CAPITAN MUTANDA - IL FILM

Superman, Spiderman, Wonder Woman… Grazie ai progressi degli effetti speciali che consentono una resa verosimile dei superpoteri, negli ultimi venti anni i super eroi hanno conquistato il grande schermo. Spesso sono protagonisti di pellicole commerciali, recitate alla meno peggio, con personaggi piatti come sogliole lesse e altrettanto attraenti. La tentazione di sorridere su questo tipo di cinema dall’estetica curatissima e dalla trama priva di tante pretese è forte. Gli stessi ragazzini, passato quel momento magico in cui si può davvero credere che un uomo in calzamaglia possa salvarci dai guai, apprezzano la parodia. Non sorprende il successo della saga di Capitan Mutanda ( Captain Underpants) scritta da Dav Pilkey, nata come una serie di ben dodici libri dissacranti e finalmente arrivata al cinema nel 2017 con la regia di David Soren.
Capitan Mutanda è un super eroe creato dalla matita di George e Harold, due ragazzini di quarta elementare che sono amici per la pelle e amano creare fumetti che vendono ai loro compagni. Sono due piccole pesti e a scuola sono spesso in punizione nell’ufficio del terribile preside Benjamin "Benny" Grugno, che confisca ogni attrezzo del mestiere, dai giocattoli ai fumetti, ai cuscini che fanno rumorini imbarazzanti. Dopo un’ennesima marachella, Grugno arriva addirittura a decidere di separare i due alunni inserendoli in sezioni diverse. I due ragazzini recuperano dagli oggetti un anello trovato come sorpresa nei cereali, e con quello ipnotizzano il preside, convincendolo di essere proprio Capitan Mutanda. D’ora in avanti ogni volta che schioccheranno le dita, l’uomo si spoglierà restando in mutande, si legherà una tenda di poliestere rosso a fare da mantello, butterà il parrucchino e inizierà a comportarsi come il super eroe, almeno fino a quando un getto d’acqua non lo farà tornare a essere il vecchio tiranno…
La trasposizione cinematografica sfrutta diverse tecniche di animazione, che rendono al meglio l’estetica e lo stile narrativo proprio dei libri. Nei romanzi parti a fumetti si alternano al testo, ci sono ‘effetti speciali’ come le pagine con un piccolo disegno da sfogliare rapidamente per avere l’illusione del movimento: pur restando romanzi cartacei, c’è un’interessante iperstestualizzazione delle pagine. Il film sfrutta vari tipi di animazione per rendere questa mescolanza di linguaggi, con parti realizzate in 3d, altre tradizionali, riprese dal vivo con il teatro dei calzini. Il risultato è allegramente caotico e rende bene lo stile peculiare di Dav Pilkey.
La comicità di Capitan Mutanda è rivolta prevalentemente ai preadolescenti coetanei dei protagonisti, però fa fare qualche sana risata anche agli adulti, per la vocazione metacinematografica del soggetto, per l’umorismo da gabinetto condito da gag da slapstick commedy, e per qualche riflessione che arriva in modo quasi subliminale.
Ci sono citazioni e rimandi continui al mondo del cinema e del fumetto, a partire dalla parodia del primo film di Superman che apre la pellicola, con il modulo di lancio ispirato al Tardis di Doctor Who e i genitori adottivi delfini che omaggiano Douglas Adams. Capitan Mutanda affronta un gorilla di gomma viola tra i grattacieli con ammiccamenti a King Kong e a Spiderman, ci sono richiami ai Blues Brothers nel party che si scatena durante l’evento dedicato agli inventori, e alcuni momenti hanno canzoni da musical disneyano, riveduto e corretto.
La ‘correttezza’ in questo film è sempre bilanciata dalla natura particolare del soggetto stesso: un protagonista è bianco l’altro di colore, le parolacce ruotano sempre attorno alle necessità fisiologiche, la sessualità resta sullo sfondo, eppure si ride dell’aspetto del preside e del Professor Pannolino. Molte gag riguardano il parrucchino di Grugno che svolazza, la sua sagoma appesantita esibita senza pietà con mutande ascellari di fantozziana memoria o il viso imbronciato e poco attraente. Body shaming?  Forse, con la forte attenuante di venire scatenato da comportamenti tirannici e crudeli. Magari se i due villain fossero stati adulti che si prendono a cuore le esigenze dei piccoli, e li educano con amore e empatia, nessuno avrebbe deriso parrucchini, chili in eccesso e viso poco attraente, l’affetto sarebbe stato percepito e abbondantemente ricambiato dai piccoli.
Grugno invece è un hater seriale dell’infanzia e della spensieratezza che comporta, perché fondamentalmente ha una vita deprimente: niente amici, niente partner, una casa priva di personalità, nessun hobby a parte il lavoro. Quando finalmente si sente protagonista è a scuola nel suo ufficio, da dove sfoga le sue quotidiane frustrazioni. Come parecchi adulti odia le risate perché non accetta di ridere prima di tutto su sé stesso, sull’essere un chiattone pelato, sull’avere un cognome ridicolo, sulla bassa statura e su qualsiasi altra caratteristica esagerata o buffa ciascuno possegga. Il Preside ha dimenticato come si fa a divertirsi, vive la solitudine dell’adulto di mazza età, non ha amici ma colleghi, di certo scelti per esigenze di lavoro e non per affinità elettive. Con le donne è inibito, e si preclude anche l’affetto di una bidella che stravede per lui. In un film generalmente escrementizio e demenziale, le sequenze in cui le due piccole pesti curiosano in casa di Grugno e si accorgono del dramma umano che vive sono davvero un bel pugno nello stomaco.
Tra i cuscini che simulano i peti, le cacche e i gabinetti, si sviluppa quella che non è solo una storia di amicizia, o una divertente e innocua parodia dei cinecomics. George e Harold vivono male l’obbligo scolastico, le lezioni di tipo tradizionale, la routine imposta dall’alto secondo criteri che poco rispettano le caratteristiche dell’età. Gli altri ragazzini si adeguano, qualcuno sonnecchia, c’è l’ennesimo secchione che è il cocco del Preside, ma per i protagonisti la scuola è una prigione e le beffe sono un modo di reagire. La beffa diviene l’arma della resilienza, le risate sono il modo per sopravvivere a un ambiente ostile dove il Capo è un tiranno invece di essere un modello. In fondo è una lezione di vita simile a quella che ci hanno impartito i cinque Amici miei: il barista Necchi, l’architetto Menandri, il giornalista Perozzi, il decaduto conte Mascetti e il chirurgo di chiara fama Sassaroli reagivano con beffe crudeli a un’esistenza lontana dai loro desideri.  La fantasia ci dona le strategie per andare avanti, tuttavia stavolta il messaggio è inserito in un contesto sgangherato e demenziale, e quindi gli spettatori che si accontentano di una visione distratta si fermano a scorregge, cacche, senza cogliere il messaggio che c’è dietro.
Capitan Mutanda ci fa conoscere la scuola pubblica americana. Per essere un film made in U.S.A., prodotto della Dreamworks, l’immagine non è proprio idilliaca. Viene da sospettare che la realtà sia ancora più brutta di quanto non si veda in questo film. Ebbene, la scuola statale è afflitta da tagli al bilancio, ristrettezze che penalizzano le materie secondarie, in particolare Arte e Musica. I soldi o mancano, o vengono spesi per miglioramenti di servizi utili ma non essenziali per il benessere degli studenti, soprattutto di quanti hanno delle concrete difficoltà. I Presidi si ritrovano a fare da burocrati, da feudatari che fanno il buono e il cattivo tempo, gli insegnanti subiscono i capricci e devono adeguarsi a iniziative che trasformano la scuola in un baraccone. Ci sono giornate speciali nate per celebrare personaggi, eventi storici, sport o altro, allestite con manie di grandezza irrealizzabili con i pochi mezzi. Il sistema educativo partirebbe dal learning by doing di Dewey. Ma quell’imparare facendo diventa una spettacolarizzazione estrema delle attività didattiche: giornate per lo sport, spettacoli, esibizioni dei bambini inventori e altre iniziative che spesso nemmeno piacciono ai ragazzi. Se per caso tutto questo dovesse assomigliare a come la scuola dell’obbligo sta diventando anno dopo anno anche da noi… pensiamoci un po’ su.
Naturalmente le riflessioni sono inserite come un rumore di fondo, che viene ascoltato dall’orecchio di un adulto sensibilizzato su certe tematiche, e presumibilmente sfugge ai piccoli. 
Per i ragazzi e per quanti vogliono concedersi una pausa divertente, il film è un susseguirsi di gag, di battute, di azione leggera leggera. La trama è semplice e lineare, però ha un buon ritmo e questo fa la differenza.  Con rare eccezioni le barzellette sono tutte più o meno vecchie, riadattate con nuovi personaggi r varianti a seconda dei cambiamenti della societa’. E’ importante come si raccontano, più che le battute in sé, e il film pare narrarle con sgangherato garbo e demenziale ironia.
Per quanto non sia stato un grande successo al botteghino, ha originato una serie. Da vedere, per passare una serata in famiglia senza sorbirsi le solite principesse o i soliti animaletti versione cartoon.

 

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da questo sito. Vuoi adottarla ? contatta Cuccussette  oppure Florian Capaldi su Facebook

LEGGI ALTRA ANIMAZIONE

HOME

Crea il tuo sito web con Webador