shuster è eccessivo, ha troppi poteri, è invulnerabile, vola, vede attraversi tanti materiali, è fortissimo ed è una figura quasi messianica. O si snatura il personaggio, avvicinandolo alla nostra mentalità, depotenziandolo, oppure bisogna accettare che sia un boy scout dal comportamento abbastanza prevedibile, e quindi noioso. E’ già tanto se la storia di Mario Puzo riesce a calcare la mano sul dilemma dell’obbedire alle leggi di Krypton o a quelle dei terrestri. Batman è un umano che ha usato soldi, tecnologia e fanatismo per diventare un super eroe, invece Superman è invincibile, e kryptonite o no di mezzo, bisogna crederci.
Ci hanno creduto i produttori, facendo realizzare questi film con ambizioni da kolossal evidentissime: ci sono tanti richiami a Guerre stellari, dalla colonna sonora composta dalle memorabili partiture di John Williams ai titoli di testa e di coda che richiamano l’estetica della più famosa space opera. Addirittura la vicenda si apre con il processo e la condanna di tre criminali, che vengono esiliati e non ricompariranno che nel sequel, evidentemente premeditato e progettato già in fase di sceneggiatura del primo capitolo.
Il cast è stellare, oltre a Marlon Brando che pretese una cifra altissima per recitare quei pochi minuti dell’inizio e qualche cameo sparso qua e là, ci sono nomi davvero illustri di caratteristi con alle spalle decine di performances. Il protagonista Christopher Reeve era invece la rivelazione, un giovane semi sconosciuto che vide la sua carriera decollare. Come attore, probabilmente era più attraente che bravo, o almeno, negli altri film che ha interpretato se la cavava senza infamia e senza lode, eppure nei panni di Superman era perfetto, carismatico nella sua tuta aderente, goffo e tenero come giornalista. Il ruolo lo legò indissolubilmente al personaggio, tanto da venire identificato con l’Uomo d’acciaio anche quando, ormai smessa da anni la tuta aderente con la S davanti, rimase paralizzato per un incidente ippico e divenne un attivista per la causa della ricerca, dimostrando una gran forza d’animo fino alla fine, giunta troppo presto, a soli cinquantadue anni.
Paradossalmente, la tragica fine di Reeve ha aumentato il fascino di questa pellicola, e delle successive: anche quelle riuscite meno bene sono generalmente ricordate con affetto dai fan, e questo primo capitolo è diventato un cult.
Per essere un film del 1978, la confezione è impeccabile, gli effetti speciali sono strabilianti, anche quando si vede chiaramente l’artificio, il cavo che regge l’attore, i fondali incollati, i tanti modellini. Krypton è stato ricostruito in studio, così il covo di Luthor o la Fortezza tra i ghiacci che in qualche inquadratura si rivelano plastica tritata finemente o blocchi di polistirolo che galleggiano in una piscina. Nonostante si veda benissimo la finzione, ci si crede, perché la vicenda appassiona, gli interpreti affascinano la platea, e ogni successiva visione rinnova il piacere di seguire Clark Kent alla scoperta del mondo.
Non è certo un film perfetto, ha i sui momenti morti, la parte avventurosa è ingenua e tutto sommato breve, tuttavia ha avuto un meritato successo. I due film su Batman di Tim Burton sono molto più autoriali, raffinati, però se esistono, è solo grazie alla fortuna di questo Superman. Nessuno avrebbe scommesso su un film di super eroi, destinando tanti soldi alla produzione se non ci fossero state avvisaglie del gradimento da parte del pubblico. E senza soldi, un film di super eroi può andar poco lontano, a meno che non sia una pellicola che tratta del fenomeno culturale dei super eroi, e che affronta il tema con una prospettiva inconsueta. Oggi poi i cinecomic sono un sottogenere del fantasy o della fantascienza, sempre grazie a questo capostipite. A distanza di tanti anni riesce ancora a regalare emozioni, si fa rivedere con piacere e ha ispirato i vari reboot, a volte belli, più spesso banali e incapaci di reggere una seconda visione. Un cult è sempre un cult !

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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