PROJECT UFO

Tra il 1947 e il dicembre del 1969 l’aeronautica Militare degli Stati Uniti raccolse dati relativi ad serie di avvistamenti di velivoli non identificati nel territorio statunitense e in buona parte delle Americhe e dell’Europa. Il progetto venne chiamato dapprima Sign, poi Grudge, ed infine Blue Book. Erano gli anni della Guerra Fredda con l’U.R.S.S  e più che interessarsi ad eventuali visitatori extraterrestri, lo studio doveva controllare eventuali presenze sovietiche nei cieli. Il Project Blue Book indagò tra il marzo 1952 e il dicembre 1969 un totale di 12,618 avvistamenti. Quasi tutti gli avvistamenti trovarono una spiegazione molto terrena, sebbene un  5% (ben 701) rimasero classificati come “non identificati”.
Questo capitolo insolito e poco noto della storia contemporanea è alla base del telefilm Project U.F.O.. E’ una serie a basso costo ideata da Jack Webb e realizzata in due stagioni di tredici episodi ciascuna. E’ stata trasmessa in America negli anni 1978 e 1979, e in Italia la prima stagione è arrivata negli anni Ottanta, con le televisioni locali.
Per mesi Webb ha esaminato tanti casi realmente documentati, e ne ha tratto ispirazione. “Dai documenti degli archivi nazionali degli Stati Uniti d’America, una serie basata sui rapporti ufficiali relativi agli avvistamenti di oggetti volanti non identificati (UFO) vissuti attraverso i loro testimoni” annuncia la sigla. Naturalmente le storie sono molto romanzate, a partire dalla presenza di due militari, sempre gli stessi, impegnati nelle indagini. Come nel futuro X-Files, ci sono due protagonisti fissi delle vicende, il maggiore Jake Gatlin (William Jordan) e il sergente Harry Fitz (Caskey Swaim). Nella seconda stagione Gatlin viene sostituito dal capitano Ben Ryan, interpretato da Edward Winter e compare una segretaria di colore, Libby, interpretata dall’avvenente Aldine King. I due militari vanno ad indagare i teatri degli avvistamenti, interrogano i testimoni degli eventi, cercano di dare una spiegazione rassicurante. Tentano anche di capire cosa accada per davero, sebbene le regole rigide dell’uniforme vietino di confidare ad alcuno le conclusioni delle loro indagini.
La struttura degli episodi segue uno schema di solito invariato.
C’è un’introduzione con un richiamo dal libro del profeta Ezechiele che in 1:15-21 racconta di aver visto un veicolo particolare, un carro con ruote di fuoco oggi da molti paragonato ad un disco volante, ovviamente descritto come poteva essere possibile descriverlo ad un uomo dell’antichità. La citazione è una reinterpretazione e non è l’estratto integrale del bizzarro e assai discusso brano biblico.
“Ezechiele vide la ruota – recita la voce introduttiva della serie Project UFO – Questa è la ruota che egli vide. Questi sono oggetti volanti non identificati che gente di oggi asserisce di aver visto. Sono la prova dell’esistenza di una forma progredita di vita e cultura su altri corpi celesti, oppure che altro sono? L’Aeronautica Militare degli Stati Uniti si è assunta il compito di investigare su questa misteriosa materia per giungere alla verità. Ciò che state per vedere sono estratti d’archivio del progetto “Blue Book”, documenti di una ricerca ormai ventennale”.
Alla citazione biblica segue un resoconto giornalistico di un avvistamento. Arrivano i due protagonisti a indagare; in molte situazioni non rifiuterebbero l’ipotesi di una visita aliena, salvo poi avere per le mani una spiegazione più rassicurante e comoda e preferirla. Gatlin ha anche visto un U.F.O. durante un volo d’addestramento, e Fitz non è un uomo ottuso, però sono due militari e il loro compito è quello di capire cosa accada, però salvaguardandone la segretezza. Quindi sfruttano qualsiasi possibile motivazione tutta razionale, per quanto improbabile. In questo modo coprono il segreto così come è loro dovere e rassicurano, quasi sempre, le persone che hanno assistito all’incontro ravvicinato. Qualcuno infatti ha il sentore di assistere a una Supercazzola in salsa extraterrestre, tanto possono essere assurde e non credibili le trovate imbastite, tuttavia i più s’accontentano, o davanti alle divise devono fingere di credere alle scuse.
Spesso l’epilogo lascia immaginare o rivela la possibile presenza aliena allo spettatore, anche se i militari ne restano ignari. Gli episodi della prima stagione propendono per soluzioni concrete, mentre nella seconda stagione i dubbi diventano più palpabili.
Le puntate di appena quarantacinque minuti sigle d’apertura e di coda incluse sono autoconclusive e non hanno, se non in pochissimi casi, una successione obbligata. Nonostante un soggetto attuale e una formula narrativa originale, i ritmi narrativi sono lentissimi, anche per gli standard televisivi dei primi anni Settanta.
La sigla di apertura utilizza il meglio degli effetti speciali disponibili, tutti artigianali, realizzati montando in maniera fantasiosa kit di aerei e giocattoli. E’ ovvio che venga mostrata con orgoglio, riducendo il minutaggio, sebbene un confronto con Star Wars o anche con altri film e serie precedenti sia davvero spietato. Altro tempo viene impiegato per descrivere gli ambienti esplorati, o le apparizioni. Parecchie delle lunghe sequenze nei cieli d’America sono solo footage delle esercitazioni dell’Aviazione inserito qua e là, magari montato insieme a scarti di Star Trek o di altre produzioni di fantascienza meno povere, o addirittura di amatori. Il montaggio fa miracoli per riciclare gli spezzoni e usare pochi effetti speciali, e in questo la serie è geniale.  
Forse i ragazzini di allora si entusiasmavano ma per uno spettatore smaliziato quelle scene sembrano interminabili e poco aggiungono alla vicenda. La povertà degli effetti speciali, pure necessari dato l’argomento trattato, non è comunque il vero punto debole della serie. Anche avessero avuto mezzi faraonici i trucchi sarebbero presto stati superati da nuovi artifici tecnici.
Il grande punto debole della serie nasce probabilmente dall’equivoco di voler far convivere documentario e fiction spingendo troppo poco il pedale della finzione. Le due anime della serie non si fondono in un geniale mockumentary, e la vicenda resta sospesa tra i toni freddi e rigidi del documentario con parti ricostruite e recitate da attori e una fiction un po’ scialba e vagamente complottista.
La recitazione è asettica, e il taglio giornalistico della narrazione limita l’empatia. Lo spettatore sa poco della vita di quanti gli attraversano la scena, e questo è un errore imperdonabile: non sono super eroi irraggiungibili e non sono persone come loro a cui è accaduto qualcosa d’eccezionale. Tutti i personaggi vivono nel breve spazio di una paginata di frasi più o meno recitate con convinzione, siano essi i protagonisti o siano i testimoni degli eventi. I militari devono usare le battute per far avanzare le indagini, e sebbene siano presenti in ogni puntata, c’è pochissimo spazio per dare loro un carattere, delle emozioni. La bella segretaria Libby ha un ruolo quasi esclusivamente estetico, o piuttosto sociale perché è di colore e ha un lavoro di prestigio o comunque migliore di quanto accada alle massaie bianche delle province rurali. Ma di essere corteggiata da uno o dai due militari, non se ne parla! La possibile tensione omoerotica tra i due aviatori non decolla ma resta, comprensibilmente per l’epoca, latente. Le vicende lasciano da parte ogni intermezzo romantico o familiare relegandolo a qualche sporadica battuta, inserita per rassicurare la platea di famiglie sulle preferenze sessuali dei piloti, e tanto deve bastare.
Ci si deve accontentare anche per gli aspetti più avventurosi: ci sono eventi misteriosi, e nonostante tutto mancano scene d’azione vere e proprie. Quelle rare occasioni appaiono goffe, sia perché sono state realizzate con mezzi davvero risibili, sia perché è difficile trepidare per i due militari alle prese con l’ignoto. I sentimenti sono sempre la base necessaria per sviluppare eroi memorabili, e Fitz e Gatlin, oppure Fitz e Ryan, restano dei piacenti estranei. Se fossero stati caratterizzati, dotati di vizi e di virtù, di un bel background da richiamare ogni tanto per renderli vivi, sarebbe stato facile perdonare quei set allestiti in scenari realizzati per altre produzioni, o i fondali dipinti alla meno peggio, o i fili che sorreggono i modellini con l’attaccatutto ancora evidente.
Questa serie sicuramente ha spunti interessanti, ma fatica a catturare l’attenzione. Comprensibile che Project Blue Book, la serie contemporanea ispirata agli stessi fatti, esageri in senso opposto, mescolando fatti e persone reali a tanta tanta invenzione.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da FENDENTI & POPCORN. Se la volete adottare, ditelo !

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