V - VISITORS - serie anni '80

Primi anni Ottanta: i teleschermi vengono invasi dai Visitors, infidi lucertoloni spaziali protagonisti di una saga televisiva composta da due miniserie di 2 e 3 parti (V, 1983, e V: the final battle, 1984), e una serie di 19 episodi (V, 1984/1985). In Italia vengono trasmessi in due tornate, rispettivamente con i titoli V – Visitors (1984, le due miniserie) e Visitors (1986), lasciando un ricordo indelebile in quanti, oggi, abbiano spento almeno una trentina di candeline..

Indimenticabile l’arrivo delle immense astronavi nei cieli delle più grandi città della Terra; sequenze che ispireranno Roland Emmerich e il suo Independence Day: le inquietanti sagome discoidali occupano il cielo oscurando con la loro ombra le metropoli sottostanti. E rimangono così, immobili e silenziose, lasciando i terrestri attoniti a interrogarsi sulla loro origine e le loro intenzioni…

Quando finalmente gli alieni decidono di manifestarsi e comunicare, si aprono i portelloni delle astronavi da cui decollano velivoli simili a piccoli pulmini bianchi, che scendono al suolo. Ne escono creature in tuta rossa, perfettamente somiglianti a esseri umani, fatta eccezione per gli occhi delicati protetti da occhiali da sole, e per un curioso timbro metallico nella loro voce. Per prima cosa, i visitatori si affrettano a rassicurare i terrestri, ostentando modi cordiali e affermando di venire in pace, provenienti dal quarto pianeta della stella chiamata Sirio. Ciò che chiedono è di poter usare alcune fabbriche chimiche per sintetizzare dai rifiuti sostanze che non possono ottenere nel loro mondo. In cambio, si dimostrano pronti a condividere conoscenze scientifiche molto avanzate, che risolverebbero parecchi problemi all’umanità.

L’opinione pubblica accoglie gli ospiti con grande entusiasmo, eppure non tutti credono alle loro parole: il giornalista Mike Donovan (Marc Singer), disilluso dopo anni vissuti da reporter in paesi devastati da guerre e carestie, sospetta che gli intenti degli alieni non siano quelli dichiarati. Così trova il modo di introdursi sull’astronave madre e lì scopre la raccapricciante verità: gli extraterrestri indossano una ‘maschera’, in ogni senso; sotto una pelle sintetica fabbricata per ingannare gli umani, si nascondono infatti viscidi rettili verdi dalla pelle a scaglie, vere e proprie lucertole umanoidi con tanto di lingua biforcuta. Sono venute dallo spazio per sottrarre l’acqua e divorare poco a poco gli ignari abitanti della Terra, trasformando il pianeta in un gigantesco allevamento.

La loro società militare è metodica e spietata, al pari di quella nazista nella Germania del Terzo Reich. In breve gli alieni assumono il controllo dei mezzi di comunicazione di massa, instaurando una specie di regime dittatoriale. L’umanità allora si divide allora tra quanti credono ciecamente alla loro buonafede, e gli scettici che al contrario iniziano a concepire una resistenza armata e clandestina. Sarà il caso dello stesso Donovan, e della studentessa in medicina Juliet Parrish (Faye Grant).

Anche tra i visitatori, d’altra parte, esiste un’opposizione al regime, alimentata da fazioni politiche avversarie agli attuali leader, e da singoli individui di indole autenticamente pacifica, come il caso del tecnico Willie (Robert Englund, che proprio nel 1984 divenne famoso come Freddy Kruger in Nightmare: dal profondo della notte).

Nei primi episodi, lo spettatore è coinvolto a poco a poco in un clima di sospetto, timore, orrore, costruito con maestria. E non si lesina sulle scene di forte impatto: Diana che come merenda inghiotte in un sol boccone una cavia viva, la ‘pelle’ finta squarciata da ferite che lasciano scoperte le scaglie da rettile, un operaio che perde una mano in un incidente, le fabbriche che si rivelano cupi depositi di corpi umani… Le sequenze si susseguono con i ritmi tipici del cinema horror, gli effetti speciali sono notevoli per una produzione televisiva di quell’epoca, e le atmosfere sono ancora quelle tipiche della Guerra Fredda, sebbene non raffinate e cospiratorie come nel bellissimo telefilm Gli invasori (The Invaders, 1967). Si avvertono echi di maccartismo, con tanto di alieni in tuta rossa che divorano topolini o anche ragazzini, come i comunisti mangiabambini delle barzellette propagandistiche. I richiami alle dittature della Seconda Guerra Mondiale sono ancora più marcati: il simbolo stesso riportato sugli stemmi dei visitatori non è altro che una svastica con due degli uncini mozzati.

Nell’America di Ronald Reagan, era improbabile che la rappresentazione di un alieno potesse sfuggire agli stereotipi della creatura innocente come E.T., o del mostro crudele, pronto a mescolarsi agli esseri umani per poi sopraffarli. È comunque ben congegnata l’idea di far indossare agli invasori una finta pelle (con tanto di differenziazioni etniche), facendo scartare già in partenza ai subdoli rettili l’idea di uno scontro diretto e aperto, in luogo di una più coinvolgente e intrigante opera di diplomazia ingannevole. Dal punto di vista del make-up, la soluzione è sia economica sia efficace: solo la moderna grafica digitale avrebbe potuto far di meglio. Un analogo look lo ritroviamo sempre nel 1984 nel pilota di caccia di Giochi Stellari (The last Starfighter), e l’anno seguente nel sensibile Drac de Il mio nemico (Enemy mine).

Un po’ discontinua è invece la rappresentazione di usi e costumi degli alieni, con troppo esigui cenni sugli aspetti ‘culturali’, rispetto alle sequenze da buon horror e ai gustosi momenti di satira, come il party con i lucertoloni che si comportano come fossero a un barbecue in un cortile yankee, o la banda di cheerleader che accoglie la aliena navetta alla fabbrica chimica suonando il tema di Guerre Stellari, o i ragazzini che giocano con i pupazzi degli alieni e i modellini delle astronavi…

Il telefilm non è ingenuo come potrebbe apparire ad una visione distratta: mescola temi di facile presa sul pubblico a trovate meno appariscenti ma originali e verosimili. Notevole è l’importanza attribuita alla propaganda mediatica: gli alieni si impadroniscono dei mass media per poter condizionare l’opinione pubblica; appaiono quindi in poster, striscioni, articoli su giornali, programmi televisivi. La Resistenza terrestre, dal canto suo, emette essa pure un proprio telegiornale clandestino, ‘La Voce della Libertà’, che, oltre a fungere da riassunto per lo spettatore, permette di inserire le pause pubblicitarie in modo indolore, senza rinunciare a creare un’atmosfera di tensione, e consentendo poi di svolgere tante sottotrame di vario genere: è possibile così presentare, accanto a eventi dichiaratamente paurosi, momenti di spionaggio e di doppio gioco, storie d’amore, ritagli di vita quotidiana, piccoli e grandi drammi, conditi da tanta azione e un pizzico di umorismo.

Il conflitto armato scoppia sotto forma di guerriglia; viene narrato attraverso parecchie vicende che si intrecciano, mettendo in luce numerosi personaggi, con background personalità ben definiti, e non sempre ricadenti in figure stereotipate o di maniera.

Per correttezza politica, o forse per realismo, non tutti i terrestri sono buoni e non tutti i visitatori sono cattivi.

Sul fronte alieno troviamo Diana (Jane Badler), braccio destro del leader extraterrestre, bellissima (o almeno lo è la maschera che indossa), ambiziosa, spietata, sadica nel torturare gli esseri umani sottoponendoli a efferati ‘esperimenti scientifici’, e di pochi scrupoli perfino nei confronti dei suoi simili; Lydia (June Chadwick) è la sua acerrima rivale, nonché emula, anch’ella votata a far carriera a tutti i costi; John (Richard Herd), il comandante degli invasori, ha addirittura un aspetto rassicurante, degno di un bonario padre di famiglia… almeno fino a che non gli verrà strappata la maschera, proprio sotto le telecamere; Martin (Frank Ashmore), è uno dei rettili ‘buoni’, respinge le idee violente di Diana o forse semplicemente l’idea di essere da lei comandato. Brian (Peter Nelson) sembra premuroso e mite, e in qualche modo riesce a mettere incinta una donna terrestre, nell’ambito di un ‘esperimento’ voluto dall’alto. Una menzione particolare va Willy, il dolce alieno teneramente spaesato, finito in America per errore – aveva studiato lingue semitiche –, la cui simpatia è accentuata della divertente inclinazione a sbagliare vocaboli, tanto che in bocca sua “una memoria fotografica” diventa “una memoria pornografica”; egli, pacifista convinto, incapace di far male a una mosca, abbandona i suoi simili e si unisce alla Resistenza, tra le cui fila, pur inadeguato nel fisico e nello spirito al ruolo di guerrigliero, non mancherà di distinguersi per coraggio. Speculari per carattere e attitudini sono i principali personaggi terrestri.

Mike Donovan è l’ovvio protagonista: biondo, muscoloso, abbronzato, esercita una professione di successo, ed è un perfetto uomo di azione. Smascherando gli alieni, filmando il loro vero aspetto e diffondendo il video, si rende il Nemico Pubblico n° 1. è proprio lui a fondare la Resistenza a Los Angeles, e rischia in prima persona pur di salvare il figlio Sean (Nicky Katt) rapito e plagiato dagli alieni.

Juliet Parrish lavora come ricercatrice per una ditta farmaceutica legata agli extraterrestri, ma fa il doppio gioco per la Resistenza. Ham Tyler (Michael Ironside) è un mercenario dal grilletto facile: odia gli alieni, è coraggioso, usa spesso la forza ma sa anche essere generoso. Elias Taylor (Michael Wright), ex delinquente di strada, proprietario del ristorante Club Creole, è cinico e strafottente fino al giorno in cui gli alieni gli uccidono il fratello medico; per lui inizia in quel momento una nuova vita fatta di azione ed eroismo. Robert Maxwell (Michael Durrell) è un etnologo che si nasconde per sfuggire agli alieni; sua figlia Robin (Blair Tefkin) viene circuita da lucertolone Brian e partorisce Elizabeth (Jennifer Cooke), una bambina speciale che cresce nell’arco di poche settimane e sviluppa poteri miracolosi. Nathan Bates (Lane Smith) è un ambiguo industriale farmaceutico che produrrà una terribile polvere rossa, letale per gli alieni. Suo figlio Kyle (Jeff Yagher), per ribellione adolescenziale, si aggrega alla Resistenza e si innamorerà di Elizabeth.

Regista e sceneggiatore delle due miniserie, e accreditato come co-sceneggiatore anche in tutti i 19 episodi della serie lunga, è Kenneth Johnson, che aveva già in curriculum note serie di fantascienza, come L’uomo da sei miliardi di dollari (The six million dollar man, 1974) La donna bionica (The bionic woman, 1976), L’incredibile Hulk (The incredible Hulk, 1978)

Purtroppo va detto che, mentre le 5 parti delle miniserie sono di alta qualità sotto ogni punto di vista, gli episodi della serie lunga, pur certamente godibili e divertenti, sono di qualità inferiore e votati al semplice intrattenimento. Viene mantenuto, per quanto possibile, lo stesso cast dei precedenti capitoli, con alcune sostituzioni e alcune deleterie defezioni. La trama si fa meno paurosa, e gode di minori mezzi a disposizione. Tale povertà obbliga la sceneggiatura a fare acrobazie non sempre riuscite, a trasformare talvolta le scene d’azione in lunghe sequenze di ‘guardie e ladri’ in costume, con atmosfere analoghe a quelle di A-Team, o in altri casi a giocare i toni del patetico e del melodramma.

Gli effetti speciali calano, limitandosi a brevi scene, talvolta riciclate dal materiale scartato in fase di montaggio delle miniserie.

La sceneggiatura diventa più lacunosa e improvvisata: i personaggi muoiono senza spessore, oppure escono di scena senza motivo per non riapparire più; o peggio ancora compiono azioni di cui si scordano nella puntata successiva: equivoco generato da un episodio pilota trasmesso con troppa leggerezza, dove si presentano eventi che dovrebbero influenzare la storia, ma che poi non lo fanno.

Alcuni eventi sono abbastanza improbabili, come la disinvoltura con cui i ribelli entrano ed escono dall’astronave madre, o la leggerezza con cui Diana si lascia sfuggire i capi della Resistenza dopo averli avuti tra le mani; per non parlare dei poteri mistici di Elizabeth, che ‘risolvono’ le situazioni più disperate in un tripudio di luccicanti stelline.

Sono debolezze e blooper che tuttavia gli appassionati perdonano con incondizionato affetto. Per fortuna si trovano all’interno di situazioni così ricche di azione e di variegate vicende personali che, pure se si notano, presto si dimenticano.

Il finale purtroppo è incompiuto: i disaccordi interni alla produzione impedirono la realizzazione di un epilogo. Il diciannovesimo episodio lascia la vicenda interrotta, il ‘gusto’ di quanti preferiscono finali aperti. Esiste una sceneggiatura del ventesimo episodio, ritenuta attendibile e diffusa on-line in molti siti, ma non è stata mai girata, con buona pace di certi appassionati che vorrebbero la pizza dell’epilogo nascosta in chissà quale magazzino, come l’Arca dell’Alleanza di Indiana Jones.

Kenneth Johnson, nel corso degli anni, ha periodicamente annunciato l’uscita di un suo romanzo sui Visitor. Probabilmente si trattava di un test per valutare l’impatto sul pubblico di un nuovo ritorno dei lucertoloni.

A forza di fantasticarci sopra, nel 2009 è stato effettivamente prodotto un remake, o più precisamente una rivisitazione, titolata ancora V, con un cast in cui figurano, tra gli altri, Morena Baccarin (la splendida Inara di Firefly e Serenity), Elizabeth Mitchell (Juliet in Lost), Laura Vandervoort (Supergirl in Smallville) e Joel Gretsch (Owen Crawford in Taken e Tom Baldwin in 4400), Charles Mesure (l’Arcangelo Michele in Hercules e Xena, principessa guerriera), Lexa Doig (Rommie in Andromeda), e… Jane Badler nuovamente nel ruolo di Diana (sebbene una Diana con ruolo e valenza molto diverse, senza reali analogie con l’originale).

Purtroppo anche questa nuova serie avuto il destino della precedente: cancellata anzitempo dopo due stagioni, 22 episodi.

 

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE https://www.terrediconfine.eu/v-visitors/

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