LA GRANDE CORSA

Raramente un film progettato per coinvolgere un’audience adulta è accessibile anche ai bambini, e viceversa è quasi impossibile che un adulto riesca a divertirsi con un prodotto adeguato ai piccoli. Questione di tematiche affrontate o evitate, di ritmo e complessità della trama, di aspettative influenzate da tutto un mercato di prodotti che ammiccano a varie generazioni, complice la facilità di avere più dispositivi di ricezione nella stessa casa. Uno dei rari casi è il vecchio film La grande corsa, diretto da Blake Edwards nel lontano 1965. E’ passato oltre mezzo secolo dalla prima proiezione e tanti anni farebbero invecchiare qualsiasi opera; le sgangherate imprese dei pionieri dell’automobile ovviamente sono datate. Oggi il pubblico rifiuterebbe a priori un film girato quasi esclusivamente in interni, privo di parolacce e violenza e anche di temi impegnati, con canzoni un po’ melense, genuinamente naif e fiero della propria ingenuità.
A salvare la pellicola dall’oblio degli anni e a rivalutarla c’è la sua natura di gioco cinematografico in veste glamour, di divertito omaggio alle comiche del muto. Il film si apre con la dedica esplicita a Laurel e Hardy, c’è l’overture e c’è lo stacco tra primo e secondo tempo, entrambi annunciati da un cartellone con musica di sottofondo. Tutto riporta ai fasti della slapstick comedy, quella di Stan Laurel e Oliver Hardy, di Buster Keaton e anche di Chaplin. Era una comicità  con un umorismo diretto e fisico, gag basate sulla mimica e nessuna pretesa di realismo o di intellettualismi, anche se poi, come ogni clownerie che si rispetti, in molte situazioni si poteva riflettere. La corsa New York – Parigi è narrata proprio come nelle vecchie comiche, o in un cartone animato americano, con il sadismo privo di conseguenze di Willy il coyote che vuole acchiappare il roadrunner Bee Beep, o con Tom e Jerry.
E’ un susseguirsi di gag legate tra loro solo dal far conoscere i personaggi in un primo momento, e poi dall’essere ambientate lungo il tragitto che i concorrenti percorrono. Il West, la traversata sul ghiaccio, la Siberia, un misterioso reame da operetta, la Carpazia.... Tutti gli episodi citano in modo più o meno esplicito altri film famosi, rivisitati in chiave slapstick. Il Grande Leslie ripete le gesta di Houdini, ci sono risse nel saloon del West come nei classici degli anni Cinquanta, e lo scambio di identità in Carpazia è un chiaro riferimento al Prigioniero di Zenda, concluso però con una lunga battaglia a suon di torte in faccia. Lo stesso aspetto di Leslie, vestito completamente di bianco, e Fate, in nero, ammiccano alla caratterizzazione che ricevevano i personaggi buoni o cattivi nei vecchi film.
Le trovate migliori sono probabilmente quelle generate dalla rivalità tra il Grande Leslie (Tony Curtis all’apice del suo fascino) e il torvo Professor Fate (Jack Lemmon, in un doppio ruolo). Funzionano anche i battibecchi tra la suffragetta Maggie DuBois ( Natalie Wood), e Leslie, o tra Fate e l’imbranatissimo assistente siculo Calogero ( Peter Falk lontano dai fasti di Colombo, ma che caratterista!).
Il film è quindi un susseguirsi di  mini episodi che coprono i cento sessanta minuti della pellicola, un minutaggio inconsueto per quegli anni, e forse anche eccessivo, poiché c’è qualche perdonabile calo di ritmo a te quarti della vicenda. La sceneggiatura di Arthur Ross rallenta quando i personaggi stringono un’instabile alleanza pur di superare le difficoltà, sulla banchisa polare che va alla deriva. Il calo è conseguenza dell’aver voluto appianare le tensioni tra i concorrenti. I progetti strampalati di Fate per eliminare i rivali hanno avuto effetto, o è ovvio che non ne avranno né potrà tentare nuovi tiri mancini. La suffragetta, persa la macchina fotografica non può più far da giornalista e si innamora del Grande Leslie, diventando l’ennesima bocca da sbaciucchiare. Il meccanico Ezechiele viene eliminato o quasi dalla scena. Leslie pure viene schiacciato dalla magnifica performance di Lemmon, impegnato in due ruoli contemporaneamente: il professor Fate viene sostituito all’identico d’aspetto ma imbelle principe di Carpazia. Il finale è comunque scoppiettante, ed aperto per un sequel, che oggi sarebbe stato realizzato di certo, visto il grande successo al botteghino.
Il film gode della migliore realizzazione possibile per l’epoca. Le scene sono tutte ricostruite in studio, a parte qualche ripresa a Parigi oppure in anonimi esterni, e sono volutamente coloratissime, teatrali, come si addice a una storia che deve essere spettacolare più che verosimile. Le musiche sono di Mancini, allievo di Benedetti Michelangeli e pluripremiato compositore specializzato in colonne sonore.
I personaggi a loro volta sono volutamente prevedibili, come maschere della commedia dell’arte: il cattivo tenebroso, il bell’eroe che piace alle donne, la bella avventurosa, l’aiutante goffo o vecchio e innocuo, e così i comprimari. L’empatia scatta poiché la recitazione è brillante e c’è  un cast favoloso, attori molto bravi all’apice della loro carriera o affermati caratteristi. Tutti i copioni vennero affidati a volti molto popolari all’uscita della Grande corsa e alcuni molto famosi ancora oggi grazie alla partecipazione ad altri film o serie tv conosciutissime. E’ improbabile non aver mai visto A qualcuno piace caldo o Attenti a quei due, o il simpatico Tenente Colombo, che molto deve a Calogero.
Non a caso i protagonisti de La grande corsa ispireranno una famosa serie animata, Wacky Races (La corsa più pazza del mondo) con il perfido e scalognato Fate/Dick Dastardly e l’aiutante cane Calogero/Muttley che vuol barare nei modi più assurdi, la bella Maggie Du Bois/Penelope Pitstop, il bel Peter Perfect/Leslie, più una ben assortita serie di cavernicoli, hillbillies, gangster, mostri, ecc con automobili ‘a tema’.
Nonostante la lunghezza eccessiva, non ci si annoia, e si diverte anche un bambino, proprio per il ritmo, per le scene molto colorate, per il tipo di umorismo che è istintivo e non ha limiti di età né presuppone di aver studiato o essere cinefili per farsi quattro sane risate.

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da questo sito. Se volete adottarla contattate su Facebook Florian Capaldi

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