NEL FANTASTICO MONDO DI OZ

Di solito quando si nomina la Disney si pensa alla Major che ha fatto incantevoli film di animazione e divertenti pellicole, e che ha divertito generazioni di spettatori con storie semplici e di facile presa. Oggi possiede i diritti d’autore di svariate ambientazioni e rinnova i diritti d’autore sui propri classici con live action spesso al centro di gossip e polemiche ben orchestrate. La Disney attuale sembra condizionata dal dover inserire in qualsiasi prodotto le tematiche dell’inclusività, spesso forzando la mano su soggetti che non prevedono personaggi di quel tipo… e sfruttando la pubblicità che deriva dalle accese discussioni dei fan. Davanti a certe forzature viene da rimpiangere gli anni Ottanta, con le tante incertezze, la sperimentazione, i flop divenuti poi cult movie e tante idee che oggi sono sbandierate come vessilli del progressismo, mentre un tempo erano parte delle vicende narrate, presenti se i personaggi e le situazioni lo consentivano, con intelligenza e senza folli forzature.
In quegli anni la Disney non se la passava benissimo: passava da commedie di successo a produzioni televisive povere e ingenue, con qualche tentativo di rilanciare l’animazione e la certezza di doversi confrontare con le produzioni giapponesi che si stavano diffondendo per il mondo. L’esigenza di rinnovarsi era un’ovvia necessità, e nell’incertezza su quale fosse il modo migliore per sopravvivere alla crisi, la Disney sperimentò. Produsse pellicole caratterizzate da forti contaminazioni con i generi che sembravano piacere di più: la fantascienza e l’horror. Nacquero così pellicole di taglio più adulto, capaci di giocare sulle atmosfere e suggerire momenti paurosi senza troppi bamboleggiamenti, come Gli occhi del parco o The black hole.
Nel fantastico mondo di Oz è uno di questi esperimenti. Si tratta di un sequel del Mago di Oz del 1939, e fonde i romanzi di L. Frank Baum Il meraviglioso paese di Oz (1904) e Ozma, regina di Oz (1907). In Italia è conosciuto prevalentemente il romanzo Il mago di Oz, ma oltre oceano sono disponibili tantissimi titoli ambientati nel regno di Oz, con quaranta prequel, sequel, spin off assortiti, alcuni scritti dallo stesso Baum, altri di altri autori, e una miriade di opere derivate.
Nel 1985, scaduti i diritti d’autore, la Disney ha dato una sua interpretazione di quel mondo incantato. Non aspettiamoci però graziose scenette con animali antropomorfi, canzoncine melense e buoni sentimenti elargiti come coriandoli al carnevale. Stavolta la fiaba diretta da Walter Murch è molto cupa, e anche se non si vedono sequenze esplicite, situazioni e personaggi spaventano gli spettatori bambini e turbano gli adulti. Le allegre canzoni da musical lasciano il posto a una colonna sonora moderna, degna di un thriller. I colori sovraccarichi e squillanti che ricordavamo nel classico di Fleming sono sostituiti da cromatismi smorti. Dorothy Gale (Fairuza Balk) è tornata nel nostro mondo cambiata, continua a sognare e a parlare in continuazione del reame di Oz e male si adatta alla vecchia vita nella fattoria degli zii. Il tornado ha distrutto la casa, lo zio è depresso e forse ha una gamba rotta guarita malamente, la famiglia è indebitata e non ha tempo e voglia di ascoltare le fantasie della piccola. Gli zii giungono a portare Dorothy dal Dr. Worley (Nicol Williamson), uno psichiatra che pratica l’elettroshock. Il medico ricovera la bambina nella sua villa, una dimora con ambulatorio e sotterraneo dove sono imprigionati i pazienti, controllati anche da una terribile infermiera (Jean Marsh). La fuga di Dorothy e il suo arrivo nella dimensione parallela hanno il sapore di un incubo, con la presenza di un’evanescente bambina bionda che pare annegare in un fiume e la protagonista che si risveglia nel Deserto della Morte… Oz è stata devastata dal Re degli Gnomi, dalla strega Mombi e dai crudeli Ruotanti e Dorothy deve salvare i suoi amici e ristabilire l’armonia.
Sembrerebbe un esempio di fantasy anni Ottanta, analogo a La storia Infinita o a Labyrinth, un film di grande atmosfera a patto di contestualizzare l’estetica datata e i trucchi artigianali. In questo caso però le atmosfere inscenate sono se possibile assai più cupe di quelle viste in Fantasia minacciata dal Nulla, o nel Labirinto della reggia del Re dei Goblin, e la morale della favola risulta assai più ambigua.
La sceneggiatura sfrutta il linguaggio dell’horror, sia come scenografie, sia come modo di raccontare i fatti.  La clinica psichiatrica è un ‘Asylum’ vittoriano simile ad una casa delle paure dei vecchi luna Park, e viene mostrata con inquadrature ereditate da classici come Psyco di Alfred Hitchicock, o Piano piano dolce Carlotta. La fuga notturna dalla clinica, favorita dal temporale, ricorda la caccia alla Creatura di Frankenstein. La ragazzina bionda che appare ogni tanto assomiglia più a un fantasma che a una fatina. Gli stessi alleati di Dorothy sono inquietanti, dall’uomo meccanico Tick Tock che deve venire caricato per muoversi e pensare, a Jack, sorta di spaventapasseri con un Jack O’Lantern a fare da testa reso vivo da una stregoneria. Il massimo del perturbante si raggiunge probabilmente con Gump, sorta di mobile assemblato con vari arredi e con una testa di alce impagliata, animato da una polvere che rende vivo quanto tocca.
La dicotomia tra vita e morte trova una bizzarra conciliazione in queste creature create da una magia che ignora i confini naturali dell’esistenza. Ad eccezione di Dorothy tutti i personaggi, buoni o cattivi, sono creature artificiali. I Ruotanti sono una sorta di clown assassini con ruote al posto di mani e piedi e non si sa se siano robot o cyborg composti da gente mutilata e assemblata con parti meccaniche. La strega Mombi sostituisce la testa con altre teste sottratte alle legittime proprietarie ed esilia le avversarie dentro uno specchio. Anche il Re degli Gnomi, vero mandante di tutti i misfatti che hanno ridotto la Città di Smeraldo a un desolato cumulo di macerie, è una roccia che assume sembianze simili a quelle di un uomo imponente con ai piedi le famose pantofole di rubino. Come nel Mago di Oz di Victor Fleming, anche in questo caso gli attori che interpretano i ruoli del medico e dell’infermiera danno il volto ai villain del mondo di Oz.
In un contesto in cui Dorothy viene inseguita dalla vanitosa strega che desidera una testa di ricambio in più, la vita può essere donata a qualsiasi oggetto e il Re degli Gnomi gioca in modo sadico con i suoi prigionieri trasformandoli in soprammobili, la presenza della gallina parlante Billina risulta superflua e irritante. Ad eccezione dell’atto che provoca la caduta del Re degli Gnomi, le gag dell’animale sono scialbe, addirittura stonate in un contesto tanto oscuro. Si ride poco a Oz, e la gallina parla soprattutto all’inizio per poi tacere e rifugiarsi nella testa vuota di Jack, e ricomparire nel finale. E’ forse la sola stonatura in una partitura cupa e terrificante, che ammicca falsamente ai preadolescenti e nasconde un’anima horror dietro a stereotipi disneyani in esplicita crisi.
L’epilogo cerca di essere rassicurante, con una spiegazione accettabile per il medico, la clinica e l’infermiera, e Dorothy che torna a casa come era prevedibile… e no, questo non è uno spoiler o lo è solo in parte, visto che in questo tipo di pellicole di solito la nostra realtà viene preferita ai sublimi mondi paralleli. Il vero spoiler è evidenziare come la dolce Dorothy, pur tornando sulla Terra, si sia fatta furba: grazie a Osma ha capito che deve tacere ai suoi riguardo alla magica terra oltre l’arcobaleno o verrà presa per pazza. La morale della favola si rivela molto meno infantile del previsto, e amara. Nessun posto è come casa, recita la formula che riconduce la bambina nel Kansas di inizio ‘900, però casa è bella se ogni tanto ne puoi scappare, non quando sei condannata a sgobbare tra gente ignorante. Dorothy ne è certa, potrà tornare a Oz quando ne avrà voglia, in barba agli zii puritani e ignoranti. Inoltre crescere significa anche accettare di non poter condividere tutte le esperienze con le persone ottuse e concrete, anche se queste sono i tuoi stessi parenti e non ci sono persone di mentalità aperta nelle vicinanze.  In pratica, valutare attentamente chi si ha davanti, e poi omettere quanto verrebbe rifiutato, non perché piaccia o sia giusto essere ipocriti, quanto per necessaria autodifesa. Se non erano sufficienti i particolari perturbanti e le citazioni visive ispirate dai classici dell’horror, la morale della favola ce lo conferma: Nel fantastico mondo di Oz non è un film destinato ai più piccini, sebbene la protagonista sia giovanissima.
Tra partenza e ritorno, il viaggio della ragazzina è una quest del tipo più tradizionale, rivisitata con spirito che anticipa in parte le trovate di Tim Burton. Le tappe del viaggio si concatenano come era consueto nelle vicende fantasy realizzate in quegli anni. La semplicità oggi sembra datata eppure aiuta a enfatizzare gli eventi, e li rende ancora più spaventosi perché l’attenzione degli spettatori non si disperde nell’azione concitata ma viene convogliata sui particolari, come nel caso del girotondo di statue decapitate, non sempre state acefale e non sempre state statue.
L’estetica degli effetti speciali è ovviamente retrò, figlia di un mondo ancora artigianale, fatta in stop motion. Ci sono poi nani che indossano costumi appositi, e animatronic. Anche per questo aspetto, il film è diventato un piccolo cult: accolto da un flop al botteghino, si è fatto conoscere nel corso degli anni come opera alternativa che incarna la bellezza e le contraddizioni degli anni Ottanta e del nascente cinema fantasy.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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