LA CASA STREGATA
Il cinema fantastico in Italia ha sempre faticato ad affermarsi, per diverse concause. La tradizione del neorealismo ha sempre messo in secondo piano soggetti fantasy, e anche Miracolo a Milano è stato rivalutato in tempi recenti, poiché all’uscita fu un flop di critica e anche di pubblico. Il peplum mitologico è stato bistrattato, accusato di escapismo e relegato nella serie B, ma almeno ha avuto la sua stagione, finché è durata. Ci sono stati alcune raffinate eccezioni, lavori isolati come il C’era una volta di Francesco Rosi, il gotico di Il mulino delle donne di pietra di Giorgio Ferroni, o lo struggente e poetico Fantasmi a Roma di Antonio Pietrangeli, splendidi sprazzi di fantasia in un panorama che ha declinato la parabola neorealista fino a renderla un cliché. Purtroppo questi titoli non hanno avuto grande seguito al momento dell’uscita; se poi sono divenuti cult, è un’altra faccenda. In televisione è andata un po’ meglio, con validi sceneggiati del mistero, con saghe fiabesche destinate però a un pubblico familiare con bambini piccoli.
Il piatto forte del cinema anni Ottanta italiano è stata la commedia: film semplici, senza troppe pretese, spesso a basso costo. Forti di una buona distribuzione nelle sale dei paesi, hanno raggiunto la popolarità con la complicità della chiusura domenicale dei negozi e la mancanza di attività che animassero in modo diverso le domeniche nazionalpopolari. Il cinema d’autore spesso era vietato ai minori, i grandi successi di Hollywood uscivano di solito durante le feste, e nei centri minori arrivava quanto poteva potenzialmente andar bene a tutta la famiglia. Di conseguenza venivano sfornate tantissime commedie, meno volgari delle pellicole anni Settanta, più garbate e innocue, interpretate da comici come Celentano, Pozzetto, Verdone, Abatantuono, Villaggio, Calà, Bud Spencer e Terence Hill ormai lontani dal West....
Non sorprende come ci siano state sporadiche incursioni nel fantastico, ovviamente rivisitato in versione casereccia, con effetti speciali minimi, ambientazione contemporanea e tante battute di immediata comprensione. La casa stregata è una di queste pellicole, diretta da Bruno Corbucci nel 1982 e nata dopo il successo di successo di Mia moglie è una strega, film vagamente ispirato al classico di René Clair Ho sposato una strega (I Married a Witch).
In un magico medioevo a metà tra il mondo di Brancaleone da Norcia e quello delle Mille e una notte, il cavaliere Giorgiovat (Renato Pozzetto ) va a Roma col servo saraceno Omar (Yorgo Voyagis) per sposare la bella e illibata Candizza ( Gloria Guida) promessa al sultano Ali-Amman. I due amanti vengono scoperti dalla madre della ragazza, la strega Anastasia (Lia Zoppelli). La megera li trasforma in statue di sale e li condanna a reincarnarsi mille anni dopo. Se nel futuro riusciranno a incontrarsi e unirsi carnalmente nella stessa stanza dove sono custodite le statue, con la donna ancora vergine, le loro anima potranno essere libere di raggiungere i Giardini di Allah…. Al giorno d’oggi Giorgio Allegri è un bancario fidanzato con Candida, bellissima ragazza con una madre indisponente. Quando viene trasferito a Roma, si trova a dover trovare alloggio e l’impresa si rivela disperata: occorre una casa grande per ospitare anche la madre e il cane. Dopo tanti tentativi andati a vuoto, Giorgio viene contattato da un agente immobiliare che gli propone un vero affare. C’è una magnifica villa con giardino, piscina coperta e un affitto popolare, motivato dalla presenza del fantasma del saracino. E’ proprio la dimora dove, sepolta oltre il livello delle cantine, c’è la sala con le statue di sale. Lo spirito di Omar fa in modo che il rapporto non si consumi se non nella data e nel luogo stabilito, e così l’incantesimo viene sciolto. E tutti vissero felici e contenti.
La vicenda è una ennesima variazione comica sul tema delle case infestate, riveduto e corretto senza avere la leggiadria delle commedie soprannaturali di Clair, senza osare un humor nero di stampo britannico e senza azzardare una parodia dotta e sgangherata come quelle di Mel Brooks. Il regista Bruno Corbucci, padre del poliziottesco, ha diretto una commedia fantastica, e lo ha fatto con la leggerezza e l’umorismo facile tipico delle sue opere.
L’esile trama si regge sulle blande scurrilità boccaccesche del povero bancario che vorrebbe consumare il rapporto e mai ci riesce, intralciato dall’acida suocera e dal fantasma che deve far sì che l’atto avvenga proprio nel posto e nel momento appropriato.
A salvare la pellicola c’è il nonsense surreale di Pozzetto, che illumina le varie situazioni, e dà verve alla storia insieme all’indimenticabile Gaetano, il cane parlante. Alcune gag sono divertenti, e sono invecchiate molto bene, come la trasformazione del bancario in stile Incredibile Hulk, il danese che parla in napoletano o i tiri mancini del fantasma. Altre battute invece accusano pesantemente il peso degli anni, per sessismo, per derisione dei gay.
“Calma, calma, c'è una sorpresa... Mi sembrate un po' mosci, facciamo un gioco! Allora: tutte le puttane da una parte e i froci dall'altra!”
"Ma io non sono mica frocio"
"No, il gioco delle bugie lo facciamo dopo"
Ebbene, al giorno d’oggi è davvero inascoltabile. Certe battute sarebbero censurate per omofobia e perché inadatte ai ragazzini, e comunque sembrerebbero adatte a vecchi che giocano a briscola in un bar di paese, non farebbero ridere i giovani. Negli anni Ottanta parolacce e doppi sensi a volte espliciti invece erano comuni. Si cresceva presto e soprattutto nei piccoli centri non c’erano troppe alternative a parte i programmi televisivi dedicati ai giovanissimi, quindi la famiglia media accettava come normalità quanto oggi respingerebbe – salvo poi ritrovare contenuti analoghi o anche più espliciti nel web, con il Brainrot e le canzoni piene di violenza e bestemmia demenziale.
Altre situazioni non funzionano più soprattutto con i più giovani, semplicemente perché si basano su modi di vivere che oggi sono spariti, come gli scherzi al telefono tipici del mondo ante internet.
L’intreccio è davvero semplice, e può essere anche un pregio, in quanto dà spazio alla comicità ed è facile da seguire anche da parte dei più piccoli, proprio perché accanto all’umorismo basato sul sesso c’è la comicità surreale di Pozzetto e la presenza del cane.
Tra l’altro gli effetti speciali, per quanto artigianali, sono usati con garbo, senza goffaggini dovute all’imperizia: quando risultano poveri, è proprio perché lo sono, come nella parte della trasformazione in Hulk, che tecnicamente è fatta bene come montaggio e inquadrature, cita il ralenty dei telefilm, però fa i conti con i pochi mezzi e porta in scena Pozzetto dipinto di verde... Il pubblico di allora comunque si accontentava, tanto che anche quelle trovate modeste conquistarono i giovanissimi.
La villa immortalata è poi una scenografia d’autore, in quanto si tratta della Villa Giovanelli Fogaccia, situata nel quartiere Aurelio a Roma. Viene sfruttata molto bene, imitando inquadrature e montaggio dei vecchi horror della Hammer o dell’Amicus, soluzioni visive datate ma sempre efficaci.
La sceneggiatura invece quando non sconfina nell’imitazione dei brividi d’annata deve inserire la varie gag a volte un po’ ripetitive e marciare verso il lieto fine. La prima parte è abbastanza briosa, poi scivola nel prolisso, con l’happy ending, risolto con poesia ma immancabile e annunciato fin dall’inizio. Si ha quasi l’impressione che la pellicola si sarebbe potuta concludere con almeno dieci minuti in meno, tagliando le lungaggini. Il minutaggio di novantadue minuti avrebbe comunque tollerato uno snellimento del genere e un montaggio più serrato avrebbe dato più verve alla storia narrata.
Nonostante i limiti, La casa stregata riesce ancora a strappare qualche risata, anche grazie agli interpreti, volti iconici della commedia di quegli anni.
Pozzetto si difende bene, ripropone il suo eterno ruolo di uomo di buon cuore ingenuo e un po’ impacciato, che finisce per essere baciato dalla fortuna. La Guida pare un po’ appannata, questo è il suo penultimo film prima del ritiro definitivo dalle scene, e fa interpretare la scena più osè alla Marilda Donà, mentre Voyagis e la Zoppelli risultano spassosi. I ruoli minori non hanno modo di brillare, in quanto Pozzetto riempie la scena, e loro servono solamente per far avanzare gli eventi, comunque fanno il loro lavoro con diligenza.
Con tutti i limiti già detti, l’insieme in qualche modo funziona, almeno se si contestualizza la pellicola agli anni Ottanta e non si ha la pretesa di vedere un vero fantasy o una vera ghost story ma ci si accontenta di un’ora e mezza di intrattenimento piacevole e onesto.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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