IL GIRO DEL MONDO IN 80 GIORNI - film 2004

 

Confrontarsi con un classico della letteratura, trasporlo in una pellicola rispettosa e divertente può rivelarsi un’impresa davvero ardua. Nel caso de Il giro del mondo in 80 giorni (Le tour du monde en quatre-vingts jours, 1873), le difficoltà sono molteplici, perché il romanzo di Jules Verne risente del gusto dei lettori di fine Ottocento, il soggetto è molto noto, le trasposizioni abbondano.

Il senso di meraviglia, suscitato dalla descrizione di luoghi esotici, è l’ingrediente principale del racconto originale. Un tempo non esisteva il turismo di massa e solo ricchi eccentrici, uomini d’affari e marinai visitavano i paesi lontani. I resoconti di viaggio erano affidati ai ricordi dei viaggiatori, a qualche litografia o dagherrotipo, testimonianze a volte ingenue che per l’uomo medio avevano il fascino delle fiabe.

Oggi le moderne tecnologie hanno ridisegnato la percezione dello spazio attorno a noi, i documentari immortalano i più remoti angoli del pianeta, ormai raggiungibili con poche ore di volo. L’estremo Oriente e gli Stati Uniti sono meta di vacanze alla portata di molti, la globalizzazione ha mutato stili di vita e cultura. Il fascino delle terre lontane viene sminuito, e al lettore contemporaneo non resta che scegliere un romanzo fantasy o di fantascienza per godere di emozioni analoghe a quelle dei viaggiatori di un tempo.

Non è insomma colpa di cattive regie se le immagini da cartolina che accompagnano i viaggi ‘letterari’ come quello di Phileas Fogg, quando diventano film, appaiono un piacevole ma ‘sterile’ sfondo, tanto necessario al dipanarsi della vicenda quanto incapace di emozionare davvero.

I personaggi creati da Verne sono credibili quanto ci si può attendere da una lettura avventurosa d’altri tempi, sono eroi stilizzati e pudichi, pronti a rischiare la vita in nome di ideali nobili o per proprio orgoglio. Il lettore del terzo millennio si attende invece tanta azione, una buona dose di violenza e un pizzico di erotismo; oppure vuol trovare personaggi verosimili. Oggi gran parte degli scrittori di genere inserisce scene esplicite. In molti casi le storie sentimentali vanno a interrompere l’azione con un brutto effetto da ‘copia e incolla’ che poco o niente aggiunge alla trama. Sesso e violenza abbondano e troppo spesso vengono propinati senza inventiva; una lettura pulp può avere un suo spirito, a patto che il trash sia consapevole, magari ironico, e lasci spazio trovate divertenti. Il romanzo vittoriano di Verne mette invece da parte l’introspezione e la sensualità. Phileas Fogg, il fido Passepartout, la dolce indiana e gli stessi avversari vengono poco incontro alle richieste del lettore contemporaneo. Né è facile reinventarli, essendo ormai entrati con quelle caratteristiche nell’immaginario collettivo. La grande notorietà del testo di Jules Verne, ‘irrimediabilmente’ ancorato ai ricordi degli anni della scuola nonostante non sia confinabile a un target solo giovanile, si rivela insomma un’arma a doppio taglio. Come è accaduto spesso anche ad altri grandi classici dell’avventura, da I tre moschettieri a Robin Hood, da L’isola del tesoro alle meravigliose fantasie orientali di Emilio Salgari, il pubblico adulto può snobbare Il giro del mondo in 80 giorni proprio per questo radicato pregiudizio che lo vuole opera per ragazzi, e purtroppo la Settima Arte ha fatto poco per smentire gli stereotipi. Le trasposizioni realizzate nel corso degli anni hanno mantenuto toni da film per famiglie, privi di violenza, sesso, e ahinoi inventiva.

Quest’ultima versione cinematografica del libro di Verne, dal titolo omonimo Il giro del mondo in 80 giorni (Around the World in 80 Days) diretta da Frank Coraci per la Disney nel 2004, più che un remake è una libera rivisitazione che modifica la vicenda e i personaggi originali. La sceneggiatura rilegge le pagine esasperando l’estetica steampunk e assecondando il revival delle arti marziali. L’operazione è discutibile perché la riscrittura muta radicalmente i ruoli dei protagonisti, e stravolge la storia fino a renderla irriconoscibile. Phileas Fogg non è più il gentiluomo britannico membro del prestigioso Reform Club, un aristocratico schiavo della mania di scommettere, ma diviene un goffo inventore incompreso pronto a rischiare tutto pur di farsi accettare dall’Accademia delle Scienze di Londra. Passepartout a sua volta, da maggiordomo astuto viene trasformato in ladro giunto dalla Cina per rubare un Buddha sacro e riportarlo nel tempio del villaggio. Scompare Auda, la vedova indiana dolce e sottomessa sottratta a un cruento sacrificio rituale: viene sostituita da Madame La Roche, una brillante guardarobiera con la fissa della pittura, incontrata da Fogg a Parigi.

Gli antagonisti si moltiplicano, oltre al detective Fix di Scotland Yard compare una Signora della Guerra cinese, accompagnata dai suoi scagnozzi.

Anche il viaggio segue un percorso diverso da quello tracciato da Jules Verne; parecchi episodi vengono eliminati, sacrificati alle esigenze di spettacolarità oppure sostituiti da eventi creati appositamente per il film.

Tutte queste sono trovate che faranno accapponare la pelle agli ammiratori del grande scrittore e rischiano di confondere lo spettatore. Alcuni adattamenti sono certamente utili a  riproporre oggi personaggi e situazioni altrimenti datati, altri invece trasformano la pellicola in una commedia piacevole ma lontana anni luce dalla sensibilità dell’autore francese.

Non è un caso se il film è stato prodotto dal grande esperto di arti marziali Jackie Chan. L’attore interpreta il ruolo di Passepartout e dà vita a belle coreografie a base di kung fu e ironia. Le sequenze migliori della pellicola sono proprio quelle in cui l’improvvisato maggiordomo combatte, per l’eleganza dei movimenti e delle coreografie e per le gag degne di una slapstick comedy. Poco a poco Passepartout ruba la scena a Fogg e diventa protagonista. Il film così mantiene la giusta verve solo quando Jackie Chan incanta lo spettatore con le sue acrobazie, altrimenti il ritmo rallenta e subentra la noia. Colpa di qualche lungaggine, di una sceneggiatura che procede per capitoli sottolineati da chiassose animazioni digitali, e della caratterizzazione inconsistente di Phileas Fogg.

Il gentleman (interpretato da Steve Coogan) appare goffo, inadeguato, quasi fosse un accessorio di scena, un pretesto per introdurre le avventure del ladro cinese. Le invenzioni di Fogg sono mirabolanti ma anziché dare lustro al protagonista offrono occasioni per fare sfoggio di grafica digitale… e mettere in scena un passato alternativo. In questo modo il personaggio resta in secondo piano, doppiamente privato del suo ruolo. Neppure la storia d’amore con Monique La Roche (Cécile De France) riesce a rendergli le simpatie del pubblico, trattata com’è in maniera superficiale. Anche Verne ha dato poco spazio al legame tra Auda e Fogg, preferendo l’azione, ma la fedeltà del film alla pagina scritta si limita solo a questo, e allora, in mezzo a tanti ‘tradimenti’, tanto valeva forse aggiungerne uno in più e approfondire ménage sentimentale, oppure eliminarlo del tutto insieme ai tanti altri episodi rimossi.

La pellicola potrebbe insomma risultare indigesta per i palati troppo esigenti, o per gli innamorati delle opere di Jules Verne. La trama è in funzione delle coreografie, proprio come avveniva nei vecchi musical americani basati su numeri di pattinaggio sul ghiaccio o su esibizioni di nuoto sincronizzato. Nessuno può incolpare Sonia Heine o Esther Williams d’aver preso parte a film leggeri; altrettanto si può dire di Jackie Chan che, al pari di Fred Astaire, si è ritagliato un proprio posto nella storia della Settima Arte.

Se l’intento era quello di far riscoprire il romanzo ai giovani, l’occasione è però stata sprecata: delle pagine di Jules Verne resta ben poco. Meglio la versione con David Niven, assai datata ma più fedele.

L’intento del regista è però più modesto, vuol intrattenere per un paio d’ore, senza altra pretesa.

Ritmo, azione, effetti speciali: in questo senso il film mantiene le promesse, è un onestissimo prodotto di mestiere che assolve la sua funzione con decoroso garbo. Lo spettatore è avvisato fin dal roboante trailer, non ci sono possibili ambiguità: se sceglie di vedere la pellicola, sa cosa attendersi.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE   https://www.terrediconfine.eu/il-giro-del-mondo-in-80-giorni-film-2004/

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